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Greta, una giornata qualunque

Quella mattina, svegliandosi, Greta non aveva previsto che il tanto atteso inverno avrebbe gelato le sue viole. Le custodiva con cura, gelosamente. Erano un'ossessione forse. Il colpo fu duro. Le viole giacevano sgualcite sotto il pesante freddo e parevano tanti corpicini straziati da una terribile epidemia. Avrebbe voluto piangere, il cuore si strinse in una morsa di dolore. Le sue viole se n'erano andate. Aveva costruito quei vasi con cura. Modellati, rifiniti, cotti. La terra, quella migliore. Distrusse tutto. Frantumò i vasi in mille pezzi. E sotterrò i resti, quasi simulando un triste rito pagano. Le sue viole erano morte, nient'altro contò di più in quel giorno. E con esse, il sole tramontò veloce.
La mattina successiva Greta si svegliò di buon'ora. Erano appena le sei e mezzo quando decise che la sua giornata sarebbe cominciata. Si dedicò al proprio corpo. Voleva sembrare bellissima, così quel giorno dettava. Si truccò addirittura. Non lo faceva da anni. Un rossetto rosso risaltava le sue labbra carnose, che l'età non aveva sciupato. Uscì quando vide il sole nascondersi timidamente dietro le nuvole. Odiava il sole d'inverno come un'assurdità. E ne rideva, spietatamente. Le nuvole la fecero sentire meglio e si avviò percorrendo la strada che portava in centro. Greta amava camminare, in particolare lungo le strade strette, poco affollate. Dove nessuno avrebbe potuto riconoscerla, salutarla, fermarla. Provò subito un senso di ebbrezza nel sentire una goccia di pioggia sul suo viso. E camminò più in fretta, senza sapere dove andare.
Entrò da un fioraio. E fissò un giglio. "Quanto può vivere un giglio?" Chiese. "I gigli vivono molto signora", rispose il fioraio. Guardò fisso l'uomo e lo riconobbe. Attonita Greta salutò e uscì in tutta fretta, con una sensazione mista a rabbia, verso sé stessa, compassione, vergogna. Tutto cambiò. Freneticamente decise di tornare indietro. Piangeva. Inciampò nel tentativo di evitare un sasso. E si fermò. Guardò il vuoto per qualche istante. Poi riprese il suo cammino, più lento, come se a trasportarla ora fossero le nuvole.
Rientrando in casa si spogliò, subito. E pulì il suo viso con una meticolosità inedita per la sua impazienza che da anni sfiorava l'ossessività. Greta viveva sola. Sola con i suoi fiori e le sue inquietudini. A sessant'anni non aveva avuto il coraggio di innamorarsi. Non di nuovo almeno. E godeva della sua solitudine come di un dono. Ne soffriva, come per una sciagura.
Accese la televisione, ma cambiò subito idea. Corse verso il giradischi. Un bel modello anni settanta, l'aveva fatto riparare da poco. L'audio era tornato perfettamente regolare. Ne andava così fiera. Adagio, sul piatto, malinconicamente cominciò a suonare un disco di Guccini. Un sorriso invase le sue labbra. Preparò quindi il pranzo canticchiando una canzone romantica e lo consumò velocemente, come se ad attenderla ci fosse un impegno imminente. Ma non c'era nulla ad aspettarla. Così, dopo aver accuratamente sparecchiato la sua tavola solitaria, si addormentò. Si addormentò pensando che al suo risveglio avrebbe chiesto perdono a Dio.

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1 recensioni:

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  • salvatore maurici il 02/07/2012 15:45
    Un bel racconto, una storia il cui filo conduttore è la paura, quella di vivere il proprio quotidiano, fatto di gesti semplici, di piccole manie, la paura di confrontarsi con gli altri prima ancora con se stessi. In questa attesa i giorni filano via silenziosi e monotoni fino ad un momenti in cui tutto si rimescola e come in un racconto giallo arriva la rivelazione e la liberazione. Il bravo Riccardo da ancora una speranza alla vecchia Greta; rispunteranno le sue amate viole che pensava fossero state perdute per sempre.

1 commenti:

  • Anonimo il 18/09/2014 13:05
    veramente da togliere il fiato complimenti continua così

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