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I fiordalisi del 1943

Natalino se ne era " scappato " con Teresa, quella ragazzina dai capelli ricci e neri e dagli occhi del colore di quei fiori che mieteva insieme al grano d'estate. Non conosceva il loro nome ma che fossero tanto belli lo aveva sempre pensato.
L'aveva portata nella sua povera casa dove oltre i genitori c'erano due fratelli e una sorella più piccoli.
Aveva diciotto anni e lei sedici, non potevano stare lontani, la mamma avrebbe capito... e mia nonna comprese accogliendo in quelle due stanze anche quell'altra figlia. Dove c'era il minimo per vivere si poteva dividere anche quello.
Ma pochi giorni e tutto impazzì! Anche dal mio paesino furono chiamati in guerra uomini e ragazzi il cui mondo fino allora era stato solo quello delimitato dalle montagne azzurre intorno alla valle.
Mio zio Natalino doveva imbarcarsi a Civitavecchia per destinazione ignota e i miei nonni andarono a salutarlo con Teresa, ormai sua moglie, per tornarsene poi al paese.
Il destino però tesseva trame di desideri candidi di gioventù e preparava l'agguado.
Dormivano già, Teresa nel letto con mia madre, la piccola, si sentirono dei colpi alla porta e la voce di mio zio che li aveva seguiti ed ora era lì.
Forse quegli occhi azzurri e quei sedici anni valevano più di un abbraccio frettoloso e davanti agli altri: voleva rubare alla vita quasi una notte d'amore prima di essere spedito chissà dove e tornare chissà quando.
Solo mia nonna con le mani fra i capelli urlò spaventata nel vederlo.
Al mattino i suoi compagni erano già partiti da Civitavecchia e lui dichiarato disertore e spedito altrove.
Sicilia, Barletta, diciassette giorni di treno attraversando Croazia, Romania, Bulgaria, Albania fino ad Atene, poi l'isola di Stampalia ed infine Rodi.
Non è più tornato a rivedere i suoi fiordalisi.
Io ho ricostruito tutto questo calvario attraverso tre cartoline postali che mio nonno per anni ha fatto vedere nel cercare di saperne di più di quel figlio adorato: non si rassegnava al buio profondo di quella parola... " disperso ". Chiedeva a coloro che fortunati tornavano alle loro famiglie e per anni è andato negli uffici preposti ma... sapeva appena apporre la sua firma! Solo da pochi anni hanno consegnato a mia madre il foglio matricolare stilato nel 1971 dove c'è la via crucis di questo mio zio che ho imparato ad amare dalle parole di mia nonna prima e dai racconti di mamma poi e da una sua lunghissima lettera consegnata a mano ai miei nonni da un compaesano, recante le sue ultime notizie e tutto il suo sentire.
Nell'ultimo rigo del foglio matricolare c'è scritto: fatto prigioniero dai tedeschi e internato a Rodi. Disperso.
Da quella notte d'amore nessun figlio è nato ma ci siamo noi nipoti ancora a cercarlo perché nessuno si disperde nell'amore e nel ricordo.

 

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4 recensioni:

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  • Antonio Garganese il 07/10/2013 08:07
    Racconto triste di una guerra lontana ma che ha lasciato e lascia profonde ferite in tutti noi. Particolarmente toccante quanto hai scritto. Che dirti? Hai piantato un fiordaliso in più, giusto così!
  • Francesco Andrea Maiello il 07/10/2013 04:48
    La guerra è la gelida strada del dolore (strage di Lampedusa)... bisogna educare all'amore... neanche il buon Gesù c'è riuscito ancora!
  • Anonimo il 07/10/2013 03:56
    Ho assistito ad una cerimonia nei giorni scorsi qui ad Alessano nel basso Salento dove mi trovo per organizzare un incontro poetico. Il rientro in patria dei resti di un disperso fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in Germania in un campo di concentramento ed ucciso mentre tentava la fuga per rientrare in Italia perché aveva saputo della nascita di una figlia. Per uno strano scherzo del destino i suoi resti sono stati ritrovati da un giornalista veneto che cercava quelli di suo zio e si è reso conto che poteva essere d'aiuto per far ritrovare i tanti "dimenticati di stato" ed ha cominciato a raccogliere indirizzi e numeri di matricola riuscendo a risalire a diversi congiunti che, pur disperati, sono riusciti a venire in possesso dei resti mortali dei loro cari e dare degna sepoltura accanto ai loro morti nel loro cimitero. La speranza, quindi, è la metafora di questo racconto che ho molto apprezzato e che mi ha commosso, come mi hanno commosso quei poveri resti del disperso di Alessano, Alemanno Donato, ritrovati dopo circa 70 anni. Auguri, quindi, e che la speranza non ci abbandoni mai.
  • Caterina Russotti il 06/10/2013 23:34
    L'amore di una famiglia unita dalla guerra e dal dolore. Stupendo racconto di vita vissuta.

2 commenti:


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