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Una storia semplice
È nato per caso su un giardino a terrazza e nell'angolo più angusto, quasi a raschiare con il suo giovane tronco il muro.
Perchè in realtà di un recinto si tratta, o meglio di una grande vasca di cemento riempita di terra.
Nessuno calpesta quel prato: si dovrebbe scavalcare il muretto e poi lo spazio è così stretto che i due pini, piantati anni addietro, ora si toccano.
Sopra quella scatola verde si affaccia un balcone, un tempo arioso e grande ora ridotto ad una sorta di stanzetta/veranda dalle vetrate scorrevoli con tende veneziane d'occasione che, a rispecchio del tempo, cambiano scenario e da quel palcoscenico, come una vedetta sulla torre, si affaccia lui: il guardiano del pesco.
Fin dalle prime foglie lo ha cresciuto con amore dissetandolo con acqua fresca e nutrendolo con terriccio fertile.
Incontrarlo con la brocca in mano era consuetudine e ne parlava con vanto come un padre orgoglioso.
"Di sicuro qualcuno avrà gettato un osso di pesca proprio quì. Chi sarà stato?" mi chiese un pomeriggio mentre era intento a raddrizzare il fusto della giovane pianta. Non ebbe da me risposta perchè in cuor mio sentivo che non lo voleva sapere veramente.
Quel lavoro di corde e picchetti lo assorbiva con tale entusiasmo che il suo aspetto di uomo tristemente solitario svaniva in quell'angolo verde e le sue dita noccolute e consumate dall'età e dal lavoro, nel fare quei cappi riacquistavano un'agilità che, dal giorno in cui lasciò la sua cara e frettolosa Milano per questo limbo tranquillo, credeva persa.
Così ben sostenuto il giovane pesco affrontò il vento rigido del suo primo inverno, s'imbiancò di neve magica a febbraio e a marzo, nonostante il clima impietoso di una primavera tardiva, sbocciarono, e la notizia mi fu data con la gioia che può dare un lieto evento multiplo, ben trentadue fragili, teneri, piccoli fiori rosa.
Effettivamente vedere quell'arbusto già fiorito allargava il cuore di chiunque si trovasse a passare di lì. Sembrava che con la sua piccola chioma fiorita invitasse il passante distratto a sedersi su quel muretto e sotto la sua timida ombra rinverdire lontani ricordi fino a toccarli ma, a parte qualche passero e una famigliola di bruchi che banchettò, famelica, con circa la metà dei fiori, nessun altro essere vivente raccolse l'invito.
Il nostro amico corse ai ripari come un fulmine ma ormai il danno era fatto e, come se non bastasse, a completare l'opera distruttiva fu un violento temporale che ridusse il numero dei futuri frutti ad otto.
A maggio i conti non tonarono perchè, e ne ignoro tutt'ora la causa, le pesche furono solo quattro ma diventarono tanto grosse e belle da compensare la delusione del numero.
Fu a quel punto che "il guardiano del pesco" onorò a pieno il titolo da me conferitogli.
Pensare di soddisfare quella voglia di pesca appena raccolta che da un po' di giorni mi prendeva era pressocchè impossibile: se non lo vedevo fuori o sul balcone di certo lo immaginavo scrutatore dietro i vetri, finchè un giorno, accorgendomi del numero ulteriormente dimezzato, la voglia divenne tentazione e poi furto.
Senza il minimo rimorso gustai a pieno tutta la bontà che quel frutto seppe darmi, riuscendo perfino a sostenere lo sguardo chiaro e indagatore del mio vicino quando mi elencò il risultato della sua opera: "Sono proprio delle pesche di buona qualità:
due le ho mangiate ma non erano proprio mature, una è stata raccolta... ora resta l'ultima, spero di trovarla ancora appesa al ramo quando sarà ben matura!":
Ritornai in casa proponendomi di evitare il suo sguardo per un pò, proposito che divenne necessità quando la sera stessa mio marito, mi disse con fare sorpreso : " Ma sai che quell'alberello là fuori ha fatto una pesca, e pure buona!".
Quest'anno il raccolto promette bene, quasi quanto i miei buoni propositi di non toccare i frutti altrui eppure ogni tanto avverto un piccolo cedimento... in fondo l'osso lo avevo gettato io.
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