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Lies of the beautiful people
Uscire là fuori quando ti senti così esausta.
Stanca di come le persone si arroghino puntualmente il diritto di criticare le tue scelte, stanca di sentirti come un oracolo che dispensa frasi al sapore di miele, stanca della certezza con cui mi chiedo cosa voglia ottenere sta volta da me la persona che dopo così tanto mi contatta, stanca perfino di ricambiare sguardi estranei senza avere proiettili negli occhi.
Scegliere comunque di uscire, sperando che tutto questo si dissolva come il tuo fiato caldo che svanisce nell'aria in una nuvoletta di vapore.
Infilare il vestito, mettere le scarpe, indossare un sorriso e via.
Ma forse, quando tutto ti sembra così usurato, la miglior cura sarebbe dormire e sognare, sognare e dormire, finchè il tuo inconscio non sia così esasperato da queste considerazioni da espellerle dal proprio archivio.
È come essere rinchiusi.
Sai che quella te stessa che potrebbe scherzare, e magari anche intervenire nella conversazione, è segregata per il momento.
C'è l'altra te in quel momento, quella che guarda fuori dal finestrino il modo patetico in cui la gente tenta di non bagnarsi, in cui tutti noi cerchiamo di preservare la nostra immagine dalla pioggia che rovina i capelli e sgualcisce gli abiti.
L'altra te ride in silenzio di tutto ciò, ride anche di te che stai impazzendo per una spallina arrotolata su se stessa.
Ti guarda impazzire per una cosa così piccola, scagliare tutto il nervoso della giornata su quella povera spallina, ti osserva negli scatti nervosi delle dita che ti impediscono di sistemarla.
La nausea notturna, lo sguardo di quel tizio sul tram, le conversazioni indesiderate, quella frase che non hai detto e che avresti dovuto dire, il libro che ti avvelena i pensieri, il litigio di fine giornata.
Tutto è improvvisamente in quella benedetta spallina.
La ridicolaggine raggiunge livelli da manicomio.
Ti guardi da fuori e senti come una telecronaca da telenovela argentina.
"Con un sorriso impacciato osserva.."
"-No-, disse, e tornò nell'angolino d'ombra in cui sembrava abitare.."
"-Invisibile-, si diceva, -Sono invisibile-.."
Frasi dentro la mia testa.
Frasi che trovo così buffe.
Improvvisamente tutto è estremamente comico.
Le ragazzine che sculettano per attirare qualche maschio voglioso di un rimorchio facile, le stesse ragazzine che il giorno dopo andranno a scuola lamentandosi con le amiche di trovare esclusivamente tipi che "vogliono solo una cosa".
Ahahahah!
Il tipo che balla e si crede Jhon Travolta, che con fare ammiccante tenta di sedurre qualsiasi essere vagamente femminile, che ci proverebbe anche con la colonna al centro della saletta fumosa se avesse due gambe.
Ahahahah!
Io che sto impalata in mezzo a tutto questo mostrarsi, goffamente immersa in una realtà che non sento mia, che osservo un potere di invisibilità che mai avevo sperimentato; la gente non mi vede, non mi parla, in un attimo di pura follia immagino che qualcuno possa addirittura passarmi attraverso.
Ahahahah!
La commedia della vita umana!
Vorrei poter fare un discorso degno del presidente in carica, pomposo e sostenuto, con cui spiegare a voce altisonante il motivo della mia astrazione.
Alzarmi e con una colonna sonora da film epico esplicitare in maniera concisa ma efficace le grandi piaghe della mia esistenza.
"La peste."
"Ho un cancro."
"Prevedo il futuro e fidati, è terribile."
"Ho visto Bambi morire."
Vorreivorreivorrei, credi non ci abbia pensato?
Ma la verità è che non c'è nulla di tutto questo.
Come posso spiegarti la comicità dell'umano affanno, le risate trattenute che mi stanno macinando il fegato dinnanzi a tutta questa ridicolaggine che è anche dentro di me, come posso dirti tutto questo mentre Jhon Travolta ammicca al palo e le ragazzine sculettano ad una velocità così folle che le immagino alzarsi in volo con le anche attorcigliate come il coniglietto della Nesquik, senza saper più come tornare giù?
Non vedi quanto siamo squallidamente divertenti?
Se vogliamo dare un nome alla malattia di questa sera, chiamiamola "sindrome pirandelliana", chiamiamola "attacco di straniamento", chiamiamola "non-so-come-uscire-ti-prego-aiutami".
Non so come uscire, tutte queste risate affilate mi tengono in ostaggio.
C'è qualcuno che sardonicamente ride con le mie labbra, che commenta in silenzio con le mie parole, che trova tutto orridamente divertente.
Questo qualcuno che sono io, ma una me cinica e misantropa solitamente accuratamente nascosta, tenuta con la camicia di forza in un carcere emotivo.
Come spiegarti tutto questo?
Frustrata non so cosa sussurrare al ricevitore elettronico, ricordare ieri sera è come pensare ad un sogno particolarmente vivido, di quelli che ti lasciano un sapore di bile in bocca.
Ero distante, sì.
Ero distante perchè non ero lì, non ero io, non c'ero io in tutto quello.
Ero invisibile, un'ombra che seguiva un gruppo di gente, un vampiro impermeabile alle fotografie, di cui nessuno il giorno dopo ricorderà la presenza.
Ero distante perchè in tutte quelle luci colorate, in tutti quei vortici fumosi, in tutto quel niente che mi aveva inghiottita rendendomi poco più visibile di uno spettro, tu eri come estraneo.
Non ti sentivo mio.
E mentre quella me dai cinici risvolti si concentrava sulla ridicolaggine degli animali che siamo tutti in fondo, l'altra me si passava la mano sugli occhi, tra i capelli, si abbracciava nel nulla.
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