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morte di una rosa
La ragazza guardava nel vuoto in attesa del suo momento.
Tutto quel parlare con le amiche sul sesso, sugli uomini, sulla dolcezza di un bacio con la lingua, sui misteriosi piaceri di un rapporto carnale, completo ed appagante, ora le sembravano solo inutili ed insignificanti chiacchiericci di donnette fantasiose ed immature.
Quante volte ci aveva pensato, da sola, nella semioscurità della sua silenziosa cameretta, al riparo da occhi indiscreti.
Quanti sogni e fantasticherie, alle quali si era lasciata andare completamente, abbandonandosi al leggero tocco delle proprie dita che giocavano da prima col morbido profilo dei suoi piccoli seni, dai quali sbocciavano due turgidi capezzoli rosati, per poi scendere indiscrete verso il centro del suo impellente desiderio.
Allora si scostava con due dita della mano sinistra le mutandine, mentre con l'indice ed il medio della mano destra iniziava a massaggiare lentamente la parte alta della sua natura cercando di aprire con delicatezza le grandi labbra esterne fino a sentire sotto le dita l'immediata risposta del clitoride.
La mente era lontana, seguiva miraggi evanescenti nei quali apparivano volti di uomini a lei cari ed amati, sentiva le loro dita impossessarsi del suo corpo di bambina, sentiva il loro membro possente fremere nelle sue mani e nel suo corpo, sentiva la loro lingua percorrere ogni centimetro della sua pelle soffermandosi proprio lì dove ora si stava freneticamente toccando in attesa di un attimo di sublime piacere che le rendesse tollerabile la sua solitudine.
Veniva quasi di seguito una, due, tre volte per poi ritrovarsi sudata ed esausta nell'assoluto silenzio della sua clausura pomeridiana, mentre un'ondata acuta di depressione saliva da remoti recessi della sua disperazione a ricordarle la sua vergognosa fragilità.
Pensava che con l'avvento delle mestruazioni, circa sei o sette anni prima, fosse arrivato per lei il momento di esser donna a tutti gli effetti, si illudeva che il mondo notasse questa sua maturazione fisica e mentale e che ben presto molti uomini avrebbero tentato di conquistarla facendola sentire amata e desiderata, al pari delle sue amiche, ed invece nulla era successo, il tempo era passato inutilmente ed ora che si trovava sulla soglia dei suoi 19 anni, si sentiva maledettamente sola, vecchia, brutta ed abbandonata.
Evitava accuratamente di guardarsi nuda allo specchio, le sue forme, una volta così regolari e pulite piano piano con il tempo si erano ammorbidite a tal punto da trasformare il suo corpo in un tronco goffo e sgraziato.
Le sue caviglie e le sue gambe si erano gonfiate a dismisura fino a prendere le sembianze di certi zamponi natalizi oscenamente esposti nei supermercati, i suoi fianchi e le sue natiche si erano completamente sformati a tal punto da non permetterle più di usare i pantaloni rendendo poi il suo incedere una sorta di traballante spostamento di masse che le davano un buffo e grottesco modo di camminare.
Con il tempo anche il viso, una volta scarno ed ossuto, si era inesorabilmente dilatato pur non perdendo l'elegante freschezza di un tempo, anzi, ora la faceva rassomigliare a certe bambole di ceramica che sua madre amava collezionare da tempi remoti e che abbondavano in ogni dove della casa.
Si ritrova perfettamente in quei volti così graziosi e generosi dai quali spiccavano due gote rosate ed innocenti, si riconosceva in quegli sguardi fissi sull'ignoto che attraversavano il tempo e lo spazio senza mai manifestare il loro vero pensiero.
I medici le avevano detto che si trattava di una disfunzione tiroidea e le avevano prescritto una quantità enorme di cure e di farmaci, ma non era servito a nulla.
Non esisteva dieta o cura farmacologia che potesse ridarle la sua voglia di vita, la sua capacità di lottare contro tutto e tutti.
Se gli altri non l'accettavano per com'era realmente, anzi se sembrava non perdessero occasione per ironizzare sul suo dramma personale, come poteva lei da sola lottare contro l'inevitabile ghettizzazione che la relegava a vivere ai margini di una vita sociale che si nutre di cliché predisposti, nella quale la diversità sta nella non conformità?
Eppure non aveva mai smesso di credere nella sua giovinezza, nella sua capacità di poter amare ed essere amata per ciò che era realmente.
Già cos'era realmente?
Le sue poche amiche che ancora frequentava, la consideravano una persona bella e pulita, un animo nobile e sensibile, doti queste che avrebbero dovuto spianarle la strada verso un futuro denso di prospettive perlomeno accettabili.
Le avevano presentato parecchi ragazzi, per lo più giovanotti di paesi vicini, provenienti da culture rurali che per i loro modi ruvidi e rozzi non avevano ancora coronato il sogno di un rapporto sentimentale duraturo.
Uomini sulla soglia dei trent'anni che sgobbavano dalla mattina alla sera sui campi coltivati o dentro stalle maleodoranti e che non avevano certo il tempo per dedicarsi alla ricerca di una compagna che li affiancasse nella loro vita.
Ci era uscita con qualcuno di questi, illudendosi di poter creare assieme un qualcosa che sfumasse nell'amore, ma presto si era ritrovata una mano callosa sotto la gonna che cercava di violare la sua intimità in maniera violenta e sconnessa, senza una parola l'amore, senza un sorriso che le desse quella serenità che l'avrebbero resa accondiscendente.
Una sera un ragazzo l'aveva portata in una piccola trattoria solitaria persa tra le selvagge colline friulane tra il canto dei grilli e gli interminabili filari di vite, avevano mangiato di gusto ad ritmo di una vecchia fisarmonica. Il vino era sceso abbondante a scaldare il cuore e ad arrossare le guance, il ragazzo l'aveva fatta sentire a suo agio, le aveva parlato con toni pacati e penetranti ed alla fine le aveva proposto una passeggiata romantica lungo un bianco vialetto che portava alla sommità della collina dalla quale si godeva di una vista spettacolare sulla vicina pianura friulana.
Lei aveva accettato con entusiasmo e spontaneità, come spontaneo le era parso il fatto che lui le avesse preso la mano con delicatezza ed eleganza ma soprattutto con una naturalezza che l'aveva quasi sconvolta.
Per la prima volta nella sua vita si era sentita bella ed attraente, le sembrava quasi di conoscere quel ragazzo da sempre ed era certa che presto tutti i suoi mali sarebbero scomparsi, portati via dall'impetuoso vento dell'amore.
Ora, ripensando ai suoi dolori interiori si sentiva quasi ridicola, le era bastato un attimo di attenzione da parte di qualcuno per rinascere a nuova vita, per tornare a credere in se stessa.
Ora tutto sarebbe cambiato, avrebbe iniziato una nuova dieta alimentare, avrebbe accettato di farsi sottoporre a dei trattamenti terapeutici mirati grazie ai quali in breve tempo avrebbe riacquistato la sua tonicità e la sua giovinezza ancora acerba.
Si sarebbe fatta un guardaroba tutto nuovo e colorato ed avrebbe ripreso il posto che le toccava in seno alla società.
Questo pensava Rosa inebriata dal vino e dalle parole gentili di quel uomo misterioso ed elegante mentre mano nella mano percorreva l'irto sentiero del suo destino tra il leggero sussurrare del vento e il muschiato profumo della natura.
Giunti sulla sommità della collina, ai suoi occhi apparve un mirabolante mondo multicolore, un magico drappeggio di luci lontane, di suoni ovattati, di vasti silenzi improvvisi.
Quasi non si accorse delle labbra che la baciarono appassionatamente, della lingua calda e morbida che varcò la soglia della sua bocca per la prima volta.
Era dunque questo l'amore?
Corrispose al bacio avidamente mentre il mondo le ruotava attorno sempre più velocemente in un vorticoso riproporsi di emozioni e sensazioni improvvise.
Il cuore era un cavallo imbizzarrito che le scalpitava nel petto e le dava dei profondi calci nel basso ventre.
Sentì la sua mano insinuarsi sotto la camicetta, sentì le sue labbra schiudersi sui suoi seni ormai scoperti e perse il senso del tempo e della realtà.
Ad un certo punto lui le prese una mano e la appoggiò sul suo sesso turgido e voluttuoso, poi, con infinita dolcezza le guidò la bocca fino ad esso.
Lei aprì le sue labbra e lo ricevette come un dono prezioso ed inaspettato, si stupì del suo sapore così dolce e selvatico, si stupì della sua solida consistenza e nello stesso tempo della sua morbida sostanza, si stupì nel sentirselo scivolare tra le labbra così caldo e vivo quasi fosse una piccola entità selvaggia che possedeva un sua anima indipendente e bizzarra.
Il cielo era un magico tappeto trapuntato di stelle sul quale adagiarsi senza paura per scivolare lontano oltre le barriere della realtà, via verso un mondo nuovo, verso un destino ancora vergine in cui a nessuno era concesso interferire con i suoi ottusi pregiudizi o con le sue amene crudeltà.
La fece distendere al suolo, sussurrandole parole d'amore che le si conficcarono nel cuore e nelle viscere come spilli fitti, continuò a baciarla sulle labbra e sugli occhi in maniera talmente delicata e soave da procurarle un orgasmo dolcissimo e prolungato.
La sua mano scivolò lentamente sotto la gonna e poi con piccoli scarti calibrati raggiunge il suo sesso umido e fremente, ormai padrone incontrastato del suo corpo, dei suoi pensieri, della sua anima.
Le tolse le mutandine lentamente accompagnandole lungo il percorso finche se ne fu abilmente liberato, poi le aprì le gambe con una risolutezza che non prevedeva alcuna opposizione e compiendo un rapido movimento laterale fu sopra di lei, incombente come un antico Dio dell'amore e del desiderio, pronto a svelarle quel mistero che ancora aleggiava grave come una condanna nei suoi disperati pomeriggi di solitudine.
Ed alla fine arrivò!
Da prima provò un acuto senso di dolore, di lacerazione, uno strappo netto e decisivo al quale non avrebbe più potuto porre rimedio, una sorta di prezzo da pagare per tutte le sue colpe mai scontate, per tutti i suoi pensieri iniqui e irrazionali mai appagati che fino ad ora le avevano condizionato l'esistenza.
Stentò a trattenere un rantolo di paura e di sofferenza che spontaneo le arrivò fino alla bocca, ma poi, lentamente, il dolore si allargò in cerchi concentrici sempre più ampi e lontani e lentamente, da remoti quartieri del suo corpo, giunse il piacere, quello vero, quello tanto agognato nei suoi desideri di adolescente.
Sentiva il suo calore entrare in lei, sentiva il suo membro pulsarle dentro la carne così straordinariamente sensibile e viva, ne percepiva ogni minima variazione di consistenza.
L'orgasmo le arrivò ad ondate improvvise sempre più forti e ravvicinate, un crescendo di dolore misto a piacere che le strappò un urlo liberatorio che presto il vento disperse nella calda notte solitaria.
Di quella esperienza straordinaria, di quella irrazionale follia, ora Rosa serbava un ricordo nebuloso e contorto.
Aveva donato il suo corpo a quel uomo con naturalezza ed abbandono convinta di aver infine trovato l'amore vero ed era rimasta per giorni interi in attesa che lui ritornasse a prenderla, che la riconducesse mano nella mano verso quello che lei credeva essere il loro destino comune.
Ma invece lui non tornò più e ben presto di lui dimenticò anche le fattezze, il tono della voce, il bel volto sorridente e sornione, lo sguardo profondo ed ingenuo che pur l'aveva saputa trarre in inganno con tanta abilità.
Non aveva neanche provato a cercarlo, tanto non sarebbe servito a nulla.
Ormai la disperazione aveva lasciato il posto alla rassegnazione, il dolore si era trasformato in una sorta di apatia che la trascinava sempre di più in un labirinto nebuloso di considerazioni prive ormai di ogni valenza razionale.
Stava scivolando inesorabilmente nell'infimo pantano della depressione, sommersa da rimorsi e rimpianti che gravavano su di lei pesanti come incubi notturni, opprimenti come cambiali da onorare.
Questo pensava Rosa guadando il tubetto di sonniferi ormai vuoto appoggiato sul suo comodino e ripensando alla sottile striscia del test di gravidanza gettato con rabbia nel bagno.
Si era vestita bene, scegliendo con cura l'abito migliore, quello che solo sapeva nasconderle le curve generose.
Il giorno prima era stata dal parrucchiere dove si era fatta tagliare i lunghi capelli seguendo le tendenze estetiche del momento, poi, una volta uscita, si era recata da un'estetista presso la quale si era sottoposta ad una lunga seduta per ricostruire le unghie delle mani.
Una volta a casa aveva con cura scritto una lettera indirizzata ai suoi genitori nella quale chiedeva perdono per quello che stava per compiere e ne spiegava le motivazioni.
Eccola Rosa stesa sul suo letto di morte, attende un sonno dal quale non si sveglierà più, non teme la fine perché già sa di essere morta cento, mille volte, uccisa dai pregiudizi della gente, dalle battute irriverenti degli amici, dagli sguardi divertiti di chi non sa riconoscere le forme di dolore e solitudine.
Ora Rosa è diventata una bambola di ceramica, lo sguardo è una linea sottile che si perde sull'infinito.
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