racconti » Racconti su avvenimenti e festività » In fuga
In fuga
Roberta bevve avidamente una lunga sorsata d'acqua direttamente dalla bottiglia. Seduta sul bordo del letto sembrava indecisa sul da farsi. I piedi scalzi sul pavimento le procuravano una piacevole sensazione. Si ritrovò a fissare la sua immagine riflessa nello specchio che un po' beffardamente sembrava voler mettere in risalto qualche chilo di troppo.
Specchio, specchio delle... niente brame, lei non si era mai creata problemi e non aveva nessuna intenzione di cominciare adesso. Tra pochi giorni avrebbe compiuto quarant'anni ma non era cambiata granché, almeno non fisicamente. Si sentiva bene, piena di energia, aveva imparato a vivere senza pensare al futuro, non era stato facile ma era riuscita a vincere l'angoscia anche se ogni tanto riemergeva qualche pensiero negativo. Girò appena la testa per controllare che Mario dormisse ancora. Non riusciva ancora a credere di averlo incontrato, soprattutto di averlo seguito. Erano trascorsi dieci anni, un'eternità. Il tempo segue percorsi particolari quando lo passi a fuggire, a nasconderti. Ricordava ancora il primo sguardo, lui ammanettato in mezzo a due carabinieri, lei cronista alle prime armi. Un'espressione quasi sorpresa. I loro occhi si incrociarono, un sorriso appena accennato. L'intervista in carcere che le aveva permesso di scalare qualche posizione nella gerarchia del giornale. Aveva cercato di ottenere un permesso per rivederlo ma non se ne fece nulla. Gli fece avere il primo libro che riuscì a pubblicare. Per dedica una sola parola: grazie.
Risparmiati i commenti so benissimo che quel grazie é un'assurdità.
Una sera squillò il telefono. "Mi hanno rilasciato. Vorrei incontrarti"
Accettò senza pensarci, nessuna esitazione, nessuna paura. Il primo incontro in un bar del centro, una notte trascorsa tra silenzi, imbarazzi e sguardi che valevano più delle parole. Non ricordava di aver mai camminato tanto in vita sua. Non era la prima volta che viveva la città di notte ma questa volta le mostrava un volto diverso o più semplicemente era lei a essere diversa.
Suoni e silenzi, luci e ombre che si mettono a tua disposizione, puoi scegliere se immergerti e approfittare di un palcoscenico dove nessuno ti obbliga a seguire un copione o stare in disparte a osservare quel mondo che si mostra senza pudore.
Seguirono altri incontri. Una complicità che si trasformò presto in un sentimento forte, un bisogno assoluto. Sembrava procedere tutto bene, nessuno dei due parlava mai del futuro. Mario si era sistemato in un piccolo appartamento vicino alla redazione, giorni tutti uguali, lavoro, trattoria, lunghe passeggiate. Le notti passate quasi sempre da lui, non era mai riuscita a convincerlo a fermarsi a casa sua. Una volta gli propose di mollare l'appartamento e di trasferirsi da lei, in cambio ricevette una carezza e "Mica ti metterai in casa un terrorista...".
Una realtà sospesa che le procurava un'inquietudine crescente, una sensazione di precarietà che era diventata insopportabile. Avrebbe voluto trasformare quel rapporto in qualcosa di più stabile ma aveva paura, sapeva che un errore avrebbe compromesso quell'equilibrio fragilissimo. Decise di non affrontare l'argomento, magari si sarebbe presentata l'occasione propizia. Non dovette attendere molto.
"Devo andarmene. Ho trovato un lavoro lontano da qui. Parto stanotte. Ti farò sapere...".
"Vengo con te."
La voce era stata più veloce del pensiero. Nessuna reazione soltanto uno sguardo meravigliato. Non una parola, l'accompagnò a casa per recuperare qualche vestito, qualche ricordo. Non si era mai accorta di vivere il niente, nessun affetto vero, poche amicizie. Uscendo non sentì nemmeno il bisogno di voltarsi.
Comprese subito che quei gesti avrebbe dovuto ripeterli spesso. Mario non era tipo da mettere radici. Non aveva difficoltà a trovare lavoro, era competente, disponibile, poco incline a socializzare ma questo non era un requisito indispensabile. Per fortuna i continui cambiamenti non avevano guastato sul loro rapporto.
Lui lavorava, lei scriveva.
Da qualche tempo coltivava l'illusione di una vita normale. Si erano stabiliti in una località di mare quasi deserta, a pochi chilometri dal centro dove Mario aveva trovato un lavoro che lo appagava. Non ci viveva quasi nessuno e i pochi abitanti non vedevano l'ora che terminasse la stagione estiva per starsene in pace. Un paradiso. Purtroppo non esiste un luogo dove rifugiarti quando non sai da chi stai fuggendo. Erano trascorsi solamente pochi mesi, il tempo era volato. Giorni meravigliosi che sarebbe valsa la pena vivere anche se fossero stati gli ultimi.
Lunghe passeggiate sulla spiaggia, il freddo pungente, l'umidità. La pineta avvolta nella nebbia è talmente bella da farti desiderare di restarci imprigionati.
La sensazione di libertà per chi è condannato a fuggire è qualcosa di indescrivibile e al tempo stesso un tormento da cui non riesci a liberarti. Le cose che a lei sembravano semplici diventavano vette invalicabili per quell'uomo impegnato in un conflitto profondo quanto indefinito. Serate interminabili davanti al camino tra le sue braccia. Il vecchio apparecchio televisivo mai acceso, la radio sempre sintonizzata su una stazione che trasmetteva musica classica, un bicchiere di vino e la voglia di restare così per sempre.
I momenti più belli però erano quando lui quasi senza rendersene conto si lasciava trasportare dai ricordi, ripercorreva la sua vita come si trattasse di un lungo viaggio in treno. Aveva un modo di raccontare tutto suo, sembrava una voce fuori campo. Ogni tanto si soffermava su un aneddoto o qualche episodio particolare della sua infanzia. Solamente quando parlava del padre la voce tradiva qualche emozione: un sognatore privo di qualsiasi difesa. Era così che lo definiva. Un vecchio comunista pieno di contraddizioni ma con una forza interiore spaventosa. Niente poteva scalfirne le convinzioni.
"Una volta gli rimproverai di essersi sacrificato per niente, gli feci la lista dei suoi compagni che in barba agli ideali sbandierati avevano finito per sostituire quelli che a parole affermavano di voler combattere.
"Tu non puoi capire" mi disse sorridendo e continuò a fare le parole crociate.
Una domenica mattina mentre stavano rientrando dopo il solito cerimoniale: colazione, edicola e passeggiata sul molo, incontrarono due carabinieri che li salutarono sorridendo. "Senza la galera non mi sarei mai laureato, dovrebbero renderla obbligatoria..."
Le battute erano il suo modo di togliersi dall'imbarazzo. Era stato proprio con una battuta sulla sua laurea in agraria che l'aveva informata di aver fatto domanda per essere assunto al parco nazionale dello Stelvio. "Avrei voluto parlartene ma non ho trovato il coraggio." Roberta non aveva commentato, non aveva chiesto spiegazioni. Il silenzio era più che sufficiente. Non aveva paura di ricominciare, non sarebbe stato facile scordare quei luoghi ma sapeva che quella era la condizione se voleva restare con lui.
l futuro ci tormenta, il passato ci trattiene, ecco perché il presente ci sfugge. Forse Flaubert aveva incontrato Mario in un'altra vita.
Quando parlava del suo passato evitava ogni riferimento al periodo tragico della lotta armata e Roberta non aveva mai insistito. Per questo si sorprese di aver introdotto quell'argomento, di avergli chiesto in modo così diretto cosa provasse ripensando a quei fatti.
"Non ti sei mai pentito?"
La guardò in silenzio senza cambiare espressione, fece un passo avanti e la strinse forte. Tentava spesso di convincerla a lasciarlo, gli argomenti erano sempre gli stessi: la sua incapacità ad adattarsi a una vita normale, l'incertezza del futuro, le privazioni a cui era costretta. Ci aveva provato perfino con la differenza d'età. In quelle occasioni era solito abbracciarla evitando di guardarla negli occhi. Ci siamo pensò, adesso ricomincia con la solita manfrina, invece dopo una lunga pausa iniziò a parlare con voce ferma, quasi dura.
"Il pentimento è una questione intima, tua e della tua coscienza. Il pentitismo e il pentimento sono due poli spesso opposti. Non conosco pentimenti che non siano stati legati a sconti di pena, privilegi carcerari, in qualche caso alla stessa libertà. Un baratto...".
Sembrò voler riordinare le idee, le parole erano diventate pesanti e pareva indeciso, forse era un terreno inesplorato anche per lui ma ci sono momenti dove non ti puoi fermare.
"Abbiamo sparato alle gambe di uno di cui non conoscevo neppure il nome, eravamo in quattro. Uno fermo all'angolo del palazzo di guardia, noi appostati nell'atrio. Abbiamo sparato tutti e tre. Io ho sparato per primo: due colpi alla gamba destra. Era la prima volta che partecipavo a un'azione, mi sono sentito... un partigiano. Il giorno dopo guardando il servizio vomitai."
Roberta tremava, provò a divincolarsi piano ma lui non la mollò. Continuò a raccontare, il sangue, le urla, gli occhi increduli di quel povero diavolo che non capiva cosa gli stesse succedendo. Tentò di difendersi aggrappandosi alle gambe di uno dei suoi assalitori che gli assestò un calcio in faccia. La fuga, la sensazione di grandezza.
Impaurita cercava di fermare quel fiume di parole ma non c'era verso. Continuò raccontando altri fatti, altri particolari. Atrocità gratuite.
"Mi chiedi se sono pentito: è un lusso che non mi posso permettere. Non ancora. Mi chiedi se tornassi indietro... ciò che non mi perdono è di essermi abbassato a quel livello, di non aver capito che ammazzandone uno regali l'invulnerabilità agli altri... e non posso nemmeno dire al vecchio che ho capito."
Erano usciti, il freddo si faceva sentire ma la notte era limpida, la luna faceva brillare il mare "Quante volte ho sognato la calma piatta del mare d'inverno. L'ho dipinto con la mente divertendomi a giocare con i colori ma anche la fantasia mostra i suoi limiti davanti a tanta bellezza." Raccontò di essersi accorto subito che quella strada non portava da nessuna parte, si era sentito sospeso tra due mondi e non capiva se era lui a rifiutare loro o viceversa. Poi cominciarono ad ammazzare, qualcuno per vocazione, molti per paura. Era a Montreux in Svizzera quando Moro era stato rapito, da tempo circolavano voci che stavano progettando qualcosa di grosso. La situazione era cambiata, frasi sussurrate: politica, mafia, servizi. Qualcuna di queste voci erano vere, molte altre servivano a depistare. "Non si arriverà mai alla verità perché le verità sono tante, forse troppe."
Quando il nemico è invisibile non sai con chi prendertela e non fermarsi mai è l'unica forma di difesa. Vorresti saltare sul cavallo, correre a Samarcanda ma sei troppo stanco anche per scegliere la morte. Allora scegli la fuga, ti nascondi e ti accorgi che è l'unica cosa che sai fare bene.
Queste parole le aveva letto in un'intervista di un pentito e per la prima volta aveva avuto la consapevolezza di essere stato fortunato.
Lasciò la presa ma stavolta era Roberta a non muoversi, si erano accorti di essere rimasti abbracciati, quasi immobili anche dopo essere usciti in giardino. Chiusero il cancello, presero a camminare e continuò il racconto. Non lo avevano mai beccato, non frequentava gli ambienti estremisti. Non viveva più quel mondo da tempo, se n'era andato senza far rumore. Era una figura marginale e non fu difficile. Era stato proprio un pentito a fare il suo nome ma a suo modo era stato onesto, gli serviva un testimone. Si limitò a raccontare la verità. Dovrei trovare il modo di ringraziarlo.
"La verità é che nemmeno come terrorista ero granché." Continuarono a camminare in silenzio abbracciati per ore e sempre in silenzio aspettarono l'alba. Sembrava aver esaurito le parole.
Non si era accorta che Mario la stava osservando, riconobbe il sorriso incerto della prima volta, avrebbe voluto dirgli tante cose ma non trovava le parole. Tornò a letto e mentre lo abbracciava le venne da chiedersi se sarebbe piaciuta a suo padre.
"Domani vorrei andare a cercare una libreria, così la smetti di rompere con la storia che non sai dove mettere i libri...". Roberta lo strinse ancora più forte e pensò che gli sarebbe sicuramente piaciuta.
* * *
Mio padre è morto nell'autunno del 1979, qualche mese prima (in gennaio) le Brigate Rosse avevano assassinato Guido Rossa. "Delinquenti." Fu il suo unico commento. Le stesse parole che gli avevo sentito pronunciare l'anno prima commentando il servizio del telegiornale sul ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Era una stagione difficile, durissima, piena di contraddizioni. A quei tempi lavoravo in fabbrica e seppure i palcoscenici più direttamente coinvolti fossero lontani, non mancava chi mostrava indulgenza. Nessuno ammetteva apertamente di approvare ma molti consideravano il terrorismo come una sorta sinistra più determinata. Ricordo ancora lo sgomento che provai nel leggere sul Corriere della Sera (12 maggio 1977) Leonardo Sciascia affermare "C'è una classe di potere che non muta e non muterà se non suicidandosi. Non voglio per nulla distoglierla da questo proposito o contribuire a riconfortarla."
12345
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0