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Il pianista

Laura aveva sempre pensato che fosse il caso di cambiare l'orrenda suoneria che avvisava l'arrivo degli sms, ma erano così rari che non ne valeva poi la pena. Svogliatamente allungò il braccio, protendendo il busto in maniera esagerata. Era seduta, pigramente, sul grande divano rosso, un plaid arancione sulle gambe. Di fronte al divano, il Kawai mezza coda, nero, con tastiera a vista e leggio pieno di spartiti, alcuni sparsi disordinatamente anche sul tappeto. Non aveva voglia di alzarsi; il cellulare poggiava su un mobiletto adiacente al divano. Riuscì ad afferrarlo in un estremo sforzo, degno di un contorsionista. Lesse il mittente. Era la sua amica Chiara, una ragazza dinamica, folle, sempre con la valigia pronta per partire, mai stanca e, nonostante dei trascorsi non facili, sempre allegra e positiva. Tutto ciò che Laura non era. Si erano conosciute tre anni prima, in un negozio di musica, mentre erano alla ricerca della stesso spartito. Ne era nata subito una bella amicizia. Chiara, col suo carattere trascinante, era riuscita a stanare dal torpore la pigrissima e riservata Laura. Uscivano con cadenze quasi settimanali, quando Chiara dava buca al fidanzato di turno, o viceversa. Laura ogni volta appariva esitante e poco convinta, ma poi si lasciava trascinare e riusciva persino a divertirsi. Lesse il messaggio. Si trattava dell'invito ad un concerto. Il ritorno sulle scene di un grande pianista, un tempo famoso, poi ritiratosi dall'attività . Un autentico idolo, celebre soprattutto per le sue impeccabili interpretazioni di Chopin. Chiara nel messaggio informava l'amica che aveva già comprato i biglietti, riferendo data, orario e luogo. Laura non esultò di gioia. Troppo pigra all'idea di indossare uno scomodissimo abito elegante, d'obbligo per una serata a teatro. Chissà se aveva nell'armadio qualcosa di idoneo per l'occasione. Si ricordò di un completo indossato al matrimonio della cugina che giaceva in fondo ad un cassetto: una gonna nera di vellutino rasato ed una camicetta dello stesso colore, con applicazioni in pizzo. Poteva andar bene. Mentre provava la tenuta da gran sera, cresceva la curiosità di rivedere ed ascoltare il pianista, conosciuto, tra l'altro, quando entrambi erano dei ragazzi. Lui era stato un enfant prodige, una promessa del pianismo internazionale, affascinante, corteggiatissimo, ammirato e considerato un'icona di bellezza e di bravura. Lei una delle tante studentesse del conservatorio, anonima, diligente, sufficientemente dotata, una che di certo non lascia un ricordo indelebile di sé. Il bel pianista, di strada ne aveva fatta tanta. Concerti in giro per il mondo con le più grandi orchestre, incisioni per le più prestigiose case discografiche, docenza nelle più importanti scuole internazionali di alto perfezionamento pianistico. Poi il ritiro dalle scene, improvviso, deludente. La curiosità di rivederlo, a distanza di anni, cresceva fino a farle crollare l'ultimo residuo di resistenza: non vedeva l'ora di andare. La sera del concerto: appuntamento al parcheggio del teatro, il tempo di salutarsi, prendere un caffè al bar di fronte, poi lo scambio di impressioni sul programma del concerto, a parere dell'amica troppo pesante da sostenere. In effetti Chiara non aveva torto. Concerto monotematico dedicato a Chopin: due Scherzi, tutti gli Studi, sia dall'op 10 che dall'op 25, e in conclusione, 6 Preludi. Un'appendice inusuale. Iniziare il concerto con i fuochi d'artificio e terminarlo in sordina. Si, perché dei 24 preludi, aveva scelto quelli più lenti. Di norma si esegue solo una selezione degli studi. "Tutte e due le raccolte, una pura follia! È da pazzi! Roba da extraterrestri!" Ripetevano, alternandosi, quasi a farsi da eco. "E poi, inserire anche due scherzi, che in barba al gioco di parole, non sono affatto uno scherzo", ribatteva Chiara. "E chiudere poi con i Preludi, privi di eccessivi virtuosismi, segno di sicurezza, di chi non ha bisogno di accattivarsi il favore del pubblico sparando nel finale acrobazie di sicuro effetto. Doppiamente roba da matti", faceva notare Laura. Le due amiche presero posto in platea. Laura si guardò intorno e notò che ad occupare la loro stessa fila c'erano persone molto avanti con gli anni. In effetti lei e la sua amica, nonostante i quasi quaranta anni, contribuivano ad abbassare non di poco l'età media degli occupanti della sesta fila. Si udiva, di contrasto, la concitata allegria di un gruppo di ragazzi, probabilmente studenti del conservatorio, sistemati nei palchetti laterali, in alto, comprensibilmente ansiosi di ascoltare il redivivo pianista. Pochi minuti di attesa, le luci che si abbassano, fino a spegnersi del tutto. Tutte tranne una: quella che illuminava lo Stainway gran coda, posto al centro della scena. Lo scrosciare degli applausi accolse il pianista che, con passo lento, raggiungeva il suo strumento. Sì, Laura ricordò la singolare caratteristica dell'artista: flemma nel parlare e nell'incedere. Una calma che Laura non aveva mai associato ad un genio; il luogo comune ce lo consegna come persona un tantino esagitata, che affronta la vita aggredendola, altro che flemma. Evidentemente l'eccezione che conferma la regola, si era sempre ripetuto Laura. A conti fatti, i passi lenti e dosati erano l'unico elemento che le ricordavano il bellissimo ragazzo conosciuto circa venticinque anni prima. La sua folta e lunga chioma non c'era più, il fisico asciutto e ben piazzato nemmeno. Un uomo di mezza età, calvo, con la pancetta e con meno degli anni di quelli che dimostrava. la delusione di Laura fu spontaneamente riferita all'amica con un "Non ci posso credere! Mamma mia! Com'è diventato!" Chiara capì e, con la spontaneità e l'ironia che la contraddistinguevano rispose: "speriamo che oltre ai capelli, non abbia perso anche il talento!". Ad applausi terminati cominciò il concerto. Gli Scherzi di Chopin volarono via come il vento, con la facilità e la semplicità del soffio di un alito. Quelle note avevano il potere di passarti addosso, sfiorarti la pelle, darti sollievo. Agli Scherzi seguì l'esecuzione degli Studi. Ed è lì che cominciò a venir fuori prepotentemente il carattere e il temperamento del pianista che di certo non aveva perso il suo smalto. Accordi in rapidissima successione, ottave precise e rapidissime, arpeggi che mandavano le mani su e giù per la tastiera, dagli estremi acuti, ai più profondi gravi, velocità vertiginose. Un vortice nel quale era facile perdersi per poi non ritrovarsi più. Senza sosta, in un crescendo che quando sembrava avesse raggiunto il punto più alto, era superato da quello successivo, e così fino all'ultimo studio, senza soluzione di sorta. Poi la calma, la riflessione, con i 6 preludi. Una parentesi di quiete dopo i trionfalismi degli studi. Era l'apice di un lirismo allo stato puro. Riusciva a dar vita alla poesia, nascosta tra una nota e l'altra. "La musica", diceva il suo maestro, " non sta nel suono in sé in quanto tale, bensì negli spazi che intercorrono tra un suono e l'altro, nella tensione emotiva che si crea tra essi". La musica prendeva vita, diventava arte in virtù dei silenzi, del loro giusto dosaggio. La musica nasceva dai silenzi. Laura riusciva ora a capire l'incedere lento del pianista. C'era sempre stata musica anche nei suoi gesti, nei movimenti, dosati e sapientemente concatenati come in un disegno melodico ad ampio respiro che non contempla la fretta, l'ansia di concludere. Proprio come la vita, la musica è un fluire continuo, non necessita dell'incalzare dei tempi. Perché il tempo è unico, è un valore universale, uguale per chiunque, sta a noi stare al suo passo. Non c'è utilità nell'andare più veloci. Il tempo non segue noi, è lì, aspetta che fermiamo la nostra corsa. Laura era estasiata, quella musica, uscita da quelle dita raccontava più di mille libri. Un enorme regalo che il pianista faceva al suo pubblico. Un motivo in più per non perdonarlo dei tanti anni di silenzio. L'accordo finale, prolungato fino allo scomparire graduale del suono e poi gli applausi, scroscianti, impetuosi, commoventi, pieni di gratitudine. Laura avrebbe voluto andare in camerino a salutarlo, ma ci ripensò e non lo fece. Di sicuro lui non si sarebbe ricordato di lei. E poi, gli idoli restano tali finché sono lontani dal nostro quotidiano. Meglio lasciarli nella categoria degli "umani che hanno qualcosa di divino". Con questi pensieri si avviò con Chiara al parcheggio. Ad entrambe era venuta un po' di fame. "Dopo aver soddisfatto l'anima, anche lo stomaco chiede un po' di soddisfazione", furono le parole di Chiara. Prossima destinazione: Pizzeria Bella Napoli. Le due amiche avevano ordinato due margherite e nell'attesa sorseggiavano una birra alla spina. Essendo un venerdì, c'erano dei tavoli vuoti. Continuavano a commentare il concerto. Chiara rimproverava a Laura il fatto di non essere andata in camerino a salutare il pianista. "Lo avessi avuto io come compagno di classe in conservatorio, non mi sarei fatta scappare l'occasione. Sei una stupida incosciente". "Non credo ai miei occhi, Chiara, guarda, lì, al tavolo dietro di te, è lui, si lui, il pianista, ma non girarti subito". Chiara fece finta di prendere qualcosa nella borsa appesa alla sedia e allungò lo sguardo verso il tavolo dietro di lei. Si, era proprio il pianista, seduto al tavolo, da solo. "Laura! Non ci posso credere, si. È proprio lui. Ora ti alzi, vai da lui e ti presenti. Se non lo fai tu, lo faccio io". "Ma no, mi vergogno. Mica si ricorderà di me. No". "Ti dico che devi farlo." Rispose categorica e seccata Chiara. "Ok. Però vieni con me" . "Va bene, ci sto." Si alzarono e si avvicinarono al tavolo. Si fece avanti Chiara che lo salutò, facendogli i complimenti per il bellissimo concerto. Poi gli indicò l'amica. "Laura è stata sua compagna di corso al conservatorio" "Piacere, non riesco a focalizzare, ma vi prego, diamoci del tu" Laura gli diede la mano e cominciò ad elencare i nomi dei professori del corso che avevano frequentato insieme e dei compagni di quell'anno. Ad un certo punto il pianista sembrò ricordare. "Ah, si, il professor Colucci, ricordo. Era molto esigente, ma si faceva capire." "Si, vero, era una specie di orco, ma alla fine, agli esami dava una mano" ribatté Laura. I due cominciarono a ricordare episodi, persone di cui avevano perso i contatti. Il pianista ad un certo punto si ricordò di una ragazza timida e molto riservata. "Aveva i capelli biondi che le scendevano alle spalle. Carina, indubbiamente, ma troppo schiva. Sembrava volesse nascondersi, nel migliore dei casi mimetizzarsi, non le piaceva apparire. Portava sempre dei pantaloni larghi e maglioni ampi. Non ricordo il suo nome. ". "Ero io", rispose Laura. Avevano finalmente sciolto il ghiaccio. Ed era stato più semplice di quanto si potesse pensare.

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7 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • Antonio Garganese il 07/10/2012 19:45
    Nel tuo racconto emerge chiaramente che di musica capisci davvero: scherzi, preludi e semitoni, marche pregiate di pianoforti poi la scena si sposta su toni più frivoli che alleggeriscono lo scritto fatti di incontri pieni di timidezze con lo sfondo di una pizzeria. Contrasto stridente per un prodotto riuscito.

7 commenti:

  • anna il 07/10/2012 22:39
    ancora grazie, Antonio.
  • Antonio Garganese il 07/10/2012 22:35
    Sicuramente un valore aggiunto a ciò che, come ho detto prima, è un prodotto riuscito.
  • anna il 07/10/2012 22:17
    Accetto volentieri il tuo suggerimento Massimo. Ne terrò conto per i prossimi racconti.
  • anna il 07/10/2012 22:10
    Grazie per il tuo apprezzamento, Antonio. Quanto al contrasto stridente tra la descrizione del concerto e quella più frivola della pizzeria, trovi che rappresenti un limite o un valore aggiunto alla storia?
  • Massimo Bianco il 07/10/2012 19:24
    Un buon racconto, apprezzato.
    Se posso permettermi un suggerimento, non guasterebbe mettere il punto a capo, ogni tanto, renderebbe più facile la lettura.
  • anna il 07/10/2012 19:18
    Grazie per il positivo commento.
  • loretta margherita citarei il 07/10/2012 18:55
    molo apprezzato complimenti

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