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Note grasse per uomini affamati
Quel giorno in cui Silvana chiese a me e a Marco di accompagnarla al centro commerciale, non sapevo dell'orrenda situazione in cui mi sarei ritrovato. Nè tanto meno ero a conoscenza dell'orda di cani e gatti affamati che m'avrebbe costretto a rinchiudermi nel bagno d'un pub. Non avrei mai creduto che lo stesso lardo che ingurgita ogni giorno la popolazione umana avrebbe ridotto in poltiglia le mie budella, le mie ossa e la mia speranza di esistere ancora per un po''.
Non sapevo nemmeno che quel giorno fossero iniziati i saldi: inseguivo Silvana affiancando le vetrine dei negozi, districandomi tra la folla di quel giorno. Le file interminabili erano costante di ogni negozio ed il calore della ressa era asfissiante. Navigavo in quella fiumana con le braccia come remi in un mare di corpi, pacchi e passeggini. A volte la gente era così concentrata da formare un blocco invalicabile. Mi ritrovavo solo a lottare con la fretta degli acquisti, alzando di tanto in tanto la testa per non perdere di vista Silvana. Con la testa piena di idee passava in rassegna tutti i negozi, guardando questa o quella gonna, vestito, paio di scarpe. Io con passo svelto cercavo di tener testa alle sue fughe repentine, mentre il mio umore vacillava tra la noia e l'inquietudine di dover passare altri minuti in sua compagnia.
Fortuna volle che la furia si fermò, sedendosi su una panchina difronte ad un addobbatissimo negozio di borse. Lì incominciò a blaterare su quanto desiderasse una borsa di quelle. Anche'io la desideravo, ma solo per il nobile motivo di lanciargliela addosso. Nervosamente muovevo la gamba. La sua gamba sinistra seguiva il mio ritmo.
<<Finiscila!>> strillò Silvana.
<<Sono due ore che ti corro dietro. Lasciami essere nervoso in pace>>
<<Perchè non hai seguito Marco?>>
<<Da quando una piccola, dolce donzella indifesa può essere lasciata da sola in un grosso centro commerciale come questo?>>
<<Grazie, mio principe!>> Le regalai uno schiaffo sulla coscia.
Il tempo passava lentamente difronte a quel santuario di pelletteria. Nel frattempo una signora passava di lì con il suo piccolo cagnolino saltellante. Lo guardai con una smorfia, e lui mi rispose con un abbaiare forte e dentato. Cercava di mordermi la scarpa tirando con sè la padrona che stentava a reggersi in piedi. Ritrassi la smorfia, spaventato e quasi incredulo. Squillò il telefono, era Marco. Silvana si alzò, ma le bloccai un braccio. <<Marco sta arrivando, aspetta>>. Obbedì.
Marco arrivò saltellando proprio come il cane della signora. Non feci nessuna smorfia.
<<Silvana, hai il potere di ridurre così un ragazzo?>> disse Marco.
<<Così come?>>
Il mio stomaco cominciò a brontolare.
<<Poche chiacchiere, ho fame. Andiamo al Dood? È un nuovo pub del centro>>
Silvana sorrise, Marco anche. La destinazione era decisa.
Il Dood era un american pub: una porta stile far west accoglieva i suoi ospiti, osservati dalla testa del cinghiale esposta su di un supporto. Entrati, un grosso panino farcito ci passò davanti diretto verso il tavolo di una coppia felice che aspettava la propria ordinazione. Sulla destra, un bancone di legno scuro ospitava diversi boccali di birra vuota, il cui contenuto era parzialmente finito nel bagno del pub tramite alcuni processi complessi. Una dolce cameriera lavava velocemente altri boccali e li riponeva su un ripiano alle sue spalle. Mi avvicinai, chiedendole se ci fosse un tavolo per quattro: certo che c'è il tavolo per quattro, rispose. Ci accompagnò lei stessa.
Un grosso lampadario pendeva dal soffitto, emanando una luce tenue che creava un'atmosfera placida e tranquilla. Un brusio di fondo, un vociare non ben definito lasciava intuire le note d'una melodia. Sembrava un pianoforte, e ne ebbi la conferma guardando il piccolo palchetto in fondo al locale dove un pianista sciccoso suonava un qualche pezzo jazz.
<<Bel posto, non vi pare?>> chiese Marco
<<Io posso concludere che tutta la bellezza di questo locale si concentri sui glutei tondi e raffinati della barista>> risposi.
<<Lo so, è stato amore a prima vista>>
<<Siete dei pervertiti voi due!>> Silvana si alzò ed andò in bagno.
I menù del Dood erano ricchi di pietanze, cibi iper-proteici, contorni di verdure e patatine fritte, panini ricolmi di ogni bendidio. Insomma, un ottimo posto in cui tutto il fitness che avreste potuto fare sarebbe andato a farsi fottere.
Silvana tornò dal bagno con un'espressione infastidita.
<<Che c'è?>> chiesi.
<<Nel bagno delle donne c'è un tizio che sta... defecando. Dovrei dirlo alla cameriera.>>
<<No ti prego non farlo. È troppo divertente!>>
Nel frattempo la cameriera stava distribuendo le posate sul tavolo accanto al nostro.
<<Cameriera!>>
Rimproverai Silvana di essere una guasta feste e lei iniziò a tirar fuori discorsi femministi di vario genere che non ben collegavo al pover'uomo che stava defecando. La cameriera finì di sistemare le posate e si diresse verso di noi, inciampando su una borsa e facendo finire il coltello che aveva in mano proprio sul mio pollice, che iniziò a sanguinare.
<<Mi scusi signore!>> disse la cameriera.
<<Cristo che dolore! Vado in bagno>>
Il taglio era profondo, ed il sangue usciva a fiotti e cercavo di tamponare con della carta igienica. Un dolore lancinante, maledetta cameriera. Presi tutta la carta igienica che potessi prendere e fasciai il pollice imprecando. Le mie parole si tuffarono in un silenzio che mi sorprese: il brusio di sottofondo scomparve, così come la musica proveniente dal pianoforte.
Uscito dal bagno mi ritrovai immerso nel tintinnio di coltelli e forchette. Tornai al mio tavolo, dove Marco stava già consumando la sua ordinazione.
<<È un bel taglio. Grazie Silvana, oggi non smetto di volerti bene>>
Nessuna risposta.
<<Ragazzi? Sto parlando con voi>> dissi muovendo la mano davanti alle loro facce.
<<Ragazzi...>>
Scossi loro le spalle, ma non ottenni che altro silenzio.
<<Spero vi stiate divertendo>>
Il ritmo delle forchette e dei coltelli sembrò accelerare. Iniziai a guardarmi intorno e a dare importanza a quello strano silenzio. Tutti i clienti erano piegati sul proprio piatto mangiando velocemente. Mi accorsi che anche la musica s'era fermata. Diedi uno sguardo al pianista: era ancora lì, pigiando i tasti, ma non sentivo musica.
Silenzio.
<<Ma che cazzo succede qui?>> Un cameriere con due grosse porzioni di patatine fritte uscì a passo svelto dalla cucina, diretto al tavolo accanto al nostro. Un signore abbastanza panciuto incominciò a divorare la sua porzione, così come la moglie ed il figlioletto grassoccio. I camerieri continuavano ad entrare ed uscire continuamente dalla cucina, portando porzioni di cibi diversi ai tavoli. Non tardarono a riempire il nostro di panini farciti, patatine fritte, insalate miste, salumi. Marco incominciò a sbavare, prendendo con le mani tutto quel che poteva e portandosi mucchi di roba succulenta in bocca. Silvana lo imitava.
Mi alzai e corsi al bancone cercando la barista. Era nascosta dietro ad un barile con in mano un piatto ripieno di una poltiglia marrone. Un acido conato di vomito trafisse il mio esofago. Tornai al tavolo e guardai Marco sprofondare in una ciotola di riso al curry e la faccia di Silvana spiaccicata sulla maionese che sarebbe dovuto essere condimento del suo panino. Era praticamente svenuta.
<<Silvana? Cazzo Silvana svegliati!>> Nessuna risposta. Nel frattempo uno strano movimento al tavolo dei panzoni mi incuriosì: fu come se la pancia del signore si fosse gonfiata per un attimo, sgonfiandosi subito dopo. Rividi quella stranezza ancora, ed ancora ed ancora. Come se ci fosse un bambino che scalciasse. L'uomo non sembrava farci caso.
<<Silvana svegliati! Silvana!>> la scuotevo con tutte le mie forze. Iniziai a piangere per i nervi tesi, e più volte respinsi indietro degli invadenti conati di vomito.
Guardai nuovamente il signore, era ingrassato di parecchio. Respirai profondamente, sedendomi cauto sulla mia sedia. Guardai le montagne di cibo sul tavolo: che ci fosse stata una droga? Una specie di attacco chimico terroristico? Tremavo, ed ispiravo, espiravo lentamente. Di scatto il signore si alzò e continuò a mangiare in piedi: era diventato troppo grasso per restare seduto su quella misera piccola sedia. Non mi accorsi di come la situazione fosse degenerata in tutto il locale: ciascun tavolo accoglieva il suo grassone ed i camerieri continuavano a portare grosse porzioni di cibo che venivano divorate in poco tempo. Loro sembravano non accorgersi di cosa stesse succedendo. Erano come automi programmati per sfamare quei grassi flaccidi culi. Rimasi immobile per un tempo indeterminato, finchè non decisi con gambe tremanti di alzarmi e cercare di trascinare fuori da quel manicomio Marco e Silvana. Anche Marco era ingrassato parecchio. Lo afferrai per un braccio cercando di tirarlo su, ma restava immobile come un sasso. Insistetti. Lui girò lentamente la testa verso la mia mano, sputacchiando dalla bocca pezzi di cibo e saliva. Non riuscii più a trattenere il vomito, e sboccai nel cestino del pane sul tavolo accanto. Pulii la bocca con la manica del maglione. Riprovai ad alzarlo, ma mi morse la mano lacerandomi la pelle. <<Ti prego Marco, alzati>> ci riprovai. Questa volta s'alzò e corse verso un gruppo di ragazzi che già erano diventati abbastanza grandi da far invidia ad un lottatore di sumo. Era fuori di sè e non sapevo come aiutarlo. Gridai disperato.
Una puzza insopportabile si era diffusa per tutto il locale: un misto di liquidi digestivi, sudore e meteorismo. Silvana era ancora stesa sul tavolo, svenuta. La presi in braccio deciso ad uscire da quel manicomio. Attraversai velocemente il corridoio, facendomi spazio tra la pelle flaccida degli ormai grassi clienti. Alcuni mi urtavano con i grossi sederi. Altri sembravano perdere l'equilibrio e venirmi addosso. La barista era ancora nascosta nello stesso angolo a mangiare. Arrivai all'uscita, aprii la porta e congelai all'istante.
Lì fuori c'era un esercito: decine di cani e gatti sul piede di guerra che aspettavano il segnale d'attacco. Mi fissarono e digrignarono i denti all'unisono, grattando le unghia sul pavimento. Sentivano la mia paura, l'annusavano e la gustavano. Quando incominciarono a muoversi tornai rapidamente dentro chiudendomi la porta alle spalle. Il mio istinto di sopravvivenza mi suggerì di bloccare l'entrata con un tavolo. Così feci. Sentivo i cani abbaiare nervosamente ed i gatti graffiare le pareti. Il locale diventava sempre più stretto mentre le persone ingrassavano e faticavo a camminare con Silvana in braccio. Decisi di rifugiarmi in bagno. Durante il tragitto inciampai un paio di volte, cadendo con Silvana a peso morto. Preferivo rincorrerla tra i negozi, con tutta la noia, con tutta la stanchezza.
Il bagno sembrava il luogo più accogliente, in quel momento il più pulito. Sistemai Silvana per terra con le spalle appoggiate al muro. Mi sedetti accanto a lei, ed incominciai a pensare all'assurda situazione in cui mi trovavo. Non capivo cosa fosse successo, nè tanto meno cosa avesse scatenato quella folle fame nelle persone. Sembravano come dannati, controllati da un demone tarlo nelle loro menti. Avrei voluto capire, sapere cosa avesse dannatamente distorto la realtà di quella povera gente. Cercai il cellulare per chiamare i carabinieri, ma l'avevo dimenticato sul tavolo. Bestemmie. Dovevo andare a prenderlo.
Mi alzai e mi diressi al lavandino per rinfrescarmi il viso e pulirmi dal vomito accumulato nel tempo. Uno specchio sorreggeva la mia immagine, il ciuffo scompigliato che scendeva a destra, la barba non curata da qualche giorno, gli occhi vispi e spaventati. Aprii il rubinetto e riempii d'acqua le mie mani poste a ciotola, gettandomela poi sul viso. Lo feci ancora, ed ancora. Ad un tratto vidi dallo specchio Silvana muoversi. La raggiunsi velocemente e le presi la testa tra le mie mani.
<<Hey... Silvana..>> le tirai uno schiaffetto. Mi rispose con parole sbiascicate.
<<Hey... Sono qui, guardami. Svegliati, dai...>>
<<Ch.. scccesso?>>
<<Cosa? Non capisco...>>
<<Cosa è successo?>> riuscì a pronunciare.
<<Niente, sei solo svenuta mentre mangiavi. Non ricordi nulla?>>
I suoi occhi fissarono il vuoto per alcuni secondi. Era terrorizzata. Incominciò ad urlare e scalciare e a tirarmi pugni. Cercai di tenerla ferma, cercai di tranquillizzarla. L'abbracciai.
<<Va tutto bene, tranquilla... Adesso con calma mi spieghi cosa è successo mentre ero in bagno>> Piangeva.
<<Non lo so... >> singhiozzava. Il suo voltò disegnò un'espressione infastidita.
<<Va bene, stai tranquilla. Adesso torno nella sala per prendere il cellulare, e poi ce ne andiamo da qui>>
BOOM.
Silvana urlò. Le misi una mano sulla bocca.
BOOM.
BOOM.
Con il fiato sospeso mi alzai lentamente, lasciando Silvana appoggiata al muro. Il petto era cassa di risonanza per le urla disperate del mio cuore in panico. Il rumore proveniva dal retro del bagno. Avanzavo piano e man mano che mi addentravo nel retro una puzza asfissiante iniziò a penetrare il mio naso. Tossii e ingurgitai un conato di vomito.
BOOM.
Ancora. BOOM. La porta di una cabina era socchiusa, e da sotto fuoriusciva del liquido marrone. Sentii un uomo defecare ed urlare colpendo le pareti con dei pugni assestati di dolore. BOOM. La macchia marrone si dipingeva di rosso. La porta si aprì, piano, e l'uomo uscì. I suoi vestiti erano color lardo e sudicio, come se si fosse rotolato nel fango. Mosse due passi verso di me. Iniziai a tremare, le gambe immobili. Lui si avvicinava lento, stanco. I suoi occhi persi nel vuoto erano fissi verso la porta. Non sembrava essersi accorto di me. All'improvviso un miagolio proveniente dalla sala pranzo interruppe il silenzio ed il deambulare dell'uomo. Guardai della saliva uscire dalla sua bocca e colare per terra. Vomitai. Lui urlò, non capivo se per follia o allegria e cominciò a correre verso di me. Mi travolse scaraventandomi sul lavandino. Sbattei la testa, e mentre perdevo i sensi lo vidi sfondare la porta del bagno.
Quando ripresi conoscenza mi ritrovai in una pozza di sangue. Mi alzai lentamente e mi trascinai faticosamente verso lo specchio. La faccia era rossa ed i capelli erano incrostrati di sangue secco. Li portai via dalla fronte, mostrando un lungo taglio che dalla tempia si prolungava verso il centro. Mi gettai un po'' d'acqua sul viso.
"Un giorno decisi di mettermi a dieta. Mangiavo solo insalata, verdure stufate, legumi, frutta, carni bianche. Non toccai dolce e roba grassa per un po'' di tempo. Ma... come... si può resistere... al richiamo di un bel hamburger con pancetta, maionese, ketchup, patatine fritte? Vale la pena vivere la vita per tre cose: amore, sesso, cibo."
BOOM.
Un tonfo cupo, questa volta proveniente dalla sala pranzo. Qualcuno o qualcosa aveva sfondato la porta d'ingresso: l'esercito aveva incominciato l'assedio. Il ringhiare di cani e gatti si mischiava ad urla di dolore. Sentii il cadere delle posate, i tavoli ribaltarsi e il tonfo di qualche grassone preso di mira dagli animali. La porta del bagno si aprì leggermente ed entrò un gattino sporco di sangue. Non avevo mai avuto così paura di un gatto prima di quel momento. Restai lontano. Silvana era ancora seduta per terra, appoggiata al muro.
Il gattino le si stava avvicinando, lo guardavo con gli occhi spalancati. Si fermò, si leccò la zampa, si grattò la testa. Tornò sui suoi passi.
<<Silvana... Svegliati. Silvana! Attenta...>>
Non era lì con me. Il gattino era ormai ai suoi piedi. Iniziò a toccare le scarpe con la zampetta. Si infilò tra le gambe, per poi arrampicarsi sul seno. Iniziò a strofinare la testa su Silvana... E si addormentò. Sospirai. Si addormentò in quell'inferno di urla e ringhia. Giorno fortunato per gli animali.
Ero molto debole, avevo perso molto sangue e necessitavo di medicazioni. Ero steso per terra con una montagna di carta igienica appoggiata sulla testa per tamponare la ferita. Da quella posizione fissavo il soffitto. Sulla parete che s'affacciava sulla sala pranzo iniziavano a formarsi delle crepe. Distolsi lo sguardo e lo portai su Silvana ed il gattino, per rassicurarmi un po''...
Il rumore delle pareti che si sgretolavano mi picchiava le orecchie. Le fratture nel muro si ampliavano come se ci fosse un terremoto. L'intonaco cadeva a pezzi, così come la mia speranza di rimanere vivo.
Il muro si disintegrò e vidi pezzi di cemento piombarmi addosso, colpirmi la testa, le braccia, lo stomaco, le gambe. Mi fratturarono le ossa, mi spappolarono la carne. Ora potevo guardare quello scenario da incubo, di giganti di lardo che si mangiavano tra di loro. Dei cani che spolpavano braccia e gambe. I gatti rimanevano in disparte, aspettando di mangiare gli avanzi.
L'ultimo respiro arriva per tutti. Persi la vista, il tatto, l'olfatto, il gusto. Per ultimo andò via l'udito, mentre il pianoforte riprese a suonare una delle più belle, dolci, rilassanti melodie che avessi mai sentito.
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