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Un sottile, labile confine
Seduto su una panchina del parco, sembrava uno dei tanti desiderosi di un po' di frescura, all'ombra degli alberi. Ogni tanto, però, si alzava e battendo i piedi a terra percorreva strane traiettorie, come se seguisse una traccia sul terreno. La storia si ripeteva ormai da più di un'ora e non mancò di attirare l'attenzione di altre persone, che comunque liquidarono la questione frettolosamente con l'idea che il tizio fosse strano ma inoffensivo.
Sembra opinione comune che la pericolosità intrinseca di una persona si manifesti con gesti di eclatante efferatezza oltreché di subitanea comprensione, rifiutando a priori il concetto di labilità del confine esistente tra sanità e malattia di mente nello stesso individuo.
L'uomo che calpestava con forza la terra poteva pertanto proseguire indisturbato nella sua azione.
Nessuno si preoccupò quando dei bambini si raggrupparono intorno per meglio osservare ciò che stava facendo quell'uomo.
Tutti si allarmarono invece, accorrendo come degli invasati, quando dal gruppo dei ragazzini si levò un pianto. Mani febbrili strinsero quei piccoli corpi, altre si levarono per additare il mostro, altre infine raccolsero pietre da terra per lanciarle. Ma quell'uomo non faceva altro che ripetere lo stesso gesto di sempre, nulla se non battere con forza i piedi a terra, sollevando nuvole di polvere. L'eccitazione si era impadronita dell'animo di quelle persone, e solo il manifestarsi di un'uniforme in lontananza riuscì a calmare gli esaltati.
L'agente di polizia dopo aver verificato la sostanziale inesistenza di alcun tipo di reato disperse la piccola folla che intanto si era ingrossata alimentata dai curiosi. Rimasti soli il poliziotto fece segno all'uomo di sedersi, guardando bene ogni suo gesto, anche il più insignificante. Dopo un paio di minuti di reciproca osservazione, l'agente porse una domanda.
"Si sta bene qui. Viene spesso?"
"No."
"Infatti ho visto che abita lontano. Che lavoro fa?"
"Nessuno. Disoccupato."
"Faceva, allora."
"Ingegnere."
Il poliziotto non riuscì a reprimere la solita, scontata domanda.
"Un ingegnere disoccupato!?"
"Senta, lasci perdere il vortice di domande preliminari, arrivi subito alla questione. Vuole sapere che cosa stavo facendo? Perché battevo i piedi a terra?"
"Se vuole."
" Posso andarmene?"
"Certo. Le sto solo rivolgendo delle domande. Può scegliere di rispondere oppure no."
L'uomo concentrò la sua attenzione su un punto lontano dell'orizzonte. Prima di parlare guardò di nuovo in faccia l'agente di polizia.
"Ho costruito molte case. Alcune belle, altre meno. Fino a due anni fa. Poi... c'è stato un crollo. Una frana, uno smottamento e... sono venute giù come le carte. Sono morte delle persone. Cinque. Due erano bambini."
Si ferma per un momento per massaggiarsi la fronte.
"Il processo ha dimostrato la mia assoluta innocenza. Un fatto imprevedibile, hanno detto, una calamità naturale."
"Ed è vero? Voglio dire, lei senz'altro è consapevole di come ha svolto il suo lavoro. Ha fatto davvero tutto quello che avrebbe dovuto fare?"
"Sì."
L'uomo si alzò in piedi. Poi, dopo una breve pausa, proseguì.
" Il pubblico ministero..."
"Sì?"
"Il pubblico ministero mi ha definito un dio distruggitore."
"Perché, se non colpevole."
"Per lui lo ero. Non per il fatto specifico, ma per l'incredibile assunzione di responsabilità di cui ognuno che fa il mio lavoro dovrebbe sentirsi investito. Un dio distruggitore di vite inconsapevoli."
"Senta, lei non dovrebbe appendersi alle parole. Gli avvocati, i pubblici ministeri a volte esagerano per rafforzare i concetti che vogliono esprimere."
"Ma io lo so. Solo che da quel momento questa frase mi ha ossessionato. Perché sentivo che quelle parole potessero celare un fondo di verità. Fino a oggi. Oggi so."
Il poliziotto si limitò a guardarlo, attendendo il resto.
"Un dio non compie azioni buone o cattive. Le azioni di un dio sono imperscrutabili, e non possono essere messe a giudizio. Pertanto ero sicuramente innocente."
L'agente si irrigidì.
"avevo però la necessità di vivere le stesse sensazioni provate durante il processo. Ma non voglio più essere nemmeno lontanamente giudicato responsabile della morte di altre persone."
"Che cosa stava calpestando, prima?"
"In fin dei conti, paragonati a certi piccoli esseri viventi gli uomini possono essere quasi definiti pari a delle divinità, no?"
L'agente chiese aiuto con la radio in commissariato.
"Cosa calpestava?"
"Dei formicai. Solo dei semplici, comuni formicai. Ora sto bene. "
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- Uhm, non so che dire. Scritto è scritto bene, però mi sembra un po'... come forzato. Se sbaglio non te la prendere. Complimenti lo stesso e a presto.
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