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CARTOLIBRERIA STELLA
Ricordo ancora le volte che giocavamo a nascondino, quando per mano mi portavi alla “CARTOLIBRERIA STELLA”, che bello, la cartolibreria stella, quanto era comune questo nome ed ora è così insolito pronunciarlo in questo punto della mia vita. Mi manchi nonnino, sono passati dodici anni che te ne sei andato, ma come faccio a dimenticarti? Sai a volte ti penso con rabbia, perché penso a quanto hai amato la nonna e come la rivorresti vicina, ma ti prego sii più paziente che puoi, ci sarà tutta l’eternità per tornare insieme, e quando arriverà il momento ti prego stringila forte forte e non lasciarle mai la mano, fa che nel vederti lei non abbia paura.
Io desidero più di qualsiasi altra cosa poter tornare indietro nel tempo per rivivere almeno uno di quei momenti. Sarei indecisa fra un giorno qualunque, che bello definirlo qualunque beata me a quei tempi, un giorno qualunque che oggi è un giorno impossibile, beh dicevo un giorno in cui stavo da voi, sveglia presto, la nonna che ti sveglia e ti urla “nennì!”, ti chiamava così perché eri più piccolo di lei di un anno e tu la chiamavi “rusella”, oddio quanto mi manca la nonna che dal letto urlava “nennì acala a voce!”, sì perché quando lei era già a letto tu restavi in cucina a guardare la tv, nennì, nennì, nennì, rusellaaaa, rusè! I miei nonnini. Nonno, ho stampato il tuo volto davanti ai miei occhi, com’eri bello, anche quando la morte venne ad accoglierti fra le sue braccia, eri ancora bello e mentre te ne andavi anche l’ultimo pensiero fu per noi, vederci per l’ultima volta insieme. C’ero anch’io nonno sull’uscio della porta che guardavo, non so se te n’eri accorto, arrivai giusto in tempo dalla terrazza all’uscio per guardarti partire per sempre. Quante volte ti ho visto partire, da Ponzone, dalla casa di Castelvolturno, com’eri bello su quel treno che partivi, ma ti avrei rivisto, o quando ve ne andaste da Castelvolturno, un’altra bambina avrebbe preferito le cuginette che arrivarono dopo, no io piangevo a singhiozzi perché volevo i miei nonnini. Ma come si fa quando chi ami così tanto una perosna e per forza non la vedrai mai più. La morte degli altri è il mio terrore.
Beh. Tornando al “giorno qualunque”, sveglia presto al mattino con la nonna, alle 5, ma perchè lo volevo io, e la nonna mi diceva “ma resta a dormire!” e io no, volevo stare con la mia nonnina dal primo raggio di sole; ricordo ancora il profumo del caffè buono che mi metteva nel latte e l’odore di frittura di primo mattino derivante dall’ottima pizza fritta con la ricotta che la nonna mi preparava ogni mattina e poi quella radio accesa che trasmetteva sempre la stessa canzone, Fortuna Robustelli, “uno, due e tre... la pappina in bocca a te...”, quanto mi piaceva!
Poi verso le sette si alzava il nonno che doveva andare ad aprire la cartoleria, si beveva il caffè mi guardava e mi diceva “come si dice?” e io “buongiorno!”, e lì scattava il bacino, ma il bacio di mio nonno non è come gli altri, mai più nessuno me li ha dati così, lui ne dava tanti piccolini attaccati in un’unica volta. Poi non mi restava che decidere se andare col nonno al negozio o andare con la nonna in giro a fare la spesa e cose varie: andavo spesso col nonno, perchè la nonna si fermava a parlare con tutti e io mi annoiavo invece il nonno mi gonfiava i palloncini, mi faceva scrivere a macchina, mi faceva leggere e mi dava la cento lire con cui mi compravo i “salatini” o il “bombolone”. Che bello tornare a casa per pranzo, c’erano tante cose da mangiare, tornavo per mano col nonno, notavo una bollicina sulla sua mano; il pomeriggio era simile ma fuori al negozio parlavo con la figlia di Tonino, il barista accanto alla cartoleria, una bimba poco più grande di me. La sera veniva mia madre, ma io restavo coi nonni, perchè mi piaceva di più, perchè mi volevano bene tanto, avevo tutto, una famiglia gigantesca, giocavo con i miei cuginetti, venivano sempre le mie zie al negozio, e zia Enzina se le davo un bacio mi dava cento lire giocavo con “Titti piccolina” col palloncino, ero la cocca di tutti. Io non so spiegare cosa vuol dire quando d’improvviso tutto svanisce, è come quando stai facendo un bel sogno e ti svegli di botto e rimani deluso perchè era solo un sogno. Io mi sento così, come se all’improvviso mi fossi svegliata all’improvviso e non c’è più la cartolibreria stella, non c’è nessuno più che per un mio bacio mi dà cento lire, nessuno che mi prepara la pizza fritta la mattina, nessuno che mi fa un pranzo buono e brodino la sera con la mortadellina, nessuno più quando non mi piace una cosa mi fa segno col dito sulla guancia che è buono come faceva il nonno e non c’è più il nonno. Mentre tutti piangevano e pensavano alle loro lacrime nessuno si è accorto di una bambina in un angolo alla quale si era aperta una voragine, che aveva perso il vero padre, che non si rendeva più conto che non avrebbe più rivisto per il resto dei suoi giorni il suo nonnino. Ma ora torno a dormire, torno a sognare, chiudo gli occhi ancora una volta, ecco, è la sera di Capodanno, il polipo era pronto, ma prima uscivamo fuori la terrazza perchè mangiassero prima gli angeli. Prima che arrivasse la mezzanotte, mangiavamo col solito presidente della Repubblica in tv, e la vasca da bagno piena di capitoni che galleggiavano felici ignari del loro destino, li attendeva un abile nonnino, bravissimo a cucinare il pesce, infatti era lui che si occupava della frittura di pesce, mi guardava e col solito indice sulla guancia mi diceva “buoni i rotondi”, i calamari così li chiamavamo, i rotondi. Finito di mangiare si giocava a tombola, e giuro che c’eravamo tutti! Non c’era posto e la nonna aggiungeva sempre un tavolo, ma io tanto ero seduta sulle ginocchia del nonno che mi dava due cocci di un piatto e me li faceva mettere sui numeri estratti, il banco lo faceva sempre zia Rosetta, c’era anche zio Franco e zio Dino, zio Osvaldo che aveva ancora i baffi, nessuno fidanzato, solo tanti bambini eravamo, tutti i cuginetti, ma ero io e solo io ad avere il privilegio di stare sulle ginocchia del nonno.
Una volta la nonna a Ponzone mi confidò che ero la sua nipote preferita, mi scrisse anche una lettera che dettò a Paola, ma chissà che fine ha fatto.
Beh, ecco che inizia la tombola, e zio Carmine deve sempre dire il significato dei numeri, che trio zio Osvaldo zio Dino e zio Carmine, troppo simpatici, io mi divertivo ma la nonna si arrabbiava perchè voleva silenzio mentre diceva i numeri. Ma mancavano pochi secondi alla mezzanotte, 3... 2... 1... BUM! Ecco volare via il tappo dello spumante, mio fratello Enzo e mia cugina Daniela subito a sparare i botti, facevano a gara a chi ne aveva di più e di più belli, e la cosa più terrificante per me era dare gli auguri a tutti! Non finivano mai, erano troppi! Dopo aver compiuto la missione prendevo una stellina e l’accendevo, non ero impavida come mio fratello mi accontentavo di quella. E poi, via a giocare fino alle cinque del mattino e mia nonna si alzava lo stesso alle sei, massimo le sette. E il Pimo gennaio c’era la medesima giornata della precedente.
Eccomi, di nuovo sveglia, non c’è più niente, ma non piace, voglio sognare ancora un pò.
Ecco, sono nella piccola casetta di San Pietro, mi chiedevano “dove abiti” e io a raffica “via nuovo tempio cinquantuno san pietro a napoli”, non respiravo neanche, mia madre mi preparava il latte bianco senza zucchero, che bevevo stenti, mi dicevano che ero lenta, in realtà non mi piaceva e lo bevevo a stenti! Ma meno male che arrivava la nonna come ogni mattina a portare la graffa a me e il cornetto a Enzo, che era seduto su quella poltrona bianca (salotto bianco che sarebbe stato presto cambiato con un cassettone colorato comprato da Fusco, dove lavorava mio padre) e aveva il vizio di fare avanti e indietro con la schiena e noi lo prendevamo in giro dicevamo che assomigliava a un ragazzo disabile che abitava di fronte ai nonni e lo si vedeva dalla terrazza coi suoi capelli rossi con le mani sulla ringhiera fare avanti e indietro. Quando veniva qualcuno mi chiedeva sempre le capitali o di dire una poesia, ero un fenomeno da baraccone, io volevo giocare, ma pensavano tutti alle capitali, Enzo giocava quanto voleva, io non potevo, volevo andare a giocare ma dovevo per forza o studiare col sapientino oppure massaggiare mia madre, la testa, le mani, i piedi, i polpacci, e sentivo la sigla del cartone animato che stava cominciando, ma era troppo piacevole il massaggio perchè mia madre mi lasciasse andare a vederlo. Non ho mai fatto quello che volevo, ho sempre chiesto il permesso, quando mi dicevano se volevo qualcosa prima guardavo mia madre, lei mi metteva terrore, non volevo essere picchiata e questo accadeva spesso, invece i nonnini mi volevano bene, non mi hanno mai picchiata e facevano le cose che mi piacevano, a casa mia invece venivo sempre per ultima, venivo trascurata, nessuno si preoccupava di cosa volevo io, invece i nonni mi trattavano come se fossi stata una principessa. La cosa importante era che io fossi la prima della classe, non parlare in napoletano, non dire parolaccie, e mangiare tutto all’asilo, già perchè una cosa che mi chiedo tutt’ora è come diavolo faceva mia madre a guardare il calendario e scoprire che non avevo mangiato, o fingeva e guardava la mia espressione o la maestra faceva la spia nonostante io le pregassi di non farlo, e poi a casa via con le sculacciate. Il nonno giocava a nascondino con me, i nonni mi facevano giocare; poi ho fatto la primina, nessuno ha pensato se invece avessi voluto ancora giocare all’asilo, no, a 5 anni compiuti solo un mese dopo che la prima l’avevo già cominciata, già avevo imparato a leggere e a scrivere. La nonna prega sempre per me e mi pensa, lei vuole che io sia felice e io ho inserito una sua frase in uno spettacolo che ho fatto. Nessuno apprezza la nonna per quello che vale, io invece mi sono fatta raccontare come viveva in guerra, quanto mi piaceva ascoltare le sue storie e poi anche tante barzellette che raccontava, ora invece non l’ascolta più nessuno. Quante ne ha viste lei, quanta gente che amava ha visto morire, io mi lamento dei cambiamenti, quanti ne ha visti lei, povera nonna, ma che donna forte che è, lei che parla della morte con una disinvoltura incredibile, la nonna non ha paura di niente, ma è davvero così? Lei è sensibile, e poi capisce i sentimenti degli altri, io le ho parlato dei miei e mi ha capita, e io ho capito lei quando mi raccontò del suo grande amore, che non fu il nonno.
Il nonno invece amava la nonna follemente, io credo nell’amore eterno, solo che esiste quando incontri l’amore vero e non se ti accontenti del primo innamoramento che ti capita, e poi l’ho visto nel nonno. Che dava ancora i bacini alla nonna e quando litigavano il nonno andava dalla nonna e le diceva “Rusella mia!” e le dava tanti bacini.
Mi risveglio dal sogno, e la realtà è ben diversa, ma un giorno ci ritroveremo di nuovo tutti insieme, e sarà per l’eternità, un giorno saremo tutti a bere spumante felici e senza più dolore nella Cartolibreria Stella.
dedicata ai miei nonni con immenso affetto dalla vostra nipotina
Antonella Fittipaldi, o “sciucrisciù”
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