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Niente. Non succede niente
Le due squadre si stavano affrontando senza risparmio di energie. Il capitano della squadra di casa dopo uno dei suoi consueti interventi di contrasto, aveva recuperato il pallone e stava impostando un veloce rinvio per riportare l'azione nell'area opposta. I suoi compagni in attacco, ben piazzati, aspettavano il passaggio, che arrivò perfettamente calibrato, ma con una frazione di ritardo. Il pallone entrò in possesso di un difensore centrale della squadra avversaria, che appoggiò di testa verso il proprio portiere.
Il capitano appoggiò la mani sulle ginocchia, chinandosi leggermente in avanti. Rivoli di sudore scendevano da capelli, brillando alla luce del sole ancora ben alto nel cielo. Un compagno si avvicinò mettendogli una mano sulla schiena.
"Va bene?"
La mancanza di risposta aggiunse un leggero velo di inquietudine alla sua voce.
"Ehi, come stai?"
Il capitano rialzò la testa, e senza guardare in faccia il compagno rivolse il suo sguardo verso il sole.
"Ma... da quanto giochiamo?"
"Come?"
"La partita, quanto manca alla fine."
Quella domanda, posta così senza interrogativo, tramutò l'inquietudine del compagno in preoccupazione.
"Non so, quanto vuoi che duri, come le altre!"
"Le altre? Quali altre, a me sembra di esserci nato su questo campo, mi sembra di
non aver fatto altro che correre dietro alla palla."
Intanto il portiere avversario, che stava per rinviare il pallone verso la metà campo opposta, si accorse della coppia impegnata nella conversazione. Vedendone uno dei piegato, immaginò un malore e richiamò l'attenzione dell'arbitro. Questi con un fischio fermò il gioco e accorse a vedere cosa stesse succedendo.
"Allora?"
Non ricevette alcuna risposta, se non lo sguardo perplesso dei due.
"Che succede?"
"Niente. Non succede niente."
"Allora sta bene. Possiamo riprendere.."
"Quanto manca alla fine."
L'arbitro stava per rispondere con un secco richiamo invitando tutti alla ripresa del gioco, ma quella domanda non domanda intaccò la sua consueta sicurezza. Cercando di ostentare una calma che ormai non dirimeva più i suoi sentimenti, richiamò tutti al rispetto delle regole del gioco. Intanto intorno si erano radunati altri calciatori.
"La partita finirà quando lo dirò io. Vi invito a un maggior rispetto delle regole,
siamo tra professionisti dopo tutto!"
Il capitano avversario, dopo aver parlato con il suo collega, ribadì la questione posta da quest'ultimo.
"Lasci perdere le sue regole. Fra quanto fischierà la fine?"
"Insomma, io.."
"Lo sa, almeno?"
"... no"
"COME?"
"No. Non lo so."
Il vasto assembramento di atleti che ormai si era formato intorno al nucleo originario reagì con delle esclamazioni di meraviglia come in una specie di reazione a catena. La notizia si propagò in un attimo fra tutti i giocatori.
Il pubblico, naturalmente, rumoreggiava.
Il responsabile di quel trambusto, quello che per primo aveva sollevato la questione, che aveva smesso di dedicare la totalità della sua capacità di ragionamento alla sola problematica della tecnica di gioco, che aveva finalmente dato voce al suo malessere facendolo diventare in breve il sentimento comune di tutti quelli che stavano in campo, dopo aver richiesto il silenzio e l'attenzione con ampi cenni delle mani, cominciò a parlare.
"Perché stiamo qui in maglietta e mutande a tirar calci a un pallone da un tempo
che a quanto pare potrebbe essere infinito, o meglio finito nella misura in cui si
possa ragionevolmente dedurre che esso corrisponda alla nostra stessa età? E
soprattutto che cosa c'è di ragionevole in tutto questo?"
I più giovani guardavano in faccia i colleghi più anziani, sperando inutilmente di trovarvi un po' di sicurezza dai quali attingerne per alimentare i propri cuori.
Intanto sul campo si erano radunati anche quelli che stavano in panchina.
Il grido della folla sugli spalti intanto era divenuto uragano.
L'arbitro cercò di riacquistare il controllo della partita.
"Signori, la domanda è legittima, certo. Anche io sono rimasto spiazzato non
riuscendo a trovare una risposta soddisfacente. Ma noi non abbiamo bisogno di
quella risposta per poter fare ognuno il nostro dovere. Noi sappiamo che c'è un
regolamento che io devo applicare e voi rispettare. In questo regolamento c'è
tutto. Volete che non sia stato affrontato il problema che ci angustia? Chi ha
scritto il regolamento avrà pensato anche a questo, abbiate fede. Noi non
sappiamo quanto durerà ancora la partita, io non so quanto tempo manca alla
fine. Ma chi dice che dobbiamo saperlo. Chi ha scritto il regolamento lo sa di
certo e avrà contemplato anche la nostra problematica. Su, tornate a giocare."
Molti giudicarono soddisfacente tale discorso, e lentamente dal grande ammasso di persone assembrato a centro campo cominciò una lenta diaspora di calciatori che andavano ognuno ad occupare la propria zona di campo.
Un piccolo gruppo di persone si attardò a discutere. Al centro, il capitano.
"Che facciamo?"
"Niente. Non facciamo niente."
"Che significa?"
"Che a noi vengono richieste molte cose. Certo non quella di capire."
"Quindi?"
"Quindi riprendiamo il gioco. Ma davvero pensavate che potevamo smettere
così, per un puntiglio? A chi volete che importi dei nostri dubbi. La verità, amici,
è che nessuno conosce la verità. Tenetelo a mente."
Dopo pochi minuti la partita riprese.
Del resto non si era mai fermata.
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