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Funerale al collegio femminile
Era mancata una sorella di mia madre, suora in un collegio femminile a Catanzaro, città a me ignota. Malgrado le perplessità dovute alla distanza e alla presenza delle religiose, per le quali non nutro soverchia simpatia, avrei partecipato al funerale. Giorno e notte sul Torino-Palermo, poche ore di sosta per due diverse funzioni religiose e poi subito in treno. Si era stabilito così per non distrarmi a lungo dagli studi.
Giunti a destinazione ci recammo nella chiesa affiancata al collegio, dove c'era stata riservata la prima fila della navata centrale. Ad attenderci trovammo suore e collegiali, queste ultime assiepate in obliquo rispetto a noi, sui banchi ai lati dell'altare. E durante la messa andai talmente in confusione da sbagliare perfino il segno della croce. D'altronde provateci voi ad ascoltare imperturbabili il sacerdote che decanta moralità e santità della povera, verginea defunta, mentre venti o trenta ragazze sui quindici diciotto anni non vi tolgono gli occhi di dosso, fissandovi per giunta con aria famelica: costoro trascorrevano buona parte dell'anno prigioniere d'un branco di nere arpie, e affamate dovevano esserlo sul serio.
Già prima d'entrare le avevo viste voltarsi di continuo verso di me parlando fitto, per poi ricominciare all'uscita e raccogliere infine delle pietruzze. Non mi ci voleva molta immaginazione per sentirmi protagonista delle discussioni. Era come ascoltarle:
"Ehi, c'è un ragazzo!"
"Mm, bruttino."
"È fico, invece."
"Ma ha una faccia fatta strana, capelli un po' troppo lunghi e occhiali."
"Embè? Anch'io ho gli occhiali, sarà un intellettuale. A me piace e tu non capisci niente."
"Giusto, Patrizia, è molto carino, io me lo mangerei di baci."
"Esagerate tutte e tre! Non è troppo male, diciamo, ok?"
"Comunque bello o brutto che sia è un giovane maschio, compagne, non facciamocelo sfuggire."
"Ben detto Michela, ma come facciamo?"
"Ce lo tiriamo a sorte."
...
"Ma l'avete visto prima in chiesa? A me sembra uno sfigato."
"È solo un po' timidino, ci penso io a svegliarlo, ragazze."
"Se troviamo un'opportunità."
"Ma certo che la troviamo! È un uomo, no? Vedrete che ci penserà lui a fornircela."
"Forza allora, raccogliamo ventisette sassolini dal ghiaione, chi poi sceglie l'unico Bianco vince."
E tutto ciò in barba alle monache, illuse di forgiare le care giovincelle loro affidate, rendendole brave figliole pure ed educate, timorate di Dio ed estranee alle tentazioni di Satana.
Ci trasferimmo quindi al cimitero, dove c'ammucchiammo in un tempietto, ovviamente sempre con tutti quegli occhi femminili puntati su di me, accidenti che stress! Resistetti pochi minuti alla predica, poi uscii a prendere una boccata d'aria.
Gironzolavo annoiato tra le lapidi, quando fui inaspettatamente avvicinato da una collegiale abbastanza ben tornita, appena più bassa di me. Invero ne avevo notato alcune assai più seducenti, tuttavia era graziosa.
"Ciao. Sai, fin dal primo momento che ti ho visto mi sei subito piaciuto."
"Ah-ehm, davvero?"
Eppure indossava gli occhiali, boh? Ma, come si dice, de gustibus non disputandum est e chi sono io per contestare un sincero punto di vista?
"Sì, sei davvero un bel ragazzo. Io a proposito mi chiamo Patrizia e tu?"
Mi presentai, sentendomi arrossire fino alla radice dei capelli e ricordandomi in ritardo di sorridere a mia volta. Ero preso veramente alla sprovvista. Con la zia appena defunta e mia madre e l'intero parentado sconvolti e in lacrime a pochi passi di distanza, io, un uomo, abbordato al cimitero da un'adolescente in calore. Assolutamente disdicevole, fuori luogo e imbarazzante, vero? Sì, ma anche comodo per uno come me, poco estroverso con le donne. E poi, come dicono a Napoli, ca nisciuno è fesso. Dopo l'iniziale esitazione m'adattai subito alle circostanze. Prendemmo così a passeggiare e a discorrere per il camposanto.
Lei si definì libera da impegni sentimentali, diciassettenne ma prossima alla maggiore età e residente a Crotone. Io riferii d'essere uno studente universitario ligure, a mia volta sfidanzato. Infine mi propose di venirla a trovare domenica pomeriggio, unico momento in cui le era permesso uscire qualche ora dal convitto.
"Impossibile, tra poco riparto e torno a casa." Risposi desolato.
"E domenica non puoi tornare?"
"Scherzi? Vivo a più di mille chilometri da qua."
"Stasera, allora. Posso sfuggire alle suore, tanto quelle non sono molto furbe."
"Magari, ma purtroppo prendiamo il treno tra neanche due ore."
"Resta qui tu da solo."
"Qui, io? Non è possibile, come mi giustifico con mia madre? Tra poco ho pure un esame."
Incredibile tanta entusiasta disponibilità per uno sconosciuto, vero? Chiaro che non era delle mie parti. Le liguri te la fanno sempre cadere dall'alto, come se stare con un uomo sia un enorme ma inevitabile sacrificio e che se proprio deve accadere non si comprende perché debba essere proprio con te. Non a caso parecchi miei concittadini finiscono per mettersi con forestiere.
Tant'è che, inoltrandoci nel sepolcreto, giungemmo davanti a una cappella di famiglia, il cui cancelletto d'ingresso era aperto. Guardai allocchito e ricacciai indietro l'idea sopraggiunta, ancor prima che assumesse una forma ben definita. Avendo tuttavia notato la direzione del mio sguardo, Patrizia osservò a sua volta, poi mi prese per mano rivolgendomi un sorriso radioso, mentre io cadevo preda del panico, il cuore che tambureggiava.
Ci facemmo insomma strada nel buio dell'edificio commemorativo, dove l'eccitazione prevalse su ogni altro sentimento e ci ritrovammo lunghi e distesi sul pavimento, ad accarezzarci e ad abbracciarci. Cominciammo quindi a spogliarci, incuranti del gelo suscitato dal marmo sottostante. Io mi levai giubbino e golf e lei giacca e camicetta. Poi c'aiutammo, maldestri, lei sbottonandomi camicia e pantaloni, io dandomi da fare con gonna e reggiseno, giungendo finalmente a scoprire, emozionati, le reciproche qualità, sotto lo sguardo corrucciato di tal famiglia Piromalli, le cui foto sulle lapidi, illuminate da candele, ci fissavano, mi parve, con espressione inorridita.
Dopo un indefinito periodo di tempo, percepii un improvviso calo della luce e mi voltai a guardare. Davanti all'ingresso si stagliava la figura del mio cugino professore, allora all'incirca quarantenne, che ci fissava a occhi sbarrati. Dio che vergogna.
"Aah, ascolta Giacinto, non è..."
Non riuscii ad aggiungere altro. In effetti stavo per dire: non è come sembra, ti posso spiegare. Mi ero però reso conto di quanto l'affermazione risultasse ridicola. C'era poco da equivocare, nudi e stretti in un amplesso in un luogo e momento simili.
Dovemmo restare entrambi in silenzio per almeno una decina di, eterni, secondi. Nel frattempo Patrizia, scioccata, si ricopriva in qualche maniera. Giacinto aveva stampata sul viso un'espressione d'estremo disgusto ed era talmente immobile da parere scolpito. Poi però gli apparve sulle labbra un mezzo sorriso, mentre gli occhi s'accendevano d'una luce ironica.
"Io non vi ho visto, va bene? Ricomponetevi però in fretta, perché la funzione è terminata e vi cercano anche gli altri."
Ciò detto girò sui tacchi e s'allontanò, apparentemente irritato. Ma era soltanto una mia impressione o dal suo tono di voce trapelava un filo d'invidia?
Ci affrettammo a rivestirci e a separarci senza più profferire parola. Poco dopo Patrizia fu risucchiata tra le compagne e udii una di loro, forse la più attraente, rivolgersi all'amica con un "allora, com'è andata? Raccontaci tutto," che mi spinse ad allontanarmi. Meglio non sapere, pensai, timoroso della risposta. Me ne pentii subito. In effetti mi sarebbe piaciuto ascoltarne i commenti, ma ormai era tardi.
Un'oretta dopo mi ritrovai in viaggio, senza chiudere occhio. Avendo appena penetrato due cappelle in una sola volta, se mi concedete la battutaccia, era difficile dormirci sopra come se nulla fosse, anche perché, l'ammetto senza ipocrisie estranee alla mia natura, all'epoca, benché quasi ventunenne, ero ancora vergine.
Da allora non ci siamo mai più visti né ho rimesso piede in Calabria.
Oggi tra parentesi sono scapolo. Tengo alla mia libertà, io e non sopporterei il peso d'una famiglia, con tutti gli annessi e connessi sociali e finanziari. Certo, alle volte la solitudine è spiacevole, ma niente moglie e tanto meno figli, per carità. O almeno credo. Perché, a pensarci bene, ovviamente allora non avevo con me profilattici e dubito che lei prendesse la pillola, perlomeno durante la permanenza nell'istituto. Quindi non potrei escludere a priori d'esser padre.
Immagino però che se lo sgradito incidente fosse avvenuto, dinanzi a una simile emergenza la famiglia di Patrizia avrebbe provveduto a rintracciarmi. Per cui a così tanti anni di distanza non ho motivo di preoccupazione.
O magari un giorno sentirò suonare al citofono, andrò sereno e ignaro a rispondere e mi sentirò dire:
"Mi scusi, cercavo il signor tale. ... Ah è lei? Bene, ciao papà, sono tuo figlio, finalmente ti ho trovato."
Ah, ah, ah, che idee assurde mi vengono, alle volte!
... Oh, scusate, devo interrompermi qui, suonano al citofono. Strano, chi sarà mai a quest'ora? Non aspettavo nessuno.
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2 recensioni:
- E grazie anche a te, Salvatore, molto lieto che il racconto ti sia piaciuto.
- Grazie per la tua recensione, per me assai soddisfacente pur nella sua stringatezza (ignoro però quali passaggi formali siano da mettere a punto). Sono lieto che il racconto ti sia piaciuto.

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