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Il serpente
C'è qualcosa che si muove... qualcosa che si stacca dai muri grigi della vita ancor più grigia... nelle desolate e immutabili stanze del poco e del niente. < il dolore, sssi muove >
Striscia giù dal plafone, lungo l'antenna del televisore acceso che, forse, acceso non è... oppure è acceso sul canale del nulla.
Scivola tra le giunte del pavimento... il dolore <il peggiore... il dolore del nulla... che è il peggiore perché non è neppure dolore> s'arrampica di nuovo alla parete del niente e s'attacca ai quadri, alle cornici, alle crepe del cemento < sss'aggrappa alle crepe... dell'anima >, poi s'accosta alla coscienza bussando alle porte dei timpani <il sssuono del nulla>, spalancando le finestre degli occhi <la luce del nulla >, percorrendo i corridoi delle narici. < il terribile odore del nulla... che è il peggiore tra gli odori perché odore non è > .
Sono questi sensi i primi a sentirlo strisciare. <sssono loro quelli che, per primi, avvertono il nulla che avanza... il sssilenziossso dolore del nulla.> ... e ti arriva di dentro... lo senti... come si contorce il serpente?... Dimmi?... lo senti anche tu?... quel dolore... quel doloroso serpente che viene dal nulla.
Dopo la cena di solito arriva.
In quella chiosa del tempo che va dal giorno che muore ad aver la coscienza che il dì di domani sarà come quello che ora sta già in agonia... che rantola... e s'affanna a trovare il respiro, tra il respiro del nulla.
Poi, all'improvviso succede... la mente si spegne, sull'ultimo spasmo, sull'ultimo morso che ti assesta il serpente. < la mente... che affonda nel nulla >
Per un istante, appena un attimo prima che la mente si estingua, le tue ultime grida d'aiuto esplodono... cercano... una via di fuga, oltre il vuoto... un appiglio... una voce che risponda al richiamo < una voce oltre il nulla >.
Schizzano insieme, dal centro dell'anima, < cavalieri disssperati alla ricerca del Graal > verso il là fuori, a cercare qualcuno in ascolto <poveri illusssi, perduti nel nulla >. Si schiantano, come colpissero un muro < un muro di nulla > ... o l'acciaio... il cristallo peggiore < che è il peggiore e il più duro perché crissstallo non è > .
Nulla è più duro del Nulla.
Sulla coscienza spenta cadono lenti diamanti, < bare trasssparenti... riposssano i cavalieri... finita e vana la ricerca > come lacrime... come pioggia sui vetri.
Schegge... piccole lance.
Bisturi che taglia... brevi ferite che s'allargano, s'uniscono... poi divengono una sola, grossa, immonda voragine che si apre come rosa sanguinante, come un'immonda bocca... nella bocca, come lingua... la coda del serpente.
L'uomo stava seduto sul divano davanti alla TV.
Non avrebbe saputo che rispondere se gli si fosse chiesto quale programma stessero trasmettendo, forse neppure sapeva su che canale si fosse sintonizzato. < il ssserpente già ssstava ssstrissciando >
La brace della sigaretta ardeva a mezzo centimetro dal filtro.
La cenere del tabacco che si consumava restava appesa al mozzicone.
La coscienza dell'uomo si consumava... lentamente... mentre la sua anima bruciava.<nell'inferno del nulla>
Senza guardare allungò la mano verso il telefono.
Compose alla cieca il numero che le sue dita conoscevano a memoria... due brevi squilli... e riagganciò.
Passarono cinque minuti, cinque minuti di non vita tra i morsi del serpente. < la fame attenta del ssserpente >
Non si placa il serpente... non puoi ingannarlo.
Non basterà così poco a saziarlo... e Lui lo sa. < egli è implacabile e attento come deve esssere un vero ssserpente>
Ancora premette gli stessi tasti sulla pulsantiera del telefono.
Uno... due... tre... quattro squilli.
Una voce all'altro capo del filo disse - Pronto - l'uomo non rispose mentre le sue dita stringevano forte la cornetta.
La serravano con tutta l'energia possibile, tanto che la plastica iniziò a scricchiolare sotto la morsa della mano. <come le osssa del topolino nelle sspire del sserpente >
-Pronto... pronto... chi è? - chiese la voce del topolino dall'altra parte del filo
Nessuna risposta.
Egli si limitava a respirare adagio nella cornetta senza proferire alcuna parola
- Chi c'è al telefono? - insistette a chiedere la voce che ora si era fatta più nervosa - ... Ma guarda che scherzi del cazzo... Pronto. Ti sento che sei lì... Pronto... si può sapere chi sei?... Ma guarda che stronzo! - Urlò nel microfono prima di riagganciare con violenza.
Questa vola l'uomo aspettò più a lungo.
Lasciò con pazienza che il serpente facesse scempio delle sue carni.
Lasciò che la sua anima si accartocciasse su se stessa per contenere il dolore, attendendo sino all'istante esatto che precedeva, di una sola infinitesimale frazione di secondo, l'esplosione della sua mente.
Compose lentamente il numero e attese.
Uno... due... tre... quattro, cinque, sei.
L'uomo perse il conto delle volte in cui il telefonò squillò senza che nessuno rispondesse.
Insistette.
Con calma gelida.
Egli non aveva fretta, sapeva con certezza che, prima o poi, Lei gli avrebbe risposto.
-Pronto!... Maledetto stronzo rompiballe! Vuoi deciderti a parlare?... Pronto!... e dì qualcosa, brutto stronzo!- gridò la donna, con una voce che ormai rasentava l'isteria.
Di nuovo Lui non disse nulla, rivelando la propria presenza solo per via del respiro che ora faceva apposta a marcare in modo più pesante.
- Ma guarda che razza di bastardo! - esclamò lei - Lo sento che sei lì... si può sapere che diavolo vuoi da me?... Sono tre giorni che mi telefoni e non rispondi... Cosa vuoi? Si può sapere chi cazzo sei? -
- Il nulla. - rispose l'uomo con una voce cosi bassa da far vibrare appena appena le corde vocali.
- Chi?- Chiese lei, incerta sul fatto d'aver ben compreso il nome pronunciato da quella voce che sembrava provenire da un luogo così lontano, da riuscire a raggiungerla solo dopo essere passata attraverso distanze siderali
- Il nulla. - ripeté Lui con la stessa voce artefatta.
- Cosa vuol dire "il nulla"? - chiese lei dopo una breve esitazione - Chi diavolo sei e cosa accidenti vuoi da me?... Se è uno scherzo penso sia durato anche abbastanza e ora dovresti proprio smetterla.-
- Io sssono la risposssta, l'unica voce che viene dal nulla.- replicò la voce in lontananza
- Senti imbecille! - sbottò la donna all'altro capo del filo - Io non aspetto nessuna risposta e non ho fatto nessuna domanda e, se anche dovessi porne qualcuna, non lo farei di certo ad un cretino quale devi essere tu.-
- Invece Io credo che tu di domande ne ponga anche troppe. Le fai a te ssstesssa tutte le sssere e tutte le volte in cui ssstai da sssola. Quando la tua ssstanza diviene troppo piccola per te, e la tua vita ti sssembra ancora più ssstretta di quella piccola, piccolisssima ssstanza.- le rispose quella voce lenta e sibilante che pareva uscire dalle labbra di un moribondo
La donna esitò un istante restandosene in silenzio.
Si sentii distintamente il suono della sua ira risalire dai polmoni sino alla gola, da cui poi proruppe con un grido acuto e rabbioso che invase il microfono e si riversò nel timpano dell'uomo, con tutta la sua forza isterica.
- VAFFANCULO! Stronzo di un frustrato. Maniaco del cazzo!- Urlò, riagganciando con violenza doppia rispetto alla volta precedente
Lui restò a guardare il telefono ancora qualche secondo dopo che lei aveva riappeso.
Lo guardava sorridendo.
Non era affatto preoccupato dalle parole e dagli insulti che lei le aveva proferito contro.
Le sue pause e la sua ira esagerata erano per lui un segnale evidente di come egli avesse vinto il primo duello.
D'altronde non aveva mai avuto dubbi.
Sapeva con certezza che dall'altra parte del filo, già da tempo, un altro serpente stava strisciando.
La mattina del giorno dopo l'uomo uscì di casa.
In una cartoleria comprò una confezione di buste da lettera, una risma di fogli A4 e una penna a sfera di quelle con la grafia morbida.
Dallo scaffale dei libri nella sezione riservata ai poeti, scelse e acquistò un volumetto in versione economica, che raccoglieva alcune delle poesie di Federico Garcia Lorca, quindi uscì e camminò per le strade della città per una buona mezz'oretta, godendosi il tepore di quella bella giornata di fine estate.
Fece colazione al bar del porto vecchio, e resto lì fino a quasi l'ora di pranzo, ad osservare i battelli staccarsi dal molo e la gente salire e scendere dalle passerelle traballanti.
Mentre sorseggiava il cappuccino schiumoso e smozzicava il croissant, a dire il vero un poco stantio, cominciò a scrivere su uno dei fogli che aveva estratto dal sacchetto che portava con se.
Scriveva sforzandosi nel fare in modo che la grafia fosse assolutamente decifrabile ma, allo stesso tempo, badava bene di usare dei caratteri che somigliassero il meno possibile a quelli della sua calligrafia originale.
Sapeva bene quanto fosse meglio non correre rischi.
Strappò tre fogli di prova prima di riuscire a trovare il modo di scrivere che lo soddisfacesse in pieno.
Alla fine, quando rilesse il foglio, appena prima di ripiegarlo in tre parti uguali, fu molto soddisfatto del risultato che aveva raggiunto, soprattutto per l'effetto "mistero" che quelle lettere sarebbero riuscite a suscitare in chi era destinato a leggerle.
Sul foglio di carta, riempito completamente fronte e retro, c'erano parole che parevano scritte da un antico scrivano.
I caratteri, anche se palesemente inventati, ricordavano vagamente quelli della scrittura celtica, mescolati a quelli gotici, con l'aggiunta di alcuni segni presi in prestito dai simboli esoterici.
Sulla via del ritorno si fermò in una tabaccheria con annessa una rivendita di giornali.
Acquistò un pacchetto di Winfield, dieci francobolli da lettera e, per ultimo e
con non poco imbarazzo, una rivista Hard che veniva venduta con annessa, in omaggio, una videocassetta pornografica che aveva come interprete una delle più note attrici di quel genere cinematografico, quindi imbucò la lettera nella cassetta postale che stava a pochi passi dalla tabaccheria e dopo pochi minuti rientrò in casa.
Arrivò il pomeriggio.
La campana della chiesa rintoccò le quindici.
Il suono metallico attraversava i vetri delle finestre, rimbalzava sui muri della sua sala e gli raggiungeva i timpani, mentre se ne stava sul divano e, fissando lo schermo del televisore, stringeva tra le mani il telecomando del videoregistratore.
Guardò l'orologio.
A quell'ora lei era sicuramente rientrata.
Premendo sui tasti del telefono compose il solito numero.
Lasciò che il telefono squillasse tre o quattro volte, quindi fece partire il videoregistratore e attese.
Lei alzò il ricevitore ma non disse nulla.
Ascoltò per un paio di minuti i sospiri e i gemiti che provenivano dalla videocassetta, accompagnati dall'onnipresente respiro dell'uomo.
-Tu sei malato! - Esclamò lei, con una calma strana, appena prima di riagganciare.
Evidentemente lei aveva deciso di non dargli più corda, per provare a scoraggiarlo con l'indifferenza.
Nonostante il suo proposito le era risultato difficilissimo restare impassibile e fingere di non essersi indignata nell'udire quelle voci oscene e lussuriose che quel porco le aveva fatto ascoltare.
Con chi credeva di avere a che fare quell'individuo?
Chissà per quale strano motivo quel pazzo depravato aveva deciso di perseguitare proprio Lei con le sue oscenità telefoniche.
Chissà come aveva avuto il suo numero?
Era qualcuno che conosceva, o aveva composto a caso il suo numero di telefono e, sentendo rispondere una donna aveva deciso li per li che quella sarebbe stata la sua prossima vittima?
No. Lei aveva la netta sensazione che quell'uomo la conoscesse.
Chissà dove e chissà quando quell'uomo doveva averla incontrata, almeno una volta.
Neppure lei sapeva da dove le provenisse quella sicurezza, ma ne era certa.
Fece mente locale e cercò, sforzandosi con la memoria, di associare le sfumature di quella voce artefatta con qualcuna che conoscesse.
Automaticamente ripassò le voci e le conoscenze nel suo archivio mentale ma non riuscì a ottenerne granché.
O non conosceva quella voce, oppure quel depravato era veramente in gamba, ed era riuscito ad alterarla in modo perfetto.
Da giorni ormai le capitava di pensare spesso a quella voce.
Camminando per le strade, o sul posto di lavoro, ogni tanto trasaliva nell'udire una parlata che sembrava ricordarle quella del suo tormentatore.
Sovente s'interrogava sul suo aspetto, e sulle motivazioni che lo avevano spinto a dedicarsi a quella depravazione, scegliendo lei come vittima. <Attenta Elisssa. Attenta al ssserpente. >
Il telefono trillò di nuovo ma lei non rispose.
Sentì il click della segreteria telefonica che s'inseriva mentre stava varcando la porta di casa.
Quello era giorno di mercato, e la bella giornata di sole settembrino la spingeva verso le bancarelle colorate che tempestavano la piazza come le macchie di colore sopra un quadro di Monet.
Un leggero vento che proveniva dal lago le scompigliava i capelli, e s'intrufolava malandrino sotto le vest, i accarezzandole le gambe, che a causa del protrarsi della bella stagione non erano ancora imprigionate tra la maglia delle calze.
Passò in rassegna tutte le bancarelle d'abbigliamento con nel cuore una strana leggerezza.
Scelse un vestitino vaporoso dalla gonna tagliata di sbieco con dei piccoli fiorellini stampati su di un tessuto color beige.
Se lo provò sul retro del furgone, e mentre si spogliava sentì montare in lei un'incomprensibile eccitazione.
Non portava reggiseno ma, nonostante questo indugiò un po' più del necessario prima di rivestirsi, assaporando quella sensazione eccitante che le dava quel trovarsi seminuda in mezzo a tutta quella gente, con il rischio che qualcuno potesse spalancare la porta e sorprenderla a seno scoperto.
Una volta che si fu rivestita uscì dal furgone, pagò il commerciante per l'acquisto, e lo ricompensò per la pazienza con un sorriso malizioso e un grazie pronunciato con un tono di voce particolarmente accattivante.
Forse era merito di quella splendida giornata ma Elisa si sentiva bellissima e pareva che tutta la città fosse d'accordo con lei.
Poteva essere la sua immaginazione ma Le sembrava che ogni uomo che incontrasse sulla sua strada la squadrasse dalla testa ai piedi, e ne apprezzasse la sensualità e la bellezza.
La cosa le dava un immenso piacere, e le occhiate degli uomini, vere o presunte che fossero, le provocavano un'eccitazione particolare che da tanto tempo non aveva più sentito.
E pensare che solo qualche giorno prima le era capitato di cascare in uno dei suoi periodici buchi di depressione, dentro ai quali tutta la sua vita le sembrava squallida e senza scopo, e lei stessa si sentiva brutta e poco attraente.
Arrivata a casa Elisa ripose il vestito appena comprato nell'armadio di camera sua, rassettò un poco il letto e spolverò quel maledetto comò che pareva avere una predisposizione particolare nell'attrarre la polvere.
Finiti in fretta e furia i mestieri di casa, che in quella particolare occasione avevano perso anche quella poca attrazione che di solito avevano su di lei, si liberò delle scarpe e si sdraiò sul divano davanti alla TV.
Fece un po' di zapping tra i canali delle varie emittenti televisive, senza trovare un programma che la interessasse.
Ad un tratto l'occhio le cadde sulla spia luminosa della segreteria telefonica che, lampeggiando, la stava avvisando di aver ricevuto una chiamata.
Si avvicinò nervosamente all'apparecchio e con stizza premette il pulsante della memoria.
-Ciao Elisa, sono la Mamma. Ricordati di passare da me prima di cena per prendere le tue scarpe che ho ritirato dal ciabattino. Ha fatto un buon lavoro anche se si è fatto pagare un po' tanto. Comunque quando vieni lo potrai vedere da te. Ciao e a presto.-
Elisa riagganciò il ricevitore, e si sdraiò mollemente sul divano.
Ricominciò con lo zapping.
Guardò l'orologio da polso per vedere quanto tempo aveva ancora per restare in ozio, prima di dover andare dalla madre.
Erano solo le diciassette e quaranta,.
Di tempo ne aveva ancora un bel po'.
Lo zapping si fece forsennato.
Niente... niente... né un programma intelligente, né qualcosa che potesse divertirla.
Spense la TV e aprì una rivista appena acquistata.
Solito gossip, solite chiacchiere, solita pubblicità. < Ssssssssssh... Ssssssssh.>
... E, all'improvviso, qualcosa cominciò a scivolare lungo le pareti... qualcosa di strisciante.
Per primo ne sentì il rumore... quel rumore viscido, quel rumore freddo del freddo che avanza... del vento gelido di febbraio che s'avvinghia e corrode... che stringe, come la mano di un morto, un ultimo respiro di vita e lo spezza, lo schiaccia, lo uccide.
Per secondo ne vide l'ombra scura avanzare come lava, come fango, come avanza la nebbia... lentamente.
Come una carezza pietosa sugli occhi già spenti, come la marea fredda del freddo mare del nord che tutto divora e cancella.
Per terzo l'odore... quel terribile odore del nulla... che è il peggiore tra gli odori perché odore non è.
Gli passò nelle narici come un'anestesia dei sensi... con quel atroce intorpidimento... con quel nulla di nulla che cancella il ricordo, il gusto, il desiderio, la voglia, la rabbia, il dolore.
Per primo ne sentì il rumore... il rumore freddo, per secondo ne vide l'ombra scura, per terzo l'odore.
Per ultimo sentì il suo urlo lancinante e silenzioso... un urlo disperato e vano, senza un suono, senza una speranza in attesa.
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- Queste sono le prime pagine di un racconto che sono da sempre intenzionato a scrivere, in una forma di scrittura un po' particolare. prima di proseguire gradirei sapere che ne pensano gli utenti di questo sito. grazie a chiunque voglia esprimere la sua opinione.
- racconto molto particolare... intenso, coinvolgente... hai descritto il Nulla... quella strana emozioni che ti ruba la vita...

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