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Il muro
Lipsia, D. D. R. 7 Luglio 1950
Walter Henke stava camminando lungo il viale alberato che collegava l'edificio universitario alla sua abitazione, come ogni pomeriggio degli ultimi quattro anni, ripercorrendo a ritroso l'analogo tragitto compiuto al mattino. Finita la guerra, svestita quella divisa che non aveva mai amato, aveva ottenuto una cattedra presso l'università della sua città. Insegnava storia, e gli studenti seguivano le sue lezioni in rispettoso silenzio Conservava dentro di sé, però, un'inquietudine che derivava dalla consapevolezza di essere stato ad un passo dalla gloria, la sola cosa che considerasse veramente preziosa. Non certo per questione di denaro, al quale non aveva mai dato molta importanza. Quello che desiderava era la possibilità di legare il suo nome a una scoperta archeologica, e solo l'improvvisa ritirata dall'Italia nel 1944 glielo aveva impedito, costringendolo a richiudere un coperchio appena sollevato, scrutando per un solo momento quello che cercava da una vita.
Dopo la fine della guerra, riuscendo con mille difficoltà a ricostruire un'esistenza che quell'assurda tragedia aveva rischiato di demolire per sempre, recuperata la dignità ottenendo la docenza universitaria, aveva però dovuto subire, insieme a milioni di connazionali, le conseguenze di un assurdo destino. La Germania era stata divisa in due, e lui divenne cittadino della Repubblica Democratica Tedesca.
Dopo un tragico tramonto, un'alba infausta.
Rientrò a casa verso le sei del pomeriggio.
- Marta! -
- Sono qui, caro, in soggiorno. Vieni, per favore, abbiamo visite! -
Non erano abituati a ricevere visite inattese, e le improvvisate lo irritavano.
Si affacciò alla porta del soggiorno, vide la moglie che stava conversando con un uomo di cui non poteva vedere il volto perché seduto di spalle. Nel frattempo questi si era alzato in piedi voltandosi verso di lui con studiata lentezza.
- Buona sera, professor Henke, o devo chiamarla capitano? -
Aveva davanti un perfetto sconosciuto, ma il suo modo di fare era inquietante. Decise di rimanere sulle difensive.
- Con chi ho l'onore di parlare? -
- Ma, caro, è un tuo vecchio amico, il capitano...-
- Niente nomi, signora, per favore. Non hanno alcuna importanza. -
Henke ebbe un sussulto. Quella frase, quei gesti, quello sguardo! Potevano voler dire solo una cosa. Gestapo!
Marta Henke ammutolì, e si avvicinò al marito, giungendo alla sua stessa conclusione. Si strinse a lui impaurita guardando con terrore quell'uomo che, facendo finta di scrutare fuori della finestra, stava invece studiando ogni loro mossa.
Il professore si stava domandando come fosse possibile; per quanto ne sapeva lui, quell'organizzazione era stata sciolta alla fine della guerra ed i suoi capi condannati per crimini contro l'umanità.
- Per favore, ci dica che cosa vuole da noi! -
- Non sia così scontroso, professore. Questa è una visita di cortesia. Sono il nuovo funzionario della commissione politica di controllo dell'università, e mi sono permesso di disturbarla a casa per conoscerla. -
- Poteva benissimo farlo in facoltà, dove mi può trovare tutti i giorni. Per
quale motivo è venuto qui? -
- Glielo appena spiegato. Ma vedo che non mi crede. Mi dispiace, avrei voluto iniziare meglio questo incarico. -
L'uomo, visibilmente irritato, si mosse verso l'uscita, come per andarsene. Fatti pochi passi però ritornò indietro, prendendo dei fogli dalla tasca della giacca.
- Scusi professore, quasi dimenticavo. Può dirmi che cosa sono questi? -
Walter Henke riconobbe subito quei documenti. Erano i suoi appunti presi in Italia, durante la guerra. Riguardavano una cripta in cui era conservato un antico sepolcro. Trascrizioni, minuziose riproduzioni di bassorilievi, planimetrie topografiche con precise indicazioni dei luoghi. Un tesoro per lui e per la cultura, uno scrigno che purtroppo per quell'ottuso funzionario non rivestiva nessuna importanza, se non in veste di possibile atto d'accusa. Erano tempi, quelli, in cui si poteva essere facilmente rinchiusi per cospirazione.
La sorpresa mostrata dal professore lasciò subito il campo all'indignazione quando si vide strappare quei fogli dalle sue mani.
- Come osa? Sono di mia proprietà, e lei non ha nessun diritto di entrare nel mio ufficio per prendere cose che non le appartengono! -
- Risponda alla domanda, professore. -
- Sono gli appunti di uno studioso. Lei non può...-
- Silenzio! Lei non può dare ordini. Solo riceverli. Chiaro? -
L'ex Gestapo terminò di parlare con un sorriso sul volto molto più simile a una smorfia. Poi con evidente fastidio incalzò Henke urlando.
- Perché erano nascosti in un doppio fondo della sua scrivania? -
Henke capì che se non avesse collaborato ne avrebbe pagato le dure conseguenze.
- Sono documenti che per me hanno un alto valore perché frutto di studi lunghi e minuziosi. Volevo evitare che potessero confondersi con altre carte. Mi creda, io non...-
- Lei si deve attenere alle procedure, che non prevedono l'occultamenti di documenti di alcun genere. Si limiti all'insegnamento ciò che è contemplato nel programma. -
- Non vorrà insegnarmi il mio lavoro, adesso!.
- E lei non abbia la pretesa di insegnarmi il mio! -
L'uomo chiuse in quel modo sgradevole la conversazione, e riponendo i documenti in tasca, se ne andò sbattendo la porta.
Walter e la moglie si guardarono a lungo. Sapevano dell'esistenza di una polizia segreta dedita al controllo dei cittadini della Germania Orientale, ma non pensavano che potesse spingersi a tali livelli di intromissione. Soprattutto non avrebbero mai creduto che potessero annoverare tra i propri componenti elementi della Gestapo.
Andò verso la finestra e chiuse istintivamente le tende, cercando in qualche modo di interporre una protezione tra la sua famiglia e l'esterno. Nel frattempo Marta corse al telefono per chiamare la sorella, che abitava sulle Alpi bavaresi. Quell'estate la loro piccola Hanna era riuscita a convincerli di permetterle di trascorrere una vacanza a casa della zia, in mezzo ai boschi. La calma voce della sorella e il successivo colloquio con la bambina li tranquillizzò.
Marta sapeva della cripta. Laureata in letteratura latina, aveva collaborato con il marito nell'interpretazione dei documenti e nella consultazione dei testi. Stavano progettando un viaggio in Italia, anche se ancora non ne avevano parlato con nessuno. In quel momento capirono che forse dovevano la loro libertà a quel silenzio. Inoltre ebbero ben chiara la visione di ciò che li aspettava negli anni a venire, di quanto vane ed illusorie fossero le loro speranze di essere usciti per sempre dalle mire di un regime spietato. In quel momento si resero conto di aver solo cambiato padrone.
Lipsia, D. D. R. 9 Novembre 1989
Walter Henke, impegnato nella solita passeggiata, stava camminando lungo il viale alberato che conduceva all'università. Il freddo pomeriggio autunnale lasciava presagire una serata gelida. Grumi di fiato rappreso si confondevano con la leggera foschia che cominciava ad abbassarsi, e le poche persone in giro a piedi che ne erano causa camminavano con un passo così rapido da sembrare del tutto inconsueto ai suoi occhi. Piccoli mondi in movimento, ognuno alle prese con le proprie storie e i propri problemi, di solito tracciavano in solitudine le proprie orbite che quella sera sembravano invece convergere tutte verso lo stesso punto. Il professor Henke, docente universitario di storia in pensione da quattro anni, stava meditando sulle sordide vicende umane che lo avevano costretto a vivere sotto due dittature consecutive, e a tutti i progetti di una vita che aveva dovuto abbandonare.
Arrivato in fondo al viale entrò in un bar. Aveva bisogno di una bevanda calda. Sul fondo del locale vide un piccolo assembramento che andava aumentando di consistenza. Visibilmente eccitate le persone che ne facevano parte ascoltavano con molto interesse un notiziario televisivo.
Si sedette e fece la sua ordinazione. Aspettò qualche minuto leggendo un quotidiano, finché non gli portarono la tazza di caffè che aveva chiesto. Ne bevve subito un sorso, ricevendone un immediato sollievo. Attirato dal clamore della discussione, rivolse il suo sguardo verso quel gruppo vociante. Notò un tavolo al quale era seduto un uomo vestito con abiti dimessi, visibilmente ubriaco, che stava inveendo contro le altre persone. Erano trascorsi quasi quarant'anni da quando era uscito da casa sua sbattendo la porta. Si alzò in piedi per sedersi al suo fianco.
Del gruppo facevano parte molti studenti, che lo accolsero con grida di allegria. Pur essendo in pensione da qualche anno, continuava a frequentare l'ateneo, dove la sua popolarità era rimasta inalterata.
Il suo nome, pronunciato ad alta voce da più parti, suscitò immediatamente l'attenzione dell'ubriaco, altrimenti impegnato ad inveire contro la moltitudine festosa. Lo sguardo fosco e la voce impastata, l'evidente tremolio delle mani e un fetore insopportabile di urina e vomito erano il biglietto da visita di quel relitto umano.
- Lei, sporco sovversivo! In lei e in quelli come lei risiede la causa di tutto ciò che sta succedendo a questa nazione. Guardi là, guardi come siamo ridotti! Andatevene, via, via! -
L'ex funzionario governativo fece la sua invettiva additando il televisore che intanto mostrava immagini della capitale, dove assembramenti di moltitudini di persone manifestavano davanti al muro, senza mostrare alcun timore rivendicando a gran voce il diritto di poter attraversare i varchi. Henke lo zittì.
- Lei, io, tutti quelli che sono qui stasera, e quelli che a Berlino e nel resto del paese stanno manifestando, siamo solo pedine nelle mani di un qualcosa, di un volere superiore che pazientemente e sapientemente tutto riordina e tutto rimette a posto. Non riesce davvero a rendersi conto del perché, pur essendo sempre stato attento a scegliere il carro giusto, quello dei vincitori, alla fine lei ha perso? Avrebbe dovuto leggere qualcosa di più, invece di sorbirsi tutta quella dottrina di partito che ha atrofizzato la sua capacità di discernimento. Stia tranquillo, comunque non sono solo quelli come lei ad aver perso. Tutti abbiamo perso, in questo maledetto paese! Con una differenza, però. Quella esistente tra chi riesce a dare una spiegazione logica agli eventi e da essi ne trae insegnamento e chi invece prosegue ininterrottamente il suo percorso, errore dopo errore, precipitando sempre più giù, e alla fine si ritrova a sguazzare nel proprio piscio e nel proprio vomito, inveendo contro un televisore acceso. Può sempre spegnerlo il televisore se le procura sollievo, non certo la sua coscienza, che continuerà imperterrita a fare il suo lavoro. Lavoro che a giudicare da quel che vedo finora è stato compiuto alla perfezione. -
Una voce proveniente dal gruppo attirò la sua attenzione.
- C'è da fidarsi a passare per l'Ungheria? -
- Sì, per finire nei vagoni piombati, come quelli che ci hanno già provato! -
- Professore! Lei che dice? -
Henke sapeva che, qualunque fosse stata la sua risposta, sarebbe diventato in parte responsabile del futuro di molti di quei ragazzi. Ma non era più il tempo di nascondersi, e comunque si sentiva già responsabile a causa del suo silenzio.
- Molti di voi sono stati miei studenti, molti altri più giovani mi conoscono solo di nome, e se ancora siete qui intorno a me ad ascoltarmi, vuol dire che qualcosa ho seminato. Questa non è una lezione di storia, anzi ripensandoci lo è, solo che invece di eventi passati tratta di circostanze future. Naturalmente non sono in grado di dirvi cosa dovete fare voi. Però posso sicuramente dirvi che cosa farò io. Non lascerò mai il mio paese di nascosto, io ho il diritto, come tutti voi del resto, di poter andare dove voglio, di pensare e agire in libertà, senza alcun tipo di condizionamento! -
Il breve discorso suscitò immediatamente un dibattito, finché una voce si levò al di sopra delle altre.
- Sì, professore, però quando potrà avvenire questo, noi... -
- Alza il volume, presto -
- Dicevo, professore... -
- Aspetta un attimo, ma che sta dicendo? -
- Siamo liberi... Liberi...-
- Professore, ma è vero quello che dicono in televisione? -
Walter Henke non rispose, perché stava piangendo, tranquillamente, innocentemente piangendo. Il Ministro della Propaganda nonché membro del Politburo Gunter Schabowski, aveva appena recitato in tv queste testuali parole:
" Per accontentare i nostri alleati è stata presa la decisione di aprire i posti di blocco... Quest'ordine diventa efficace immediatamente"
Il televisore proseguì a trasmettere in diretta le immagini di migliaia di berlinesi dell'Est attraversare indisturbati il muro, sotto lo sguardo inebetito delle guardie, i famigerati Vopos che quella sera, per la prima volta nella loro vita, cominciarono a porsi delle domande.
Il vecchio commissario politico dell'università guardava le immagini della tv come se stesse vivendo un incubo. In fondo, fuori della porta a vetri, si poteva scorgere il vecchio professore allontanarsi lungo il viale alberato, e presto sparire nella nebbia.
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1 recensioni:
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- Ottimo racconto, forse anche troppo condensato ma benissimo scritto e che condivido in pieno come stile e come contenuto. Qualche accenno in più allo stile di vita delle due dittature lo avrebbero reso più completo. Ma anche così posso dire solo complimenti e cappello!
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