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Se salta fora la Locandiera ( ispirato rispettosamente a Carlo Goldoni)
Prologo:
Sono veneziana sì. La mia città è la sola corona naturale che vorrei in capo, con la chiesa della Salute come diadema. Ho sempre parlato sin dalla nascita il mio cantilenante dialetto, che sa essere brioso e malandrino. Sin da ragazza amavo leggere e rileggere le commedie di Carlo Goldoni, a voce alta, davanti al lungo specchio dell'ingresso di casa mia. Interpretavo i ruoli sia maschili che femminili, alteravo le voci e mutavo le espressioni. Ammiravo le grandi interpreti teatrali , come la Volonghi, la Vazzoler e la Morelli , viste in tv quand'era in bianco e nero e la Rai mandava in onda, il giovedì sera, programmi di vero teatro.
Era un gioco per me; mi piaceva recitare i personaggi di " Sior Todaro Brontolon" o de" I tre Rusteghi", mi appassionavo negli schiamazzi de " Le Baruffe Chiozzotte ". In molti, tra gli amici, sapevano di questa mia passione, tanto che in certune occasioni di cene o di incontri conviviali ... (e persino di matrimoni) , mi veniva chiesto a gran voce, di recitare un pezzo o qualche battuta goldoniana - quando lo spirito dei commensali era alticcio.
Così il mio sogno era soltanto uno: poter interpretare in un teatro, recitare in pubblico la parte della donna goldoniana per eccellenza, ossia Mirandolina , protagonista del capolavoro " La locandiera".
Fu così che mi svegliai un mattino di novembre, e già le " sirene-allarme" avevano urlato lugubri per l'arrivo dell'acqua alta, ossia della marea che invade Venezia per fondamenta e calli. Bevuto un caffè, mi aggiravo per casa quando mi stupii moltissimo di trovare nella buca delle lettere un biglietto, con perentorio invito di presentarmi seduta stante al teatro Goldoni a Rialto. Mi si informava che avrei dovuto sostituire l'attrice protagonista de " La locandiera" , commedia di cui, quella sera, si sarebbe tenuta la prima rappresentazione in città. La famosa attrice ( per altro milanese...) cui toccava recitare la parte, s' era ammalata. La lettera era firmata dal signor regista in persona. Si precisava in tal biglietto di chiamare con urgenza un certo numero telefonico.
Incredula composi il numero e dopo due trilli rispose una voce acuta, che si qualificò come l'assistente del regista. Di certo sull'orlo di una crisi di nervi. Saputa chi io fossi, mi disse con tono perentorio di recarmi immediatamente al teatro Goldoni, che " non c'era tempo da perdere. Ero attesissima ".
Mi sistemai alla bene e meglio, infilai gli stivali di gomma ( chè l'acqua già saliva alla fondamenta) e mi precipitai scarmigliata al teatro Goldoni.
Superato il portone di cristallo venni subito portata alla presenza del grande regista, che se ne stava sprofondato in una poltroncina rossa, fumando accanitamente, malgrado l'assillante divieto, defènse, verboten appeso ovunque. Un uomo barbuto, vestito di nero, con capelli fitti ed irti in capo.
Dissi chi ero, mostrai il biglietto. " Ah giusto lei! ... signora..." non si alzò né mi invitò a sedere, cosicchè la conversazione procedette così: io nei miei stivali di gomma verde, in piedi davanti all'uomo. " Mi dicono - disse il regista, calcando bene le parole - che lei sia la più grande interprete vivente della locandieria..! "
" Le dicono cosa? " - risposi io un poco stralunata.
" Lo sa tutta Venezia, pare che sia io l'unico imbecille a non saperlo... lo sanno tutti... la voce circola qua in città... quindi adesso facciamo qualche battuta di prova perché questa sera si deve andare in scena. Non intendo rinviare la prima goldoniana in una città come Venezia! Gli altri attori sono già tutti pronti per le prove " - Mi elencò i nomi di tutti gli altri interpreti e mi sentii svenire: erano nomi prestigiosi dell'arte dei teatranti.
Il regista mi squadrò : " La vedo bassina di statura... devo chiamare subito la costumista per adattarle l'abito di scena. "
" Non è vero - risposi pronta - le veneziane non sono delle stangone. Un metro e sessanta per la locandiera sono sufficienti; infondo era una donna del Settecento, nutrita di cose semplici ; la locandiera è brio e acume... poi era una donna formosetta " .
" Formosetta?" , ripetè sorpreso il regista.
" Certo, tutta verve e sottile malizia.. - ribattei, mentre già sentivo la mia donna preferita far capolino, abbandonare i mie abiti umidi e stivali di gomma per entrare nei panni di cotonina e lana grezza e nelle pianelle di stoffa con tacco a rocchetto.
" Va ben, concludiamo - tagliò corto il regista - vada sul palco, sotto quel cono di luce. Le mando subito l'attore che le passerà le battute.. proviamo la scena... adesso le faccio avere il testo ".
M'ero liberata del cappotto, buttandolo sopra una vecchia sedia. Guardai il regista e mi sentii dire: " Non mi serve alcun testo o copione... conosco la commedia a memoria". Forse non ero io ad aver parlato.
Già nell'avviarmi verso il palco, salendo dalla scaletta laterale, non mi sentivo più io : ero in preda ad un formicolio cutaneo, una leggera sudorazione mi inumidiva la fronte e avvertivo una sorta di scarica elettrica lungo il corpo.
Una voce interna mi sussurrò: " Atenta tosa, che mi son la locandiera; non stame far far bruta figura, son qua drento de ti! Xè secoli che speto sta occasione! Fa come che te digo mì e l'andarà benissimo" (1)
Raggiunto il cono di luce gialla, vidi solo un gran nero davanti a me, la grande bocca nera del teatro. Distinguevo a mala pena le prime gobbe delle due file di poltroncine della platea. Il regista stava alla terza fila, immerso nell'oscurità.
" Pensavo , signor regista, di cominciare da un monologo... così mi scaldo un poco la voce, che dice? " gridai al capo.
" Va bene, cominci pure ". Fu la sua risposta.
Mi concentrai, vidi la scena nella mia testa, vidi la locandiera nel suo busto ben fatto, nella sua bella testa di capelli annodati e nella sua espressione un poco ironica e cominciai. La voce dentro di me disse : " No sta strafar, qua bisogna che vegna fora el mio anemo prudente, qua no son civetta" (2).
" Allora da dove inizio? " domandai alla voce interiore.
" Atto primo, scena nona da " Quei che mi corrono dietro" - sibilò Mirandolina.
È un passo molto significativo, che sottolinea l'emancipazione femminile alquanto avanzata nel Settecento, nonché un tipo di donna che a Carlo, di certo, non dispiaceva.
Mi venne naturale camminare lentamente sul palco, con lo sguardo rivolto al regista, una mano al fianco e l'altra che movevo come avessi in mano un fazzoletto, cui non facevo caso.
" Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno ; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non mi innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usare tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la migliore cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura". (3)
Non avevo la minima cognizione di quando avessi imparato a memoria il passo, seppur letto tante volte. Adesso m 'era uscito fluido, con una gestualità del corpo che mi era sconosciuta. Mi accorsi che persino gli operai del teatro, intenti agli ultimi ritocchi, s'era fermati a guardarmi recitare.
Quando terminai, cercai nel buio la faccia del regista. Il faretto mi accecava. Sentii la sua voce urlare " Luciiiiiiiiii" e il lato destro del teatro si illuminò. Il regista era balzato in piedi e si sbracciava entusiasta : " Bravissima, non ho parole... grande... ma chi è lei? Da dove sbuca? Una naturalezza, una spontaneità... ma ha già recitato questa parte? "
Io ero come uscita da una trance, mi sentivo una medium, ero sfinita. " A dire il vero, mai... mai recitata questa parte " - risposi sbasita
" Ah che burlona, a chi vuole darla ad intendere? " rise lui ammiccando "Adesso proviamo la scena tra il Cavaliere di Ripafratta e Mirandoolina... chiamate l'attore per cortesia! Dovrebbe essere in camerino a finire di provare l'abito di scena".
" El me scusa, sior, ma mi go da restar in stivaloni de goma? " chiesi
" Ah! che comica questa donna! " commentò il regista, sbatacchiando il copione contro il bracciolo della poltroncina.
SEGUE IIa PARTE
trad. 1) " Attenta ragazza, io sono la locandiera, non farmi fare brutta figura, sono qua dentro di te. Sono secoli che aspetto qyesta occasione. FA come ti dico io e andrà benissimo".
2) "Non strafare, qua bisogna venga fuori il mio animo prudente, non sono civetta"
3) da atto primo, scena nona di " La locandiera" di C. Goldoni
(segue)
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2 recensioni:
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- Molto ben congegnato, bella l'idea di fondo di mescolare Goldoni ad una fiaba, tipo Cenerentola dove però il Principe nelle vesti del primo attore, è lì a subire il fascino certamente antico di Mirandolina.. Non si sa se avrà un lieto fine e quale... Di certo apprezzabilissima l'ironia lieve che l'acqua alta ha saputo evocare..
- Piacevolissima prima parte. Sarò sicuramente a teatro per la seconda. Complimenti Mirandolina. Bravissima come al solito.
Quando si ama appassionatamente non può essere che così ***** Franco
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