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Cenere
Sono oggetti strani i nomi. Te ne appioppano uno e te lo devi portare addosso per tutta la vita. Non c'è bisogno che tu sia d'accordo o meno. Ti tocca come a tutti e per quanto sia ingombrante e fastidioso sta a te e solo a te portarne il peso. Così pensavo. Puoi passare tutta la vita a farti un nome, lo puoi svendere, lo puoi svilire, puoi addirittura stampartelo sulle camicie o sulle mutande; in semplici iniziali puoi portare sulla stoffa il tuo passato e le tue origini ma un nome, avrei scoperto, non è una torre invalicabile, è piuttosto una fragile bandiera che puoi perdere per sempre quando meno te l'aspetti. Puoi ritrovarti ad essere qualcosa alla fine di un dito che ti indica. Puoi diventare una storiella che si racconta in un bar o una filastrocca per bambini ed allora a nessuno importa più quale fosse il tuo nome. Non sei più un qualcuno, sei diventato un oggetto di arredo urbano come una panchina o una fioriera, soltanto meno utile e meno bella. Una volta ce l'avevo un nome. Se mi sforzo abbastanza sono sicuro di riuscire a ricordarlo ma non credo abbia più importanza come ad un cieco non importa di che colore sia il cielo; blu, rosso o viola a pallini bianchi non ha importanza perché oramai non ti appartiene più. Diventa superfluo, inutile come la paccottiglia nelle case dei ricchi. Un nome è una speranza, quello che magari i tuoi vecchi desideravano per te ed ora sai che non sei più quello che eri in passato. Per voi, per la gente che passando mi lancia un'occhiata fuggiasca e cammina dritto, per le leggende che si raccontano nel quartiere ed anche per me, io sono solo Cenere!
"Se sei in un palazzo in fiamme e ti trovi davanti ad una porta chiusa e ti accorgi che la maniglia scotta cosa fai?" Era l'ultima domanda al test di ammissione nel corpo dei vigili del fuoco. Avevo studiato per settimane intere senza darmi tregua. Avrei potuto spegnere un incendio in un grattacielo con la sola forza del pensiero ormai e quella domanda buttata li mi sembrava un insulto! Avrei voluto scrivere: "Non aprite quella porta!", oppure " dattela a gambe il più in fretta possibile se non vuoi diventare una decalcomania carbonizzata sulla parete di fronte" ma non feci nulla di tutto questo. Mi limitai a rispondere che non bisognava aprire la porta, perchè ci si poteva trovare quasi sicuramente in presenza di una Fireball! La Fireball, come si chiama in gergo, è una brutta, bruttissima bestia. Quando si verifica un incendio in uno spazio ermeticamente chiuso il fuoco "consuma" tutta l'aria portando la temperatura interna intorno ai 5000 °C il fuoco, però, può non spegnersi completamente e "nascondersi" in attesa di "cibo". Se si apre una porta l'ossigeno presente all'esterno funge da gas infiammabile innescando una vera e propria esplosione che divora tutto quello che gli si para davanti.
Passai l'esame con il massimo del punteggio. Finalmente ero un pompiere a tutti gli effetti. Basta con i campi estivi nella forestale o con i weekend come ausiliario volontario. Superammo il corso insieme, io e Rob. Era il mio migliore amico, il mio amico di sempre. Da che ne ho memoria, noi due, abbiamo sempre avuto la passione per il fuoco, perché quello che lega un pompiere al suo lavoro è la passione per il fuoco, il fascino primordiale per questa forza indomabile. È qualcosa di primitivo! Da ragazzini più di una volta abbiamo rischiato di ridurre in cenere le nostre rispettive case con i nostri "esperimenti". Lo sapevate che con clorato di potassio, cera per mobili e vasellina si può fare dell'ottimo esplosivo al plastico? Bhe noi l'abbiamo scoperto a 15 anni e per poco non ci rimettevo una mano. All'epoca io ero la mente, con la mia passione per la chimica e Rob era la mia parte folle, quella che mi spingeva ad osare e a far casino.
Rob, figlio di pompiere, aveva già provato a dare l'esame tre volte ma era stato sempre respinto. Insufficiente nella parte teorica. Aveva un gran fisico è vero ma da amico posso affermare che usare il cervello non era il suo forte. La quarta volta, per lui, fu la volta buona... grazie a qualche piccolo aiutino della provvidenza.
La nostra prima uscita in squadra fu una sera d'inverno. Un corto circuito aveva provocato un incendio in un magazzino vuoto vicino al porto. Doveva essere una cosa facile, roba da manuale. Noi reclute eravamo nelle retrovie. Il nostro compito era quello di lanciarci giù dalla camionetta, srotolare la pompa e collegarla all'idrante più vicino. Una volta fatto questo eravamo di supporto che, era un codice per dire: "Guardate come si fa senza toccare nulla!" Scendemmo dal quattro assi mentre era ancora in movimento ed in una manciata di secondi il nostro lavoro era già finito. Mentre gli "anziani" si gingillavano spiegandoci come si deve o non si deve manovrare per domare un fuoco di quell'entità il cuore ci batteva all'impazza. All'improvviso una sagoma scura ed indistinta apparve dalla porta spalancata e fumante del magazzino. Una donna sulla cinquantina, portati male, coperta di stracci e fuliggine rotolò fuori dalle fiamme rimanendo supina al suolo. Tra un colpo di tosse ed un respiro stentato e rantolante ci disse che dentro c'era il suo compagno. I due si erano accampati li da qualche giorno per cercare di far fronte più facilmente al gelo delle notti natalizie. La donna sorpresa nel sonno dal fumo non era riuscita a far svegliare il marito ed era corsa il più velocemente fuori per cercare aiuto. Nel momento stesso in cui quella triste "bambola di pezza" pronunciò la parole: " ... c'è anche lui dentro...", Rob schizzo verso le fiamme come un cane che viene chiamato per il pasto. Non feci nemmeno in tempo a dirgli di stare calmo che lui era già scomparso tra le lingue arancioni.
<<Ma che diavolo vuole fare quell'idiota!?>> i Senior erano incazzati neri. Io ero terrorizzato. All'improvviso un tonfo ed un grido acuto. Non sapevo cosa fare, erano già dieci minuti che il mio amico era lì dentro. Presi il coraggio a due mani insieme al bocchettone dell'idrante. Mi inzuppai d'acqua per cercare di resistere qualche secondo in più all'immenso calore del magazzino, oramai, completamente in fiamme e gocciolante mi gettai nella mischia. Il caldo era insopportabile, la gola mi si stringeva per il fumo e respirare era quasi impossibile. Gli occhi mi bruciavano e non riuscivo ad orientarmi in quel labirinto rovente. Uno solo era il filo d'Arianna, la voce di Rob che mi chiamava e chiedeva aiuto. Oltrepassai delle casse che scoppiettavano come fuochi d'artificio e finalmente lo vidi... Era riverso a terra, mi guardava con gli occhi sgranati e chiamava il mio nome. Una trave si era staccata dal solaio, già marcio, e l'aveva preso in pieno. Poco più in la, in un angolo, il corpo raggomitolato di un uomo sulla sessantina. Provai a spostare il peso che bloccava Rob ma nulla da fare. Mi pregava di aiutarlo, di salvargli la vita, piangeva. Niente scene da eroe, niente : " Ormai è troppo tardi, vivi anche per me amico mio." La realtà è fatta di grida e lacrime, ed ha l'odore di fumo e paura. Promisi che l'avrei salvato, che sarei tornato con i rinforzi. Gli promisi che gli avrei offerto una birra ghiacciata nel bar dove c'era la cameriera che gli piaceva tanto, quella con le tette enormi. Rob mi lasciò la mano, mi misi il vecchio in spalla e andai verso l'uscita. Sentivo caldo, l'aria mi mancava e non vedevo quasi nulla tra la fuliggine ed il sudore che mi colava dalla fronte facendomi strizzare gli occhi. Portai l'uomo fuori, respirava ancora. I miei compagni mi afferrarono giusto in tempo prima che cadessi a terra; ero sfinito. Ma non potevo restare lì steso. Cercai di rialzarmi, mi divincolavo più che potevo ma non mi lasciavano andare, mi dicevano di calmarmi, che ero un eroe.
<< C'è ancora Rob li dentro, è bloccato!>> cercai di spiegargli ma il fumo mi aveva tolto la voce. Ricordo solo la porta del magazzino bruciare ed all'improvviso un'esplosione e poi nulla, il buio. Mi svegliai dopo tre giorni in una camera bianca con un inconfondibile puzza di disinfettante e piscio... ero in ospedale. Mi dissero che erano esplose delle vecchie bombole di gas che erano conservate nel magazzino. Mi dissero che il vecchio si era salvato e che mi ringraziava. Mi dissero che il sindaco aspettava che mi rimettessi per consegnarmi la medaglia al merito per quell'atto eroico. Mi dissero che Rob era morto.
Non riuscirono a trovare nemmeno il corpo, c'erano rimasti solo il casco e gli stivali d'ordinanza mezzo bruciati. Piansi per giorni interi o forse non piansi affatto. Il dolore, quando è profondo, quando è troppo assume forme strane. Mi vedevo dall'esterno compiere con fastidiosa ripetitività i gesti comuni di ogni giorno, vuoto, spoglio, con un buco nel petto e nemmeno una cicatrice che giustificasse la mia vigliaccheria. Dal suo funerale il senso di colpa prese forma. Iniziai a vederlo dietro ogni angolo, al finire della strada, nel parcheggio di casa mia. Era l'uomo che mi lavava i vetri al semaforo, quello che mi spingeva in metropolitana o il brivido che mi saliva dalle spalle fin sulla nuca. Avevo iniziato a sognarlo. Lo vedevo bruciare in quel magazzino, ardere vivo mentre mi pregava di aiutarlo e così tutte le notti ed ogni notte vedevo il suo viso deturpato dalle ustioni, solo i suoi occhi verdi, enormi, erano rimasti gli stessi, erano occhi che mi fissavano anche al buio. Non raccontai nulla dei miei sogni e delle mie visioni. Erano il mio segreto. Non mi avrebbero fatto salire mai più su di una autobotte e non potevo permetterlo, dovevo continuare a far vivere il nostro sogno; dovevo farlo per lui.
Dopo qualche mese tornai al lavoro. I miei incubi continuavano incessanti ma i miei "sogni" ad occhi aperti si facevano sempre più rari. Riuscivo a mantenere una parvenza di normalità.
Al primo anniversario della morte di Rob tutto peggiorò. Forse il rimorso aveva scavato troppo in profondità, forse la mancanza di sonno iniziava a farmi vacillare. Accadde il giorno esatto della sua morte, da li a un anno che lo sentì per la prima volta. Sentivo la sua voce, profonda, quasi rauca chiamare il mio nome, accusarmi di averlo tradito, di averlo ucciso. Continuavo ad avere gli incubi, mi svegliavo di soprassalto ed il telefono allora squillava... una voce familiare rideva dall'altro capo del telefono dicendo che non ero un eroe, che ero destinato all'ultimo girone dell'inferno. Toccai il limite, pensai di farla finita ma non potevo, ero troppo debole per farlo o troppo forte, sapevo che era la mia mente a giocarmi questi brutti scherzi ma non sapevo come fermarla.
Una sera una chiamata anonima in centrale ci avvertì della presenza di un incendio nel centro città. Ci lanciammo giù dalle brande. In fretta e furia indossammo tutto il necessario e ci abbracciammo alla pertica per scendere al garage. Salimmo sulla camionetta ma quando Frank, il pilota, girò la chiave nel quadro una fiammata lo investi in pieno volto, non ebbe nemmeno il tempo di gridare.
Ci dissero che lo sterzo era stato sabotato.
Era stato svuotato il vano per l'airbag ed al suo posto inserito un flacone pieno di ANFO, una miscela di gasolio e nitrato d'ammonio. Il cavo dell'accensione aveva fatto da innesco.
Il giorno dopo i servizi interni vollero parlare con me. Dicevano che l'attentatore doveva per forza essere un "interno." La complessità della bomba, il fatto che fosse stata manomessa la camionetta che rimaneva raramente incustodita non dava adito ad altri sospetti. Iniziarono a dire che la morte del mio amico era stata un brutto colpo e che i miei colleghi erano preoccupati per me, per la mia salute... mentale. << Sto benissimo!>> gli dissi, mentendo a me stesso, e che il mio unico obbiettivo ora era quello di trovare il bastardo che aveva ucciso Frank. I loro visi rimasero immobili con la mascella serrata. Il più anziano di loro respirò a fondo ed alla fine mi chiese:
<< Puoi spiegarmi cosa ci fa nell'armadietto di un pompiere del nitrato d'ammonio?>> Sbiancai!
<< Non penserete mica che sia stato io...>> dissi.
<< Noi non pensiamo nulla...>> replicò l'agente più anziano,
<<... vogliamo solo sapere cosa ci fa un componente chimico pericoloso come quello in possesso di un pompiere nella cui unità è stato ucciso un collega con una bomba fatta in casa, proprio con quel tipo di sostanza!?>> mi scandì le ultime parole gettando sulla scrivania le foto dell'autopsia di Franky. Un conato mi salì alla gola.
<< Le giuro signore... non ne so nulla, noi eravamo amici non avevo nessun motivo per fargli del male mi creda, la prego.>> dissi quasi implorando. Era solo un'inchiesta interna, nulla di ufficiale per il momento. Non bisognava dare troppa eco alla notizia di sospettati all'interno del corpo, ero libero ma sapevo che tutti gli occhi erano puntati su di me.
Decisi di tornare a casa per sistemare le idee e calmarmi. Mi stavo preparando la cena quando squillò il telefono. Risposi pensando a Rob. Era la voce di Ed l'addetto alla manutenzione dell'autopompa. Mi disse che c'era un problema con il bocchettone d'emergenza e che gli serviva una mano per svitarlo, i ragazzi erano in servizio e non c'era nessun altro che poteva aiutarlo. In dieci minuti fui li. Quando era vuota e silenziosa la centrale aveva un aspetto sinistro, forse perché si è consapevoli che se li c'era calma da qualche parte, in città, qualcuno rischiava la vita... Entrai in officina ma non c'era traccia di Ed.
La luce filtrava dalla porta del bagno socchiusa.
<< Ed, sono le dieci, ho lasciato la cena sul fuoco per venire ad aiutarti quindi esci da...>> le parole mi si spensero tra i denti. Edward era riverso al suolo in una pozza di sangue con un coltello conficcato nel petto e sul viso, come impressa nella cera, un'espressione di puro terrore. Chiamai aiuto. Cercai di rianimarlo. L'ambulanza arrivò in pochi minuti ma era troppo tardi.
<< La vuoi smettere di prenderti gioco di noi?>> le grida del capitano Richardson dei servizi interni mi trascinarono via dai miei pensieri.
<< Frank che muore bruciato con del nitrato d'ammonio che troviamo nel tuo armadietto. Edward pugnalato con un coltello in dotazione ai pompieri, tu ti trovi sulla scena del delitto e l'unico coltello che manca dagli equipaggiamenti è il tuo. La smetti di prenderci in giro?>> gridò infuriato. << Le ripeto che ero qui perché Ed mi ha chiamato a casa. Mi ha detto che gli serviva aiuto con il bocchettone d'emergenza e quando sono arrivato l'ho trovato così!>> dissi stringendo i pugni tanto che le nocche mi si erano sbiancate.
<< Non dire stronzate!>> gridò,
<< Abbiamo controllato i tabulati e non c'è nessuna telefonata di Edward verso il tuo appartamento nè dalla centrale nè dal suo cellulare!>> Rimasi a bocca aperta, non sapevo cosa dire, non ero sicuro di niente. Forse ero stato io a fare tutto quello. Il coltello, la bomba. Forse avevo lasciato morire Rob di proposito. Forse ero davvero pazzo e non mi rendevo conto di quello che facevo. Non vollero accusarmi ufficialmente, volevano essere totalmente sicuri prima di scatenare l'opinione pubblica su quello che era stato l'eroe della città.
Non ero ancora in galera ma ero esonerato dal servizio e pedinato giorno e notte da una pattuglia della polizia. Passai più di una settimana tappato in casa aspettando il momento in cui sarebbe entrati per prelevarmi e sbattermi nel braccio della morte.
Fu quella notte che ricevetti l'ultima telefona della mia vita. Era notte fonda. Cercavo senza successo di dormire, quando suonò il telefono. Alzai la cornetta con la lentezza di chi spera di svegliarsi da un incubo. La voce dall'altro capo era quella di sempre, profonda e roca.
<< Tutto questa notte. È arrivato il tuo inferno!>> disse in un attimo che durò il tempo di una vita intera.
<< Chi sei, cosa vuoi da me?>> gridai ma a rispondermi era rimasto solo il telefono muto. Continuai a pensare a quelle parole... tutto questa notte... Non sapevo cosa fare ma le gambe mi portarono alla centrale dei vigili del fuoco. Ancora una volta era deserta. I ragazzi erano fuori a rischiare la pelle e senza Ed a sorvegliare il "forte" quel posto così familiare sembrava ancora più desolante. Mi avvicinai all'ingresso senza sapere perché ero li e ad un tratto il baluginio di una luce attirò la mia attenzione. La luce proveniva dal seminterrato. Ma come era possibile, che fosse rimasto qualcuno in vece di Edward? Eravamo già in carenza di personale prima dell'inizio di quell'incubo... Sgattaiolai piano verso le scale che davano al piano interrato. Dopo i primi due gradini un odore intenso di cherosene mi investì. Continuai a scendere le scale e dall'apice del cono di luce della torcia intravidi la figura di un uomo.
<< Chi sei, fatti vedere?>> intimai alla figura cercando di tener ferma la voce. Il suono di una risata rauca riempì il vuoto buio di quella stanza.
<< Rob sei tu?>> chiesi, non credendo a quello che la mia bocca aveva appena pronunciato!
<< Vedo che non sei cambiato per nulla, sempre il solito sognatore che eri da ragazzo!>> ripetè la voce con aria sempre più divertita.
<< Ma allora sei ancora vivo Rob, perché per tutto questo tempo...>> la figura lentamente si portò alla luce e dalla mia memoria un volto si fece strada. Non potevo credere a quello che le mie pupille stavano fissando!
<<Signor Johnson!? >> dissi con un filo di voce.
Glen Johnson pompiere in pensione pluridecorato, un vero eroe nella mia città. La sua leggenda fece nascere in me il sogno di diventare pompiere. Ero amico del suo più grande fan, Robert Johnson, suo figlio...
<<Fino all'ultimo ti sei cullato nell'utopia che mio figlio fosse ancora vivo, vero piccolo bastardo!?>> disse con un ghigno che non gli avevo mai visto in viso. Era puro odio!
<< Ma perché signore, perché tutto questo?>> ripetei incredulo.
<<Perché mi chiedi? La squadra è una famiglia e non si abbandona mai la famiglia! Per quarant'anni mi sono buttato tra le fiamme per aiutare la mia squadra e ne sono orgoglioso. Ogni cicatrice che ho sul corpo è un gesto d'amore e tu avresti dovuto fare altrettanto con mio figlio ma lo hai tradito!>> il viso trasfigurato in una maschera tragica.
<< Signore mi creda è stato un incidente, ho provato in tutti i modi a salvare Rob ma non sono stato abbastanza forte. Io non cerco alibi, mi uccida pure se questo potrà farla stare meglio ma mi spieghi perché a dover morire sono stati i "ragazzi".>>
<< La squadra lavora bene se si muove come un sol uomo e come un sol uomo deve spegnersi.>> <<Ma allora perché non ha ucciso anche me?>>
<< Perché non te lo meriti. Tu sei soltanto uno sporco traditore e non meriti di riabbracciare Rob. Marcirai in galera per l'omicidio dei tuoi compagni e alla fine della tua agonia brucerai all'inferno dove è il posto per i traditori della famiglia!>>
<<Ma allora è stato lei a cercare di incastrarmi?!>>
<<Certo! Conosco tutti qui dentro, vi conosco da ragazzini ed i tuoi superiori erano delle mezze tacche quando io già comandavo la squadra. Conosco questo posto meglio di casa mia, ho passato più tempo qui che li! È stato uno scherzo entrare ed uscire passando inosservato e poi Ed... mi sono presentato con delle birre e con la proposta di guardare insieme la partita.>>
<<Ma la telefonata? Io ho parlato con Ed ne sono sicuro...>>
<<Certo che hai parlato con Ed, o meglio, hai parlato con la sua voce registrata. Ti ho chiamato da casa mia facendoti ascoltare la telefonata che mi fece qualche mese fa. Sapevo che sconvolto com'eri non avresti fatto caso nemmeno ad un elefante che ti parcheggiava in salotto... mi hai addirittura scambiato per mio figlio. Il suo cappotto, la voce tenuta un po' più bassa ed eri pronto per il manicomio.>>
<< Per tutto questo tempo eri sempre tu...! Maledetto pazzo ora cosa vuoi da me!?>>
<< Te l'ho già detto. Ora è il momento di finire tutto...>>. In quel momento il mio sguardo cadde su ciò che il buio ed il corpo del vecchio avevano celato fino a quel momento. Una decina di barili di kherosene erano collegati al cavo della campanella antincendio. Nel momento in cui ci fosse stata un emergenza l'allarme avrebbe innescato l'esplosivo radendo al suolo la centrale e cancellando per sempre le vite dei suoi abitanti.
<< Non permetterò che tu lo faccia, non ti lascerò infangare così la memoria di Rob!>> Con un balzo gli fui sopra. Nonostante l'età la sua presa era ferrea. Avrei avuto sicuramente la peggio, quando in lontananza si sentii l'inconfondibile suono della sirena della camionetta che tornava in caserma. Fu un attimo, soltanto un attimo. Johnson allentò la presa rapito dal suono di quel canto piacevole e familiare e da una vittoria assaporata troppo preso. Colsi il momento. Strappai la torcia dalle sue mani e con tutta la forza delle mie braccia la usai per colpirlo in testa. Johnson caracollò sui bidoni di kherosene vistosamente stordito. Approfittai della situazione per correre fuori e cercare di fermare l'autobotte che sentivo sempre più vicina. Delle risate isteriche e sconnesse fermarono la mia ascesa al piano superiore. Da giovane il capitano Johnson doveva essere davvero infaticabile e parte di quella tempra gli era senz' altro rimasta, infatti, aveva già incassato il colpo ed ora, in piedi in una pozza di petrolio stringeva tra le mani la leva dell'allarme anti incendio. Mi guardò fisso negli occhi e in quell'istante fu evidente tutta la fragilità ed il dolore di un uomo troppo anziano e troppo solo per andare avanti.
<< Io vorrei soltanto poter tornare a casa di mio figlio e trovarlo li ad aspettarmi...>>. Una lacrima scese sul suo viso insieme alla mano che stringeva la leva.
Si parlò per settimane di quella inquietante storia. Del pompiere che impazzito aveva prima ucciso il suo migliore amico e poi cercato di uccidere tutti i suoi colleghi. Non era stato possibile riconoscere il corpo. Il fuoco e l'esplosione avevano lasciato ben poco ma furono rinvenuti un mazzo di chiavi appartenenti al sospetto nel piano interrato della centrale e la sua auto parcheggiata nei pressi della stessa. L'ex eroe cittadino era sicuramente morto nel tentativo di completare la sua "opera." Un innesco accidentale, doveva aver incendiato i barili di kherosene coinvolgendolo nell'esplosione. I giornali consumarono quintali di inchiostro e di fantasia per raccontare la macabra storia.
Io, morii quella notte. In quel rogo si spense la mia vita ed il mio nome. Per voi, una storiella che si racconta in un bar o una filastrocca per bambini. Per la gente che passando mi lancia un'occhiata fuggiasca e cammina dritto, per le leggende che si raccontano nel quartiere ed anche per me io sono e sarò per sempre Cenere!
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0 recensioni:
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Anonimo il 01/04/2012 20:36
Sei bravissimo a scrivere e anche questo racconto mi ha rapita!
Una piccola richiesta però... mi piacerebbe leggere un altro racconto con un lieto fine. Si lo sò, una richiesta infantile ma, di tanto in tanto ne ho bisogno Anna Rita Iotti. Ciao e grazie per le belle letture che doni!!!
- Anzi, neppure, perchè sto cesso di sito se il commento resta anonimo i punti non li dà: beh, pazienza, tanto ne ho da sprecare.
Anonimo il 01/04/2012 16:23
E siccome, come ho già visto succedere spesso, PR è sempre più difettoso e ora non di rado fa perfino perdere nome e avatar del commentatore, mi vedo costretto a regalarmi altri due punti per precisare che l'autore del precedetne commento è MASSIMO BIANCO. Saluti.
Anonimo il 01/04/2012 16:20
Beh, niente male! La storia pur senza particolari estri si fa leggere, la scrittura magari quale a là è perfettibile, ma il giudizio è positivo.
- Grazie tante, sei troppo buona. L'ho ritrovato sfogliando una delle mie agende (disordinatissime e caotiche) per gli appunti. L'ho scritto qualche anno fa ma visto che, all'epoca, mi piacque molto ho deciso di "regalargli" un po' di "vita"! XD
- Complimenti! racconto molto più maturo ed elaborato del precedente. Avvincente e ben scritto.. continua così!!
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