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Come un cane

Non era una giornata come le altre, lui lo sapeva. Il cielo era colorato di un azzurro sbiadito, gli uccelli sembravano stanchi di cantare. Si alzò dal letto e vide fuori il mondo che gli girava intorno e lo guardava con compassione; le nuvole creavano una superficie spessa e grigia che impediva il passaggio ai raggi del sole. Le gambe pesanti lo tenevano ancorato al pavimento, le braccia sentivano il bisogno di staccarsi dal corpo e volare lontano. Aveva appena trascorso la notte più lunga della sua vita: gli occhi non si erano mai chiusi, intenti a scrutare l'oscurità, a piangere per un destino inesorabile. Nascosta da una coperta azzurra, sua moglie dormiva beata, incurante del ciclone che di lì a poco avrebbe marchiato a fuoco la sua esistenza. La osservò per qualche minuto, dopo aver scoperto il suo viso: aveva la pelle liscia, luminosa, i capelli lunghi e neri; dei piccoli segni le decoravano una guancia, il naso era il disegno di un grande artista. Il candore di quella donna che tanto amava non meritava di essere sporcato da una notizia terribile come quella che lui teneva dentro da più di una settimana: era malato, gravemente. Un mostro si era introdotto nel suo corpo e gli stava mangiando gli organi come il più avido dei corvi. Nessuna guarigione, un'unica certezza, indiscutibile sentenza sul processo della sua vita: il destino che lo attendeva. Se ci pensava, sentiva il cuore battere veloce, in fuga da un corpo che si arrendeva all'inevitabile.
Una lacrima gli rigò il volto pallido, facendogli riassaporare l'amarezza della triste scoperta; la mente tornò indietro, al giudice dal camice bianco che con la voce pacata e tranquilla di chi era abituato a gestire situazioni del genere, gli aveva annunciato la fine, lo stato avanzato di una malattia che non gli avrebbe lasciato molto tempo. Lui, evidentemente, a quelle situazioni non era per niente abituato: la voce del dottore gli aveva paralizzato il corpo, bloccato il sangue nelle vene. Le parole erano schizzate via veloci senza che lui avesse avuto il tempo di afferrarle. Gli erano sfuggite nello stesso modo in cui stava per sfuggirgli la vita, dono divino e crudele, madre benevola e dispotica. Un solo termine restava fermo nel suo cervello, chiaro e preciso come l'incisione di un tatuatore: il nome del mostro, che lui non riusciva neanche a ripetere. Da quando il dottore l'aveva pronunciato, quel nome rimbombava assordante e fragoroso nella sua testa. Mentre guardava sua moglie, sentiva il rumore sordo di quel nome scalfire le pareti del suo cranio, divenuto ormai una scatola vuota.
In quei lenti, lunghissimi minuti, aveva maturato la decisione che per tutta la notte si era appesa al suo cuore come uno scalatore che tenta di raggiungere la cima della montagna. Preparò un bagno in cui immergere i pensieri, inserì nello stereo un disco preso a caso dalla collezione che aveva nel soggiorno e fece partire la colonna sonora del suo momento. Entrò nell'acqua bollente e sentì il sangue correre veloce; distese le gambe e chiuse gli occhi, abbandonandosi ad una dolce musica jazz. Amava quei momenti di sano relax che anestetizzavano il dolore ed esaltavano i sensi.
Fuori dalla vasca, il freddo che increspò la sua pelle lo riportò bruscamente alla realtà. Si vestì in fretta, seguendo agitato la voglia di scappare. Ripensò alla storia di quel cane che, sapendosi malato, aveva abbandonato il suo padrone per risparmiargli atroci sofferenze. Di colpo, quella era diventata la sua storia, la simpatica signora che l'aveva raccontata il destino che gli presentava il conto, inesorabile come una valanga che precipita verso valle.

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4 commenti:

  • Anonimo il 01/06/2013 13:25
    Mi hai riportato la morte di mio padre, al rimorso che ancora porto dentro di me per aver pregato che finissero le sue sofferenze. Non ne potevo più di vederlo soffrire, la sua morte è stata una liberazione, ma forse avrei dovuto essere più forte ed accompagnarlo più serenamente. Se capitasse a me... forse farò come il tuo protagonista, se ne avrò forza.
  • Anonimo il 06/04/2013 17:39
    Un racconto drammatico scritto molto bene. Un cane (ma anche i gatti lo fanno)quando sanno di stare male, si sa, si nascondono e vanno a morire da un'altra parte, forse come dici tu, per non creare ulteriori problemi e dolori.
    Ma noi, che ne sappiamo del pensiero di chi ci ama?
    Anche il mio cane era andato a nascondersi, perchè stava male, ma l'avevo riacciuffato e assistito fino all'ultimo... sperando fino alla fine che continuasse a vivere.
    Ma l'uomo a volte, ha più paura di "vivere nella sofferenza" che morire...
  • Pierpaolo Orefice il 05/04/2013 18:25
    Grazie Mara. Nelle storie che scriviamo c'è sempre qualcosa di noi stessi, no?
  • Mara il 05/04/2013 17:32
    Racconto scritto molto bene. Un brivido mi ha percorso tutta la schiena. Non so cos'altro dire perchè non so cosa ti ha portato a scriverlo.

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