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Non chiamate 'eroe' chiunque spenga una fiamma
L'odore di fumo era straziante. Fissando il soffitto che una volta era bianco pensavo alle travi ormai del tutto nere. Vedevo passeggiare quel fumo grigiastro tra le molecole di ossigeno, lo stesso ossigeno che aveva reso possibile la combustione del tredicesimo fiammifero.
Quattordici.
La fiamma mi affascina, la potrei paragonare alla vita.
Quindici, un fuoco intenso. Si spegne senza neppure raggiungere la metà del fiammifero.
Sedici. Accendo, soffio, si spegne.
"Siamo fiammiferi", sussurro ridendo. "La vita è un fiammifero: qualcuno ce la offre, e una volta finito il combustibile, ci spegniamo."
Accendendo il diciassettesimo fiammifero mi resi conto della reazione di Karem al mio gesto precedente. Avevo dato fuoco ad un fiammifero, dopo di che lo spensi io stessa. Conoscevo Karem abbastanza bene da rendermi conto dei ricordi che gli facevo tornare in mente. Era un pensiero che lo tormentava; aver perso il fratello per mano del padre lo aveva segnato a vita.
Diciotto. Fino ad allora Karem non aveva fatto altro che tossire, poi una pausa di silenzio e riflessione.
"Sono le cinque.", la potenza di quelle vecchie batterie per orologio mi sorprendeva.
Karem doveva affrontare una tortura ancora sconosciuta: le cinque senza il suo tè, e siccome era un inglese di ottima qualità, questo doveva essere molto difficile per lui. Il té lo avevamo finito il giorno prima, e anche il resto stava finendo. Che stesse morendo anche la speranza?
L'outside, come lo chiamava Karem, non ne dava molta. Ma sapere di essere tra i pochi a poterlo ancora osservare era positivo. Eravamo superstiti della guerra, ma ce l'avremmo fatta a sconfiggere la fame, una volta finite le provviste? Diciannove, in onore dell'amore. Soppresso e sostituito dall'odio nei confronti di chi lo riteneva un diritto universale. Karem teneva tra le mani piene di cicatrici la sua foto con Mark a Rimini. Loro amavano l'Italia, e quando potevano farlo, venivano in vacanza qui. Scelsero l'anno peggiore però per venire a visitarmi.
Sfiorava il viso di carta lucida del suo perduto uomo. Una sottile striscia della foto diventò ancora più lucida; dall'alto verso il basso l'attraversava la lacrima libera di un uomo imprigionato dall'ignoranza altrui.
"My boy..."
Venti, in memoria di Mark, uno dei primi ad essere giustiziato da funzionari ecclesiastici, dopo che gli era stato vietata la danza classica, ritenuta esclusivamente femminile.
"Quando finirà tutto questo?"
"Soon." o almeno lo speravo.
Ventuno. Per accendere l'ultima Malboro di Alex, che dall'altra parte del mondo nascondeva l'ansia e la preoccupazione dietro al sorriso che era sempre stato il suo guscio protettivo.
"Da quando fumi?"
"È di Alex. Da quando ho nostalgia della sua bocca."
"How sweet.."
Ed era vero. Mi mancava tanto la sua bocca, e quel fumo mi ricordava il suo gettare la sigaretta impaziente di togliermi il respiro con un bacio. Troppo tempo mi separava da quei dolci ricordi, facevo persino fatica a ricordare il suo profumo. Ma era il suo viso che avevo impresso nella mente, ed era la visione continua dei suoi occhi infiniti a darmi forza. Soffiavo nicotina inspirando l'odore del ventiduesimo fiammifero.
Finalmente l'outside prendeva i colori dell'arcobaleno e la polvere ferma e stanca si sollevava al passare dei "nostri". Erano li' per me e Karem. Avevo visto distruzione, sofferenza e mi stavo abituando all'idea della morte, della mia morte. Nel momento in cui ci sentivamo più che mai vicini alla salvezza, nel momento in cui questa ci faceva cenno di salire su una Seat, un temporale rovinò tutto. Vedevo il grigio delle nuvole nella divisa scura dell'"Orgoglio etero". Sentivo tuoni in quegli spari.
"Karem!"
"De.. Deinah"
La sua bocca era socchiusa e i suoi occhi verdi erano lucidi. La sua camicia preferita si sporcava progressivamente di terra e sangue. Il suo viso mi permetteva di leggere la sofferenza di un'illusione immisurabile.
Guardò il cielo sorridendo e chiuse gli occhi. Sussurrò:
"Mark..."
La sua mano smettè di stringere la mia. Divenne fredda. Il suo fumo si disperse nell'aria. Ventitré. Mi sarei bruciata pur di mantenere viva quella fiamma. Ma si era spento, si era spento per sempre.
21 Luglio 2041
La colazione non sarebbe cosi' dolce senza il calore della sua pelle e le sue carezze. Alex non fa altro che ricordarmi quanto sia perfetta, e lo fa con i gesti, senza parlare. Silenziosamente mi prende le labbra con le sue portandomi allo stato della più piacevole follia, che mi trascina rendendomi complice di questo gioco di ombre, le nostre, che diventano una cosa sola.
"Milleottocentosettantadue."
"Conti fiammiferi da otto anni"
"Noi siamo state fortunate, in fondo."
"Siamo scampate a qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere."
"È accaduto, e sento ancora l'odore di decomposizione del rispetto, succesiva al suo omicidio"
Accende una sigaretta. Sputa via l'aria grigia, poi mi guarda:
"Milleottocentosettantatré."
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