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LaBefana di quand'ero bambina

La sera del 5 gennaio, sotto quella che noi chiamiamo la nappa d'el camìn, il cui bordo era ornato da un addobbo di cotone arricciato, mettevo la mia calza lunga, di lana. All'epoca, anni cinquanta/ sessanta, le bambine portavano calze lunghe con dei bottoncini. La nostra cucina era poco illuminata perché la finestra s'affacciava su di una calle stretta e scura e io mi chiedevo sempre come avrebbe fatto a passare la Befana carica di peso, come era. Dopo cena mia madre preparava la colazione da lasciare alla vecchia signora. Metteva sulla tavola persino il portauovo con l'uovo cotto à la coque e la tazza di porcellana bella. Il bricco del latte e l'orzo da sciogliere. Mi era concesso stare in piedi fino alle ore nove, poi senza tante discussioni andavo a letto. Restavo sotto le coperte a scrutare la luce gialla che, dalla cucina, entrava come una lama nell'ingresso e si fermava sulla soglia della mia camera. Sentivo i miei genitori parlottare, bisbigliare e anche ridere piano, erano giovani allora. Dalla fondamenta salivano i passi frettolosi di qualche ritardatario infreddolito. A gennaio spesso nevicava, a Venezia. Non è come ora che il clima s'è fatto più caldo e non nevica quasi mai. Ogni anno mi proponevo di stare sveglia tutta la notte per poter vedere la Befana "fare la colazione", ma non ci riuscivo. Me la immaginavo avvolta nello scialle di lana nero, gocciolante di neve, scapigliata e china sulla tazza a sorbire rumorosamente il latte. Quando tutta la casa era al buio, scivolavo lentamente nel sonno. Alle sei del mattino del giorno seguente, scattavo dal mio letto e volavo scalza in cucina. Mio padre aveva già riattivato la stufa a carbone e c'era un bel tepore. Controllavo subito se la Befana avesse mangiato. Mia madre aveva lasciato tutto sulla tavola e vedevo bene che nel fondo della tazza c'era ancora un rimasuglio di latte e che l'ovetto era sparito. Anche il tovagliolo era sporco appena, una impronta proprio nel suo mezzo. Dalla cappa del camino ciondolava la mia calza di lana bella piena e due pacchetti stavano sul ripiano della cucina economica, assieme ad un po' di fuliggine caduta dall'alto. Svuotavo la calza e subito rotolavano fuori dei mandarini, arachidi e dolcetti, spesso un sacchetto di garza con qualche moneta da cento lire e una sola da cinquecento, quella magnifica di argento! Gli altri doni erano sempre dei libri un paio di guantini, le matite colorate Giotto o i colori a tempera in tubetto. Una volta ricevetti con immensa sorpresa una piccola macchina da cucire Necchi, in una custodia di legno. Tutto questo durò sino al giorno in cui decisi di fare la posta alla Befana e così scoprii mio padre, nel suo pigiama di flanella, fare la colazione e mangiare l'uovo. Lo spiavo di spalle, così potei vedere che con uno scopino tirava giù un poca di fuliggine dal camino. Non dissi nulla, me ne tornai in camera piena di dubbi e decisi di non rivelare quanto avevo scoperto: non volevo deludere i miei genitori che sembrava si divertissero moltissimo nel preparare la messa in scena...

 

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1 recensioni:

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  • roberto caterina il 06/01/2013 11:18
    Un ricordo molto bello e scritto con amore e nostalgia. Brava.

3 commenti:

  • PIERO il 16/02/2013 21:07
    Cara, M. T., approfittando di una - spero non temporanea - ripresa di funzionamento del sito, sto cercando di recuperare le ultime pubblicazioni dei miei autori preferiti e ho avuto la gioia di ritrovare questo tuo autobiografico, fra i più belli e delicati. Eh sì, la consapevolezza che la Befana, o Babbo Natale/Gesù Bambino erano una finzione è una delusione troppo grande da poter ammettere, meglio far finta di niente: è il primo, primissimo passo nel mondo misterioso degli adulti.
  • Massimo Genovese il 12/01/2013 07:50
    quanti bei ricordi e' , davvero bella
  • Fabio Magris il 06/01/2013 11:35
    Piccole perle questi bei ricordi, rivissuti con occhi da bambina.

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