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[Senza titolo]
Il signor Lazzari è nato a Cremona ed è un cugino e parente di Vacchelli. Cugino della moglie del signor Aristide.
Lavora alla FIAT a Torino, il signor Lazzari, dunque si è dovuto trasferire lì ma pensa sempre alla sua bella città, al torrazzo, alla piazza dove tutte le domeniche andava a comprare il giornale e si metteva, bel bello, seduto al sole a sfogliarlo in attesa che il pranzo fosse pronto.
Spesso rincasava troppo presto e il pranzo non era ancora pronto, così tranquillo andava in bagno, si pettinava i capelli e si sedeva a tavola.
"Non è mica pronto!", diceva la moglie affacciandosi dalla cucina.
"Non importa", rispondeva il signor Lazzari. "Aspetto", e riapriva il giornale.
Altre volte, si dovevano fare spese, così il signor Lazzari accompagnava la moglie con la macchina e poi, tranquillo, restava ad aspettare.
"Non entri te?", gli chiedeva.
"No no", rispondeva lui. "T'aspetto in macchina".
E capitava che, spesso, il signor Lazzari volesse andare a mangiar fuori, all'osteria, anche se le visite erano diminuite dal 1935 in poi; così chiamava la moglie, al ritorno dal lavoro, da sotto la finestra.
"Anche stasera?", diceva lei. "No, sono stanca".
"Allora ci vediamo dopo!", rispondeva il signor Lazzari e, tranquillo, si avviava solo all'osteria. Lì cenava sempre con polenta e coniglio o polenta e formaggio o polenta e lepre o polenta e qualche altro avanzo dell'osteria e un bicchiere di vino rosso. Poi, tranquillo, salutava tutti e tornava a casa dalla moglie che era stata ad aspettarlo fino all'ora del ritorno ma che, vedendolo sulle scale, per non dare l'impressione di controllarlo, spegneva la luce quando lui era ancora al secondo piano e, quando infilava la chiave nella toppa, si coricava. C'era questo segreto patto tra di loro: lei fingeva di non aspettarlo, di essere andata a letto tranquilla, invece l'aveva aspettato e dormiva tranquilla solo quando il marito era finalmente rincasato; lui fingeva di non sapere che lei l'aspettasse e, piano, si spogliava fingendo di non volerla svegliare, invece sapeva benissimo che era sveglia. Così andava avanti la loro bella vita insieme.
La moglie, però, un giorno era morta e appena in tempo per non vedere le leggi razziali e tutte le altre sciocchezze e brutalità del periodo; così, il signor Lazzari aveva domandato e ottenuto un trasferimento a Torino e, adesso, lavora lì, alla FIAT.
"Chi è?", chiede un giorno dal suo studiolo il signor Lazzari.
Questi non rispondono e entrano senza permesso.
"Lazzari?", chiede il primo dei due.
"Ahia!", pensa il signor Lazzari. Sono fascisti. Sì, sono proprio fascisti fascisti di quelli neri neri. Sono alti, vestono la grigioverde divisa fascista con tanto di fascia e gradi. Uno ne ha parecchi di gradi.
"Sì", risponde annuendo il signor Lazzari.
"Devi venire con noi", dice il secondo. "Ora".
"Sì", pensa il signor Lazzari, "sono proprio fascisti: impongono il 'voi' e danno del 'tu'".
Il signor Lazzari prende il cappotto, chiude lo studiolo, saluta gli altri e segue i due fascisti. Non prova nemmeno a pensare ai capi d'imputazione, il signor Lazzari: comunista e partigiano, non è abbastanza?
"Sarà quel che dovrà essere", pensa mentre li segue in una specie di caserma.
Entrano e gli fanno cenno di sedersi. Il signor Lazzari si accomoda mentre i due fascisti se ne vanno.
"Lazzari?", chiama un altro ufficiale aprendo una porta.
Il signor Lazzari si alza e quello subito: "Chi ti ha detto di alzarti?", chiede.
"Scusate", fa il signor Lazzari sedendosi di nuovo, "io pensavo..."
"E adesso chi ti ha detto di sederti?", domanda ancora l'ufficiale.
"Siate buono", fa il signor Lazzari. "Capite da voi che o mi siedo o sto in piedi; così a mezz'aria non posso stare".
"Entra", dice l'altro. "E stai in piedi", precisa subito.
Il signor Lazzari si toglie il cappello.
"Lazzari", comincia l'altro sedendosi alla scrivania. "Cos'hai combinato, Lazzari?", e si accende una sigaretta.
"Nulla", risponde lui tranquillo.
"Nulla!", grida l'ufficiale. "Perché per te essere partigiano e comunista è nulla?"
"Non gridate che vi può scoppiare una vena", dice il signor Lazzari. "No", continua, "certo che non è nulla. Sono due cose essenziali per me".
L'ufficiale si siede e spegne anche la sigaretta. Certo, uno come il signor Lazzari non l'aveva mai incontrato prima.
"Sedetevi", dice.
"Grazie", fa il signor Lazzari e si accomoda.
"Dunque, voi non negate?", chiede l'ufficiale.
"Non nego cosa?", domanda il signor Lazzari.
"Voi negate di essere comunista e partigiano?", chiede ancora il fascista.
"E perché dovrei?", fa il signor Lazzari.
"Perché io posso farvi arrestare e deportare", dice l'ufficiale riprendendo vigore.
"Voi fate senz'altro quello che dovete", dice il signor Lazzari. "Come io ho fatto e continuerò a fare quello che devo".
L'ufficiale tace, non sa che dire né cosa pensare: certo, uno come il signor Lazzari non glie era mai capitato prima. Non nega nulla, il signor Lazzari, anzi conferma tutto con assoluta tranquillità.
"Vedete", continua il signor Lazzari, "noi siamo profondamente diversi eppure entrambi si fa quel che si deve, se lo si crede, però".
"Non capisco", dice l'ufficiale.
"Vedete", si spiega il signor Lazzari, "io sono comunista e partigiano, e voi avete l'ordine di deportare tutti i comunisti e partigiani, no?"
L'ufficiale fa un segno di assenso con la testa.
"Allora deportatemi senz'altro", dice il signor Lazzari. "Se questo è quello che dovete fare, fatelo. Io devo fare il partigiano perché non sarei io, non potrei vivere questo momento se non fossi partigiano. Io sento che nella mia vita devo essere partigiano. Voi dovete fare il fascista? Dovete farlo davvero? Lo volete fare? Sentite che non sareste voi altrimenti? Bene. Scavate dentro di voi per una profonda risposta e se questa dovesse essere "sì", deportatemi pure ma non chiedetemi più di rinnegare. Io non nego quello che sono e, quando sarà il momento, non fatelo nemmeno voi". E il signor Lazzari si alza.
"Scusate, dove andate?", chiede l'ufficiale a bocca aperta e con la sigaretta che si consuma lentamente in mano.
"Al treno", fa il signor Lazzari.
"Sedetevi e piantatela!", dice l'ufficiale.
Il signor Lazzari si siede e sorride, perché ha già vinto: qualunque cosa accada, lui ha vinto e lo sa e anche l'ufficiale lo sa, mentre si tasta il petto e si controlla la camicia, forse in cerca di quella profonda risposta, di quel "sì" che è suonato e suona ancora forte e chiaro nelle orecchie del signor Lazzari. L'ufficiale non lo sentirà mai. Il signor Lazzari sempre, fino alla fine: l'ha sentito nelle Langhe la prima volta, mentre le stavano rastrellando; e poi quando i fascisti sono venuti a prenderlo e, ancora, ha sentito quel "sì" sul treno per Mauthausen e, di nuovo, forte chiaro e per nulla inibito o stanco, l'hanno sentito i suoi 30 kg che dall'Austria sono tornati in Italia, a casa, a piedi. E "sì" è stata l'ultima parola che il signor Lazzari ha detto prima di morire, tre giorni dopo la fine della guerra e il ritorno dal campo.
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