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L'assassino immaginario

Se è vero che la vita
imita l'arte,
sarà bene avere sempre
un buon avvocato
a portata di mano.





Succede di essere assaliti da dubbi esistenziali. Da dove veniamo? Qual è il fine ultimo dell'uomo? Quanto c'è di vero nei sogni? Così come può capitare di sentirsi un po' strani. Chiedersi se siamo davvero noi o qualcun altro. Esseri reali o immagini della mente. Padroni o vittime delle nostre azioni. In genere non ci facciamo caso più di tanto. Fa parte della vita. Le difficoltà, le preoccupazioni, lo stress... già! L'importante è che tutto si risolva nel giro di pochi minuti. Qualche ora, al massimo. Che, così come viene, ogni perturbazione psichica se ne vada. Dissolva senza lasciare tracce visibili. Prove che possono portare a dubitare di noi. Della nostra integrità. Fino a incriminarci...
Non fateci caso, ho appena iniziato a scrivere una storia che si presenta densa di avvenimenti drammatici, dove mi sa tanto che ci scapperà il morto. Ogni volta, prima di immergermi nella scrittura, anche la più amena, attraverso una lunga e tortuosa fase di preparazione. Un training mentale che mi porta a calarmi anima e corpo nell'atmosfera di una trama che ancora non esiste. O è appena abbozzata. E allora comincio con l'entrare nei personaggi. Fare che i personaggi entrino in me. Una sorta di metodo staniwslasky fatto in casa, insomma. Da cui esco solo per andare al cesso, scorrere i titoli del giornale, e mettere qualcosa sotto i denti. Un percorso faticoso, talvolta rischioso. Il tributo che probabilmente ogni artista deve pagare se vuole lasciare la propria impronta. Nei casi estremi, un'esperienza che può trasformarsi in via crucis. Talvolta in vera e propria ordalia. L'importante è uscirne vivi. Come dice sarcastico Allen: ... tornare a casa per l'ora di cena.

Sono tre giorni che mi ha preso il blocco. Il foglio è là. Fa capolino dalla mia Underwood rosso lampone. Candido, liscio, e illibato come appena estratto dalla risma. Mentre si chiede quando le lettere cominceranno a inondarlo, si prende burla di me. Ogni volta che percepisce la mia presenza nella stanza non perde l'occasione di lanciarmi sferzanti provocazioni: ehi, scrittoreee... dico a te, battiamo la fiacca, mi sembra! Come dargli torto, dopo essere partito a razzo, con tutto l'impeto e la baldanza, che ho in corpo quando inizio un nuovo romanzo, adesso sto qui piantato come la mia vecchia MG. Nella terra dell'immaginazione assente. Dove niente e nessuno sembra soccorrermi.
In compenso sono tre notti che sogno. Una sorta di sequel onirico. Nell'ultimo episodio, evaporato poche ore fa, mi trovo in uno sconfinato campo di grano. Migliaia di spighe piegano ritmicamente le chiome, avanti e indietro, mosse da un vento sferzante e volubile. Poi, all'improvviso il cielo si oscura, al posto delle spighe ci sono adesso dei piccoli paralumi di pergamena accesi. Guardo tutto in soggettiva. A volo d'uccello. Sembrano tante lucciole. Improvvisamente vengo sospinto verso una collina. Plano sull'erba. Davanti a me uno specchio che si erge da terra come un monolito. Mi avvicino. Non riflette nulla. Poi, attraverso una fitta nebbia che agita la superficie, si fa rapidamente strada una figura che sembra viaggiare a mezz'aria. Ha il corpo nascosto da un pesante tabarro, il viso appannato, e mi porge un oggetto avvolto in una sciarpa di seta rossa. Allungo la mano ma ho la netta sensazione di afferrare il nulla. Lo sguardo corre alla mia mano, la apro, e scopro sul palmo una scritta: spesso la destra non sa cosa fa la sinistra! Adesso sono in fondo a un pozzo. L'acqua a mezza gamba. Si respira a fatica. Guardo verso l'alto. Nel cielo lunare le nubi corrono veloci. Mentre comincio a risalire attaccandomi alle pareti, una forza mi porta a percorrerle con movimento a spirale. Via via procedo, mi accorgo che le pietre sono completamente ricoperte da segni in lento, costante movimento, alternati abrevi scritte in un alfabeto sconosciuto. Seppure impercettibilmente, si muovono anch'esse mentre cambiano di posizione. Apparentemente senza uno schema preciso. Qualcosa mi dice che se voglio raggiungere l'uscita devo prima decifrare ogni cosa. E soprattutto spicciarmi, vista la precarietà del tutto... Mi sveglio all'improvviso, grondante sudore e più stanco di quando sono andato a dormire.

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1 commenti:

  • Chira il 26/03/2014 13:30
    Sognare fino a convincersi invece di aver vissuto... un intrecciarsi fra quello che succede quando uno scrittore comincia un'opera e le mani del sogno che lo rapiscono portandolo in altra realtà che diventa essa stessa racconto vivo con finale a sorpresa.
    Grande Gabriele!
    Chiara

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