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Una storia

Il buio della stanza mi inghiottiva. Da fuori una linea di luce bianca sfumava il nero della notte dando all'oscurità un volto meno grave. Sudato, impaurito, disorientato, come se qualcuno mi avesse preso e portato in un posto lontano, dove la realtà era la rappresentazione del mio incubo ricorrente. Mi ero svegliato ancora una volta di colpo, immerso nel silenzio della mia casa. Riuscivo a toccare la tensione che mi invadeva, il rimorso condivideva il mio sonno, il mio letto, la mia vita, in un groviglio di lacrime e disperazione, solitudine e silenzio. Si, il silenzio, amico fidato e pericoloso strumento di distruzione, compagno di momenti intimi e nemico della giustizia. Come in quella serata triste in cui la mia vita diventò rimorso.
Erano in tre, ma sembravano cento. Le loro mani e i loro piedi parevano moltiplicarsi, diventavano sempre di più e sempre più dolorosi in quel crescendo di rabbia e violenza senza fine. Lo colpivano pietà, facendogli schizzare il sangue dal naso, dalla bocca, dagli zigomi. Chiedeva aiuto, sperava di fermarli con la paura disegnata nei suoi occhi bagnati di rosso, con lamenti che diventavano musica per le loro orecchie. I colpi aumentavano, le loro bocche di fuoco pronunciavano parole incomprensibili, urlavano odio. Io ero lì. Non mi vedevano, ma riuscivo a distinguere le scarpe che colpivano il volto di quel ragazzo a terra. La luna, immobile nel cielo, illuminava la scena. Io, come lei, non sapevo che stavo per entrare nel periodo più nero della mia vita. Non riuscii a fare nulla, oltre a scappare sperando che non succedesse nulla di grave.
Una volta a casa, corsi a letto cercando di dimenticare quelle scene, ma era impossibile. Sentivo quelle urla, il pianto e la disperazione del ragazzo mi bloccavano il respiro. Avevo visto e taciuto, potevo fare qualcosa invece di correre lontano da quello strazio.
Il giorno dopo, la notizia bussò alla mia coscienza con la forza di un pugile che colpisce l'avversario e lo manda al tappeto: "Orrore in strada, ucciso perchè omosessuale". L'avevano ammazzato, i colpi erano stati troppo violenti, gli avevano fracassato la testa. Era morto perché amava. Amava uno del suo stesso sesso. Amava me, che ero riuscito a scappare all'arrivo di quelle tre bestie e non avevo fatto niente per aiutarlo, bloccato dalla paura dei giudizi, degli occhi dei miei familiari che mi avrebbero guardato come un malato. Avevo lasciato che l'ammazzassero per non essere l'oggetto di studio di persone che, nel bene o nel male, qualcosa la devono dire. È contro natura, è normale. Si devono sposare, che lo facciano nascosti. Ognuno dice la sua, senza che nessuno gli chieda nulla. La presunzione di una società che pensa di dover esprimere sempre un giudizio uccide la libertà. Ed io avevo ucciso lui per il timore di quelle voci, di quegli sguardi a metà tra lo schifo e la compassione che ora sembrano inesistenti, senza forma. Perché la morte, la violenza, non possono essere giustificate. Soprattutto quando uccidono l'amore.
L'amore, quello che lascia a chi ama la gioia di scegliere. E non chiede pareri a nessuno.

 

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2 commenti:

  • enrica. c il 07/06/2013 18:00
    Racconto duro e crudo, ho letto con disagio come sempre mi succede quando si descrivono soprusi così inaccettabili, ma il racconto mi sembra scritto bene, quindi lo giudico positivamente..
  • Anonimo il 01/06/2013 13:11
    Tema attualissimo e storia forte per presentarlo... efficace, dolorosa ma più se ne parla e meglio è. Si legge d'un fiato, perché scorrevolissimo e ben scritto.

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