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How was that night
Lei
Nessuna macchina su nessuna autostrada può sembrare così stretta, nessuna malattia reale può produrre questa stretta al petto, solo il pensiero del suo ritorno, dopo avergli detto tutto, essermi svuotata.
Vibra... vibra qualcosa
Si?! - La mia faccia riesce con difficoltà a dissipare l'espressione corrugata da profonda concentrazione. Scavo nella borsa. Il telefono, il numero è di un fisso, facile da riconoscere.
Pronto?
Hei!
Si, ciao, proprio oggi vorrei venire a trovarti.
Ah... ma certo, va bene.
Sono in viaggio però non mi libero prima delle nove, va bene? Altrimenti un altro giorno.
Ok dopo le nove allora.- nessuno parla- Ciao a dopo- mi dice
Cià- rispondo.
Chiuso il cellulare istintivamente mi volto a guardare mia madre alla guida, a mo' di bambino dopo aver scarabocchiato sul muro appena ritinteggiato, nonostante sappia perfettamente che lei non può immaginare chi andrò a trovare. O forse sì!
Distolgo lo sguardo il prima possibile, in tempo comunque perché il cervello di mia madre si metta in moto e le suggerisca di evitare domande del tipo- da chi vai?
Riesco a rilassarmi, sento un calore diffondersi dentro di me che percepisco curativo e per lunghissimi dieci minuti una voce da dentro me grida - Ho fatto la cosa giusta, sì, finalmente ho fatto la cosa giusta, più giusta per me!
Rintronata sospiro, errore grave.
Che hai? - Mia madre.
Naturalmente io - niente, anzi voglia di fumare. - La conversazione cade per problemi di comunicazione.
Il resto del viaggio sono preda di una paranoia di nome Vincenzo, giocatore di calcio, gentile e con un bel sorriso, che, oltre alla corte offertami quando mi credevo brutta ai livelli della Gattara di Matt Groening, è uno dei motivi per cui stiamo insieme.
Lui
Hei, ciao, sto partendo, mi mandi un messaggio con l'indirizzo.
Si, si... Sali fino alla piazza, c'è una strada sulla sinistra la prendi e mi trovi.
Mandami un messaggio è meglio, non sono uno che si orienta bene. - Rido, ride.
Ok.
Arrivo alla piazza, svolta, discesa la vedo: capelli rossi, maglia blue, jeans e sandali. Le apro lo sportello lasciandola entrare. - Sei bellissima.
No, non è vero.
Sì, sei bellissima. - Almeno così la vedo, i difetti mi sembrano pennellate date perché le regalino una luce ancora più bella.
Vuoi una birra?
mmm - annuisco - Dove andiamo? - Vorrei dire - non puoi certo stare in strada con me, sei impegnata! - invece con la massima naturalezza e la giusta dose di strafottenza - Andiamo a casa mia?
Si!
Si?! - strozzato, altro che naturalezza - Va bene...
Fermati le birre le prendo a questo bar, è di strada.
Ok - Ok un cazzo, ha detto davvero si. Un vortice attraversa la mia mente schiaffeggiandola con tutte le immagini delle ipotesi possibili racchiuse da quel "SI'".
Rientra in macchina - ho preso le birre due, una grande una piccola, spero bastino, non ho il senso della misura.
Basteranno - Celo, non so quanto bene, una faccia degna del miglior Corky sbatacchiato e ci rimetto in moto.
Il resto del viaggio scorre sopra un sottofondo di chiacchiere vuote dove nessuno ascolta veramente l'altro, causa l'imbarazzo straripante.
Lei
Si, andiamo da te. - Non posso stare in giro, e poi sono ancora fidanzata... almeno fino a quando non saremo sul suo letto, almeno fino a quando... Non ci devo pensare.
Si, va bene.
Si può fumare in macchina? - l'attesa della risposta mi cinge come un laccio poco amichevole intorno al collo, la speranza in una risposta positiva è l'unica presente in me, ho sinceramente paura di un "no!" adesso, devo, devo proprio fumare.
Certo fuma.
Grazie.
In contemporanea con il rumore della scintilla dell'accendino capisco che la sigaretta non basterà.
Prendiamo le birre?
Sì.
Quale birra vuoi?
Una birra.
Fermati, così le prendo al bar qua, che è di strada.
Birre in borsa, ci sono, sigaretta accesa, pure ; percezione di abbassamento del nervosismo: poco, forse solo una tacchetta, ma già meglio.
I sei km dal baraccio al covo del lupo dove io, Cappuccetto Rosso finta ignara mi sto lanciando senza freni passano tra uno sfotto sull'assenza quasi totale di benzina nella rosa carrozza e il vivido presentimento che il carburante possa davvero finire, cioè mi toccherà chiamare mio padre... peggio di essere vista da qualcuno in strada.
Lui
Non mi sembra vero, non è vero, sono, siamo qua, tra la poltrona gialla e il mobile bar di casa mia. Dopo anni, dopo dieci anni, oggi, la sento diversa, sembra devota a noi come mai prima. Almeno fiduciosa me lo voglio passare facilmente.
Apriamo le birre?
Prendo i bicchieri, sì...
Tornato nel salone servo la birra. Non riusciamo a guardarci negli occhi. Provo uno stupore che ha qualcosa di mistico come uno nudo di fronte ad un oggetto di culto. Insomma senza parole.
È tornato il mio amico del liceo. - ecco, appunto l'esempio del verboso niente. Dovrei dire e fermala subito, lo penso soltanto invece. Ride - non ci vedevamo da tanto tempo, siamo stati qualche giorno come lui pianta io sole, mi ha fatto piacere riaverlo qua.
Mmm - ascolto e non, sono sul suo viso a immagazzinare tutte le sue espressione, un giorno mi serviranno...
Abbiamo fatto uno scherzo al mio prof del liceo, una cosa con i gatti da pisciarsi sotto dal ridere!
Ma sei vera? - la interrompo e soprattutto chi se ne frega del prof - posso toccarti - aggiungo. Contemporaneamente la mia sinistra si appoggia sul suo braccio.
Sì sono vera - Come l'ha detto? Che voleva dire? Non ho tempo! Cazzo che ansia!
L'accarezzo sulla guancia realizzando di non averla ancora abbracciata e la sigaretta è finita - Rientriamo?
Inizia a parlare di nuovo però non capisco, meglio non seguo, sono ipnotizzato. - Tocca, sentimi, il mio cuore sta esplodendo, sto per avere un infarto! - Non dice nulla, prende le mie mani - Senti, anche io.
Non ci sono più le parole, mi abbasso sul suo ventre e sniffo il suo odore, mio, nostro - Ti sento dentro come una parte di me - vorrei dirle, però lo trovo banale nello stesso istante in cui lo sto pensando, così ce lo risparmio. - Delicato la bacio, finalmente...
Lei
Lo riempio di chiacchiere senza filo, salto dai bimbi del campo estivo agli scherzi al mio vecchio professore del liceo, senza dimenticare il mitico ritorno di GB. - Io pianta, tu sole, io pianta, tu sole. Hai capito? - Mm mm - sorride.
Sei bello da impazzire, più di quanto ricordassi, sei bello come un dio greco impastato con i colori dei Longobardi - Vorrei dire.
La sfera di vetro oscuro che riveste la mia vita, accanto a te, tra te, pare incrinarsi, sento che potrei romperla e vivere una vita nuova, luminosa insieme a te - Vorrei dire
Si entriamo dentro - Dico.
Mi siedo, parlo. Lui non parla - Perché non parla? Perché ascolta? Perché mi osserva e basta? No, anzi, studia, mi studio. Cosa sento di più paura o desiderio? Quanto vorrei...
Hei, tocca - le mie mani sono in mezzo alle sue, sento i suoi battiti, mi calmano, mi fanno sentire la forza di tutto l'amore che mi regala. Sono in un altro mondo - Senti anche io - Eruzione! Ho deciso non lo posso evitare. Sono tua adesso. Sono. Mi bacia, finalmente!
Fermo basta per favore - assumendo un'aria misto piccola fiammiferaia gatto con gli stivali di Shrek, lo dico.
Nella macchina con mia madre, avevo avuto dieci minuti di PPP, ovvero, pausa-prepara-paranoia; ora, a mezz'aria tra le sue braccia mentre mi bacia troppo maledettamente bene, solo due minuti.
Mi maledico per l'errata gestione nella somministrazione delle dosi di spensieratezza. Smetto di concentrarmi su me stessa e cerco i suoi occhi. Ho paura mentre mi posa, ho paura ancora cercando la poltrona, ho paura della sua reazione, ho paura di aver rotto il suo cuore, davvero.
Si ferma di fronte a me, respiro ritmico, profondo - Credo di meritarmi uno schiaffo, non volevo... non dovevo venire - sto per dirgli. Sorride però, perché? Gurda me, ancora, come fa? Sta per dire qualcosa.
Hai ragione - non è lui, non può - fa una pausa, alza gli occhi - la luce non è giusta.
E questa dove l'hai copiata.
Da nessuno. - fa - È la verità - indicando la plafoniere - questa luce fa schifo.
Rido, ma ha già capito.
Lui
Ti lascio le sigarette. - Ecco come si stempera una potenziale situazione sessuale covata per dieci anni non ancora realizzata, senza dimenticare l'ipotesi, concreta, che detto atto non si consumi mai. Distratto - No, no lascia stare, lo sai non le fumo si seccano fumale tu...
Ti sto lasciando le "mie" sigarette, le vuoi o no? - Ero stato poco attento - Le tue le voglio, le tengo.
Ti riaccompagnai a casa raccontandoti il mio amore e il tuo. Volevo proiettare dentro di te un altro film, un diverso sogno, tanto difficile quanto bellissimo, tanto semplice, quanto poetico. Vero, realizzabile!
Mi raccomandai di non lasciarti assalire dai sensi di colpa, perché quello che avevi fatto era tanto poco e ormai passato.
La mia macchina rosa e una canzone ska rendevano tutto surreale, uguale il tuo ultimo bacio di saluto. Ci sarebbe stata bene la pioggia e un abbraccio più lungo, ma era estate. Ti lascia a casa tua e andai. Nel tragitto del ritorno pensavo, ancora dopo dieci anni, che l'ultimo soldato in piedi di nome fa sempre Hope!
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