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Emma
Siete mai stati nelle stazioni ferroviarie di Mestre o Venezia in una qualsiasi mattina presto d'inverno fredda e nebbiosa? Beh, se ci siete stati, allora, oltre che ai soliti viaggiatori infreddoliti che attendono i loro treni, avrete sicuramente visto un'altra specie di umanità: i barboni.
Si tratta di gente disperata, sfatta, bizzarra, non di rado bellicosa, che sopravvive alla meglio, in genere di elemosine e dei rifiuti degli altri. Dormono nelle sale d'aspetto, nei sottopassi, o in qualsiasi buco offra loro un minimo di riparo.
Spesso sono picchiati da poliziotti che si innervosiscono dalla loro presenza indesiderata fra la gente.
Mi trovo abbastanza spesso in queste stazioni di primo mattino, e nei loro buffet.
Strani luoghi questi buffet, concepiti per apparire lussuosi, risultano, quando aprono verso le sei e mezza, sempre freddi, squallidi e tristi. E tanto più in certe mattinate d'inverno buie e gelide, quando ancora gli impianti di riscaldamento non fanno sentire i loro effetti, quando ancora la gente, che appena aperto, si precipita dentro per un caffè caldo, appare stanca e sonnolenta. Allora, dai loro precari rifugi notturni, cominciano ad arrivare loro: i "clochard", che in francese suona più nobile. Sembrano trascinarsi, sono ancora ubriachi, hanno ancora una bottiglia in mano. Altri sono soltanto sfiniti dal freddo, oppure malati. Se anche fossero invisibili, la loro presenza risulterebbe manifesta... dalla puzza inequivocabile che emana dai loro corpi e dai loro stracci. Ciò che infatti li contradistingue è il fatto di essere sporchi, e la loro sporcizia ha un accumulo di mesi e forse di anni.
Succede anche, a volte, che l'indiscutibile laidezza, non impedisce loro di avere una qualcerta dignità: nel portamento e nelle maniere, che forse non è altro che quel che resta di un passato diverso e migliore.
Fu, comunque, presso il buffet di Mestre che una mattina fece il suo ingresso uno di questi individui. Era una donna, si puo dire ancora giovane, non dovendo avere lei, a giudicare dall'aspetto, ancora raggiunto i cinquant'anni. Grassoccia, di media altezza, capelli corti e scuri, striati di grigio, dai modi bruschi e sgraziati. Prima ancora di aver raggiunto il banco, a voce alta aveva ordinato cappuccino e brioche. Nel silenzio mattutino del locale, quell'ordinazione risaltava in modo stridente agli orecchi degli ancora pochi avventori presenti, i cui sguardi infastiditi, tutti contemporaneamente, si erano indirizzati a lei. Indifferente a quelle occhiate e a sua volta infastidita, la signora aveva divorato in tre bocconi la brioche che personalmente si era servita dall'apposito contenitore sul banco.
Si era poi accomodata a un tavolino libero ad attendere il cappuccino ordinato, che, in un minuto, le fu portato da un assonnato cameriere. A quel punto, quando pareva che la tranquilità si fosse ripristinata, la nostra signora aveva iniziato a risucchiare il cappuccino in modo indecentemente rumoroso. Sguardi stavolta irritati si erano nuovamente a lei rivolti. Improvvisamente, in quella sala del buffet della stazione ferroviaria di Mestre, di presto mattino, l'atmosfera si era caricata di palpabile tensione. Qualcosa era necessario accadesse per rompere quella tensione, e infatti qualcosa accade: proprio un attimo prima che il severo direttore del buffet intervenisse - e sarebbe stato assai interessante assistere a cosa sarebbe accaduto - un treno in assordante frastuono fece il suo ingresso in stazione. Durò poco quell'insoportabile trambusto - che ogni altro rumore aveva sospeso - appena una manciata di secondi, il tempo del treno di arrestarsi nel primo binario, poi tornò il silenzio in quella sala del buffet, il cappuccino era stato tutto risucchiato.
Giunti con il treno, nel buffet entrarono nuovi clienti, cosicchè l'ambiente si era fatto più affollato e un certo calore cominciava a percepirsi. La grassoccia e sgraziata signora era sempre lì, impettita, al suo tavolino, e non aveva l'aria di aver terminato il suo spettacolino. Si era accesa una sigaretta. Fumava con marcata soddisfazione, osservando attentamente gli astratti disegni che il fumo formava a mezz'aria. Farfugliava anche qualcosa, ma era incomprensibile quel che diceva. Erano suoni indistinti, mugugni, forse. Stanca o annoiata di quel gioco, a un certo punto, con gesti delle mani, voleva acchiappare il fumo che si disperdeva. Allora parve concentrarsi meglio. Frugò nella sua borsetta e ne trasse un sacchetto di plastica.
Diede una profonda e lunga tirata alla sigaretta e trattenendo il fumo dentro di sé, si incappucciò la testa con il sacchetto di plastica: poi espirò tutto il fumo trattenuto e il sacchetto si riempì, e di lei, non si vide più la faccia, e di quella donna seduta placidamente ad un tavolino del buffet della stazione di Mestre si poteva vedere il corpo con una testa di fumo. Salì fino al soffitto e trapelò fino a fuori, sui marciapiedi, il mormorio di coloro che - ed erano aumentati e continuavano ad aumentare - stavano osservando quella scena. Con l'aumento degli spettatori crebbe anche la confusione e solo la forza pubblica è in grado di affrontare la confusione. Così avvenne. Poco dopo due guardie ferroviarie fecero il loro ingresso nel buffet e videro la donna con la testa di fumo. Per nulla stupito uno dei due poliziotti disse: "Emma ancora tu... che fai tutto questo casino, levati quel sacchetto che ce ne andiamo". La conosceva, il poliziotto, e la trattava con noncuranza, e avvicinandosi a lei, le toglieva il sacchetto e le diceva: "su, su, che ce ne andiamo in fretta", ed Emma blandamente protestava e intanto si tirava su e si lasciava trascinare fuori dal locale dai poliziotti. "E qui, chi paga le consumazioni?", strillava il direttore mentre i tre se ne andavano. Ridendogli in faccia gli dissi di starsene tranquillo che non avrebbe trovato più nessuno che gratuitamente gli avrebbe messo su una scenetta di quel genere.
Generalmente non esiste amicizia tra i barboni, anzi, si derubano a vicenda, potendolo fare, e continuamente bisticciano fra loro, per una lattina di birra o anche meno. Si vedono insieme ma non spesso. Sono solitari e riservati di natura. Ci sono associazioni benefiche che si occupano di loro. Preparano dei pasti caldi che distribuiscono nei luoghi ove solitamente appaiono, e il loro apparire è sempre improvviso, come dal nulla. Allora gli vedi insieme, ma non si guardano neppure, ritirano una minestra o una pasta, e subito si appartano. A Venezia ci sono due piccole isole di verde con delle panchine, appena fuori dalla stazione ferroviaria, una a destra e una a sinistra della scalinata di entrata e uscita. Stazionano lì, spesso, parecchi barboni, d'estate dormono sulle panchine. Anche Emma a volte l'ho vista accovacciata sotto quegli alberi assediati dai marmi. Qualche volta l'ho anche salutata, ma lei si è limitata a guardarmi senza proferire parola. Mi è capitato di vederla anche all'interno della stazione di Venezia. Si lavava mezza vestita a una pubblica fontanella in mezzo alla gente e ai treni. L'ho rivista anche al buffet di Mestre, ma non ha più concesso il bis di quel primo spettacolo.
Qualche anno è volato. Per abbastanza lunghi periodi Emma spariva per riapparire all'improvviso a Mestre o a Venezia. Inaspettatamente era cambiata, era una vecchia con i capelli grigi e il suo aspetto e i suoi stracci superavano i limiti della decenza. Perfino i suoi occhi pazzi si erano spenti. Indifferente, sembrava contemplare un mondo estraneo. Chissà cosa c'era nella sua mente, chissà se sembrando non vedere niente, vedeva cose a noi precluse.
Una volta sorprendendomi, l'ho trovata a Milano, alla stazione ferrovaria naturalmente. Di cosa stupirmi, non sapevo forse che gran parte del mondo di questi personaggi è il mondo delle ferrovie? Trovano riparo negli angoli bui dei loro magazzini fatiscenti e abbandonati, nelle carrrozze arruginite lasciate a marcire in binari morti, nelle sale d'aspetto deserte durante le notti d'inverno. È quello il loro territorio, come lo sono pochi altri luoghi pubblici delle grandi città. Vi consumano una parte, l'ultima, della loro esistenza, forse disperata di sicuro misteriosa.
Non troppo tempo fa, proprio sulle marmoree e vetuste pareti interne della stazione ferroviaria di Venezia, che da anni un pezzo alla volta stanno restaurando, ho visto un'ultima volta Emma; era la sua foto su un'epigrafe malamente appiccicata che ne annunciava la morte.
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5 recensioni:
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Anonimo il 11/07/2013 08:56
la parte iniziale mi è sembrata troppo lunga, e troppo presente anche lo "zampino" di chi scrive... eppure ci sono dell descrizioni di "vita ferroviaria" davvero eccezionali!
- Sentire e stile di rilievo. Racconto scritto con maestria. Prosa assai apprezzata.
Anonimo il 23/01/2013 09:52
L'autore porta in primo piano realta' dimenticate o, meglio, ignorate che dovrebbero essere risolte, considerate, conosciute. Parlarne e' fondamentale.
Anonimo il 23/01/2013 01:13
Un racconto che delinea in modo veritiero e toccante la triste realtà di persone meno abbienti e sfortunate costrette a vivere in modo poco dignitoso per mezzo della loro povertà. L'autore ha descritto il peculiare stato d'animo dei protagonisti sottolineando l'attenzione di coloro che, mediante gesti carichi di intensa umanità, aiutano i clochard. Sinceramente emozionato dall'emblematico contenuto.
- Conosco Mestre e Venezia in ottobre e anche dicembre, e questi barboni sono di casa, purtroppo anche alla stazione di Milano e in quella di Roma, è il governo che si deve vergognare, non sono delle bestie ma Esseri ad Immagine di Dio plasmati, che Napolitano dia parte del suo bottino a questi miserabili nobili. Bravissimo!
Anonimo il 28/12/2014 06:02
Tempo fa avevo scritto parole su questa figura terribilmente umana che è il clochard. Menti allo sbando, o forse menti grandi tra tante menti piccole. Quando li vedo le lacrime mi pungono gli occhi. Grazie per aver scritto di loro, questo mi fa capire che sei una persona molto sensibile. Mi è piaciuto moltissimo il tuo racconto, complimenti.
Anonimo il 20/06/2013 14:41
Tu hai voluto rendere testimonianza a coloro che si occupano di questa parte dolorante dell'umanità, ma testimonianza hai reso anche alla tua sensibilità, la migliore che esista: quella fatta di ATTENZIONE particolareggiata a chi soffre, di solito, soprattutto dell'indifferenza e del disprezzo altrui.
Anonimo il 06/06/2013 19:45
Con pacatezza e distacco hai dipinto delle scene purtroppo note restituendo dignità a queste persone sfortunate. Chissà cosa passa nella loro mente. Forse vedono qualcosa che gli altri non vedono. Sono sopravvissute a disastri e con un piccolo aiuto potrebbero dare più di tante persone insensibili e fredde. Ma le strutture mancano, i soldi si investono in altro modo, i pregiudizi e il perbenismo fanno il resto. Grazie per aver scritto questa testimonianza.
- Bel racconto, pur con un triste epilogo, apprezzabile per il realismo e lo stile con cui lo scrivi.
laura il 27/02/2013 09:22
un racconto molto toccante! Scritto molto bene, si vive parola per parola la vita dei barboni, le loro sofferenze e la loro solitudine! La storia di Emma mi ha emozionata... davvero triste. Complimenti per questo scritto molto bello! ciao
- In attesa di altre tue opere ti ringrazio dei tuoi commenti!
PIERO il 16/02/2013 20:47
Leggo solo ora, caro Ellebi, questo tuo pezzo, approfittando di una - spero non temporanea - ripresa di funzionamento del sito.
Ammiro il tuo sguardo, tra il distaccato e il partecipe, su una protagonista di questo mondo difficile. Uno sguardo comunque non ruffiano e neppure ipocrita, uno sguardo onesto. Bravo.
Anonimo il 08/01/2013 08:45
scritto molto bene... conosco quei posti molto belli... e quella lingua di mare che da Mestre porta a Venezia... hai un animo sensibile.. ho scritto molto sugli..."invisibili"... complimenti caro amico...
- Nel ringraziare quanti hanno commentato questo brano, devo dire che non è stato scritto per denunciare un problema, esso è noto ai più, e ritengo comunque che nessuna legge sarebbe in grado di modificare radicalmente lo "status quo" dei senzatetto, quel genere di umanità, come la chiamo io, esisteva, esiste, ed esisterà in futuro, di più o di meno a seconda dei periodi storici, ma ci sarà, piuttosto è stato scritto per rendere testimonianza a coloro che si occupano di loro, perché quel poco è molto, un pasto, un letto in una notte gelida, e per quanti non sono scandalizzati dalla loro presenza.
- Realtà, siamo capaci di andare sulla luna, non riusciamo a dare un minimo di dignità ad esseri umani che hanno solo colpa di essere senza soldi senza lavoro, spesso senza motivo la società li emargina. In parlamento è più facile che discutino dei loro lauti stipendi che delle miserie altrui.
Anonimo il 01/01/2013 11:35
Un argomento su cui riflettere molto. complimenti
Anonimo il 31/12/2012 12:57
Probabilmente, una volta, a parte coloro che liberamente sceglievano di vivere in questo modo, di clochard se ne vedevano pochi in giro.
Oggi purtroppo, con i tanti problemi che affliggono la nostra società, se ne vedono molti di più. Magari sono persone che hanno vissuto, fino al giorno prima, come persone normali, con lavoro, moglie, figli e casa propria.
Persone che hanno avuto responsabilità e che hanno vissuto dignitosamente e che ora, di questo non siamo certo onorati come società, si ritrovano ai margini della società stessa, privati persino della loro identità.
Il tuo racconto, peraltro scritto molto bene, fa riflettere e interroga sulle responsabilità di ciascuno di noi.
Anche le associazioni che si occupano di loro, di cui spesso anche noi facciamo parte, non risolvono il problema, ma lo differiscono nel tempo, fino alla morte.
Probabilmente, la società attuale, preferisce mettere a posto la coscienza finanziando la possibilità di dare un pasto a costoro, piuttosto che perdere qualcosa per dare una sistemazione concreta e più umana a questi fratelli.
Anonimo il 31/12/2012 09:53
Letto con molto interesse. Mi ricorda una signora che vive nella stazione di Brignole di Genova, ultimamente non l'ho più vista... chissà che fine avrà fatto... spero di rivederla.
Grazie di questo tuo racconto scritto molto bene.
Auguri di Buon Anno!
Anonimo il 29/12/2012 13:47
Io vivo a Roma e ultimamente ne vedo davvero troppe di queste " anime sperdute "! Emma l'hai resa simbolo di questa realtà alla quale purtroppo stiamo facendo l'abitudine, tanto da non " vederla " più, perché infastidisce, perché ci sentiamo impotenti, perché non siamo all'altezza di certe sofferenze. Bel narrare Ellebi, specialmente in questi giorni di luci spesso false e vacue. Un caro saluto e grazie per questo tuo racconto.
Anonimo il 28/12/2012 22:31
Wow, fammi riprendere fiato..è un racconto bellissimo, i miei complimenti
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