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Il forno
Era un pomeriggio come tanti, di quelli invernali con il cielo gonfio di pioggia, arrabbiato.
Claudia sedeva alla sua scrivania grande e spaziosa, ingombra di libri, quaderni e gli onnipresenti dizionari di latino e greco. Quei dizionari così come le versioni erano diventati la sua ossessione. Più si incaponiva su quelle dannate lingue morte, più aumentava la frustrazione di non riuscire,
Claudia era sempre stata una studentessa zelante. I successi scolastici lenivano in parte la sua sofferenza di sentirsi diversa, sfigata in realtà.
Aveva perso la madre all'età di otto anni e come d'incanto era diventata donna, con responsabilità più grandi di lei.
Era piccola Claudia, il faccino sorridente, nascondeva un malessere diffuso di perdita, di troncamento.
Suo padre e sua madre non si erano mai amati o almeno suo padre, impenitente donnaiolo, portava avanti un matrimonio con quella sciatteria affettiva, che invano l'inconscio dei bambini più di quanto dimostrino.
Claudio amava smisuratamente suo padre, era divertente al contrario di sua madre. Come una moderna Clitemnestra aveva volentieri ucciso sua madre, opprimente e severa.
C'erano stati giorni felici quando abitava da sola con suo padre. Giorni di gioco e allegria, di canzoni urlate a squarcia gola; di cani randagi accolti come fratelli, tanto per lenire la solitudine.
Aveva imparato a riempire il silenzio opprimente con la sua vocina sempre allegra.
Aveva sopportato gli schiaffi di suore frustrate; le interminabili attese di quel padre indaffaratissimo, seduta nell'atrio della scuola, composta nella rigida divisa blu, osservando, con occhi pieni di innocente invidia, i suoi compagni andar via dietro a premurose madri, così belle, così sane.
Studiare era l'unico modo per leggere la soddisfazione negli occhi di suo padre.
In eterna competizione con il mondo, la chiamava ad un'impari lotta con la cugina, altera e superba, sempre migliore di lei in tutto.
Claudia aveva le ali mozzate, aveva perso la sua superbia in quella mattina di fine luglio davanti al corpo di sua madre, deformato dalla paresi.
Aveva perso la sua casa, la sua classe, la sua opprimente quotidianità.
Nulla fu più come era stato, nessuna certezza, un vuoto interiore e l'unica via d'uscita era sognare, riempire la testa di nulla.
La vita se sappiamo assecondarla, ci si adatta addosso come un vestito usato.
Claudia ritrovò un suo equilibrio nella confusione di serate all'osteria e cene al caffellatte in compagnia di quel padre forse un po' troppo estroverso.
Imparò l'arte di ridere sopra a tutto, di ridere con le lacrime amare e la bocca piena di sale, che scricchiola sotto i denti provocando uno strano brivido lungo la schiena.
Un bel giorno un vento gelido e scomposto aveva fatto irruzione nella sua esistenza. Una nuova compagna di suo padre.
Di nuovo macerie di abitudini, macerie affettive e abbandoni.
Una nuova rivale da uccidere o una madre come l'avevano gli altri, i fortunati?
Né l'una né l'altra...
Una squilibrata, ignorante e presuntuosa ma Claudia, pur non amandola, la sopportò per rispetto e amore verso suo padre, verso quel che credeva fosse il suo amore.
La testa sempre piena di favole, dietro ad un principe; un grande amore era per lei qualcosa di caldo per il suo cuore, sempre aggredito da spifferi di odio e rancore freddo.
Non era amore, almeno non quello caldo, che intendeva lei. Suo padre non sapeva scegliere le donne perchè era superficiale e ingenuo. Voleva la puttana e la donna seria; quest'ultima l'aveva sposata ma la tradiva con le puttane. Ora viveva con una puttana e sognava la donna seria, una donna vera, una madre serena, premurosa e accogliente.
Claudia diventava madre e figlia per un suo sorriso, lo amava smisuratamente e crebbe costruendo dentro se stessa la donna ideale di suo padre, dimenticando di crescere la sua identità.
Ma lui non capiva la profondità di quell'amore, troppo superficiale per questi sentimenti.
Claudia non era come l'avrebbe voluta. Era semplice, sincera, affatto fanatica. Poi era troppo bassa e quel fisico un po' formosetto proprio non lo gradiva, a lui piacevano le donne molto magre.
Era un rozzo maschio degli anni venti, poveraccio non era colpa sua, che non le risparmiava commenti poco eleganti sulla sua persona, quando la vedeva riflessa davanti allo specchio, infliggendo colpi inesorabili alla sua autostima.
Per fortuna agli occhi di suo padre i successi scolastici andavano a compensare la goffaggine sia fisica che caratteriale.
Anche questo equilibrio si spezzò, fracassandosi su quelle lingue morte e sulla faccia acida della sua insegnante del liceo.
Fin dal primo giorno di scuola tra lei e quella donna era nata un'antipatia sottile. Invano Claudia aveva cercato di costruire un rapporto umano. Sembrava che quella donna non avesse un'umanità sua propria, irretita com'era dal livore per la sua vita spezzata da una società feudale, tal quale era quella siciliana, in cui era cresciuta.
Catapultata chissà come nella tentacolare capitale, magari solo per ottenere l'ambito posto fisso, esprimeva in quegli atteggiamenti sprezzanti verso i suoi alunni tutta la sua invidia.
Colpevolizzava la libertà dei " giovani d'oggi "e lo virgoletto per lasciarvi immaginare quelle parole dette con quell'accento spiccatamente siciliano, catanese come amava puntualizzare.
Odiava soprattutto le femmine, anche se non risparmiava insulti neppure ai maschi.
Claudia era tra le sue vittime preferite. Per tutto il primo quadrimestre aveva cercato di essere mansueta, arrossendo di vergogna ai suoi insulti ma nonostante tutto non era riuscita a farsi benvolere in nessun modo.
Era ancora una bambina quando aveva varcato quel portone enorme, tale le era sembrato l'ingresso di quell'antico edificio.
Era bastato meno di un anno scolastico a cambiare radicalmente quella bambina in un'adolescente inquieta.
Non era stato un anno scolastico come gli altri, eravamo nel 1976/1977. Il fuoco rivoluzionario che infiammò le università nel mitico '68, era sceso alle scuole secondarie. Occupazioni, manifestazioni e scioperi erano all'ordine del giorno. Un entusiasmo serpeggiava tra gli studenti, sembrava che l'impossibile fosse possibile.
Claudia la rivoluzione la visse di lato, non poteva disporre del suo tempo libero così come i suoi compagni. Suo padre lavorava nei palazzi del potere e cercava di reprimere sul nascere ogni velleità della figlia. Poi c'erano sempre quei dannati compiti! Ma come facevano gli altri a fare politica ed a studiare... era proprio limitata, oltre ad esser brutta!!! Poi come se non bastasse ci si metteva quella professoressa!
Poi l'adolescente cresceva, c'erano tutti quei compagni di scuola più grandi, così belli, così irraggiungibili.
Le sue amiche e compagne di scuola più svelte si erano subito ritagliate uno spazio di visibilità. Nascevano e morivano amori tra un'assemblea ed un corteo.
Tante storie amorose uscivano dall'ombra durante i collettivi femministi, tanto formativi per la crescita culturale ed emotiva delle ragazze. Claudia era affascinata dalla vita che conducevano molte delle sue compagne. Le loro storie amorose, la loro apparente tranquillità nell'affrontare l'altro sesso. Lei si sentiva incapace, aveva un terrore assoluto e un desiderio pazzesco degli uomini.
Cresceva l'adolescente e in un giorno di primavere, dopo aver masticato il sale amare osservando il mondo girare senza di lei, esplose.
Il suo liceo, come quelli di tutta Roma, era stato occupato.
Claudia aveva vissuto questo evento con la trepidazione di chi vuole esistere in quel determinato momento storico, per sentirsi parte di quella storia tanto amata, finanche da comparsa, con la consapevolezza di esserci.
L'ubriacatura dell'occupazione durò lo spazio di una mattinata. Il padre, venuto a conoscenza che si sarebbero interrotte le lezioni, decise di portare Claudia con sé in ufficio, dove con l'aiuto dei suoi colleghi professori, si sarebbe potuta esercitare e quindi recuperare.
Provate ad immaginare lo sconforto della nostra " pasionaria in erba ". Inutili furono le preghiere, il padre fu irremovibile.
La sua " occupazione " si esaurì al primo giorno e poi ad un'altra misera mattina concessale in extremis. Mattina in cui aveva vagato senza identità per le aule, alle cui pareti erano affissi tanti cartelloni colorati, preparati dai suoi compagni, sempre tutti indaffarati, con notizie politiche e culturali. Era stata una settimana di grande fermento culturale, forum e dibattiti accesi. Tra loro c'era un'intesa che la vedeva fuori. Era un'estranea che salutavano di sfuggita.
Si sentiva una fallita, un'incapace, succube di suo padre, che nonostante tutto amava ancora.
Poi l'occupazione finì e le lezioni ripresero la loro monotonia aspra. Ma Claudia aveva mollato la sua vecchia pelle di bambina giudiziosa. Un prurito sottile la stava sollecitando verso una ribellione a tutto e a tutti.
La prima a sperimentare l'onda anomala fu la professoressa di greco e latino, alla quale si ribellò in maniera sufficientemente violenta.
Poi a poco a poco si ruppe il muro d'amore, eretto intorno a suo padre. Quel suo sguardo di patetico compatimento per i suoi insuccessi scolastici la deprimeva. Per fortuna non era più costretta a subire ore ed ore di ripetizioni inutili, che le torturavano il cervello.
Aumentando la coscienza di sé, aumentavano gli scontri in famiglia, fomentati dalla compagna del padre, la quale seminava zizzania per inquinare il rapporto padre-figlia, di cui era gelosissima.
Allora l'unica soluzione era fuggire, uscire dall'ambiente domestico e catapultarsi nella città, in mezzo a quei ragazzi, sognati davanti a quei libri pallosi.
A Piazza Navona a quei tempi c'era un florilegio di gioventù creativa. Si dipingeva, si scriveva, si vagheggiava una rivoluzione hippy irreale e irraggiungibile ma bella e passionale. Ci credette Claudia nel mondo dei sogni, li vide con i suoi occhi, se ne sentì parte ma durò poco... una pioggia di piombo e di eroina si riversò tra quei volti ancora imberbi di rivoluzionari da strapazzo... e fu vomito e furono P38 e morti, tanti morti e tanti volti già morti nel loro ancor fresco respiro.
Claudia fu rapita dall'emulazione per una perdizione che non era sua propria.
Visti i suoi numerosi insuccessi amorosi, umiliata e scoraggiata credette di poter trovare conforto nell'amore delle sue amiche. Era un tentativo di trovare una dimensione, un surrogato poco appagante. Giusto un ventre, una mamma mai avuta, su cui piangere la propria sconfitta di vivere.
L'alcool era diventato un caro amico per riderci sopra, quel riso amaro degli sconfitti. Lasciava però una grande acidità, che dallo stomaco arrivava in bocca e in testa e... Allora giù con tutti i tranquillanti naturali e blandi ansiolitici per calmare quel cuore in fuga dallo sterno e quella mente in fiamme.
Poi ci si era messo di mezzo pure quel Luciano. Era bello ma sfrontato con la sua virilità accattivante. Era attratta da lui ma lo temeva e comunque non lo sentiva sincero. Pur di non perderlo aveva deciso di assecondarlo nella sua voglia di sesso, di vincere la sua paura, per non passare sempre da cretina inutile.
Si lasciò andare in una casa di non chi, nel letto di genitori ignari, la penombra ferita dai raggi di un sole invernale, i quali sembravano dei prepotenti impiccioni.
Lo avrebbe legato a sé? Chissà... forse.. era un tentativo per farsi amare.
Non era amore era sesso.
Non era adatta per queste cose e si vedeva e si sentiva e Luciano lo capì e non ci furono parole per il dopo... silenzi eloquenti e tanta frustrazione.
Una vergogna infinita la prostrò per giorni e non si fece vedere in giro. Sperava che lui la chiamasse, che avesse capito di quale pasta era fatta, di quale sentimento pulito e gentile.. ma Luciano non era fatto per queste cose, lui voleva scopare e scopare con tutte quelle che le cadevano ai piedi... lei... era un'imbranata da lasciar perdere...
Lo vide infatti dopo neppure una settimana, seduto in Piazza che si strofinava con una biondina.
Impietrita dalla rabbia era fuggita e una convinzione si era radicata nel suo cervello: " nessuno mi ama e mai mi amerà "
Seguirono notti di dolori alla testa, di pianto, di sigarette fino a fracassare i polmoni.
Quel pomeriggio i suoi erano andati al cinema, lei aveva da studiare ed era rimasta a casa, tanto per fare una cosa nuova.
Quasi d'un tratto le balenò un'idea e mollata la penna si era messa a guardare fuori dalla finestra.
Aveva cercato un'ispirazione da quello spicchio di cielo ma era stretto l'azzurro come il suo orgasmo continuo e arrabbiato.
Tutto sembrava fallire e vedeva chiudere le porte delle speranze infantili. Allora si ricordò del funerale di una sua compagna di scuola, Anna, si era suicidata circa un mese fa, tutta la scuola aveva partecipato e lei ricordava perfettamente l'ammirazione provata per quella ragazza.
Anna è vero ha varcato i confini dell'impossibile, si è liberata da questo peso di vivere. Ma come ha fatto? Si con il gas.
Con il gas si sarebbe addormentata dolcemente.
Si recò in cucina, chiusa porta e finestra accese il forno e aprì lo sportello.
Una serenità composta, sconosciuta per il suo carattere, sembrava predisporla al viaggio nell'eterno, nella morte tanto temuta e che adesso vedeva come una liberatrice.
Dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare, stupita di non sentire l'aria satura di gas si avvicinò al forno. Un tepore lieve e gentile veniva emesso da quella scura caverna.
Quel forno era elettrico e lei non se l'era ricordato oppure inconsciamente non voleva morire.. chissà..
Certo è che un sano Vaffanculo le uscì dalla bocca.
Spalancò la porta e una voglia matta di ridere esorcizzò la morte per sempre...
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- Un racconto vero, figlio di un'epoca, pieno di errori, di rapporti giusti ma vissuti in modo sbagliato fino a cercare il proprio posto nella completa astrazione. Solo alla fine la giusta via d'uscita: l'ironia. Complimenti.
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