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L'ex principe azzurro (essere superiore 3)
"... Mi scelse con un bel sorriso stampato sulla sua faccia da Gesù Cristo e minacciandomi scherzosamente con un dito alzato.
Ci sedemmo ad un banco l'uno di fronte all'altro. E siccome io in quegli anni ero un gran patito del programma Tv "Le invasioni barbariche" di Daria Bignardi, ecco, l a situazione me lo fece venire in mente. Come se io e Danny stessimo per affrontare un'"Intervista barbarica".
Iniziò lui. Si mise subito a parlarmi del suo rapporto con le droghe, ovviamente. Lui era calmo, "tiepido ed accogliente".
Forse esagerava con la perizia con cui mi raccontava di quel genere cose.
I suoi occhi arrossati, forse per via di qualche canna di troppo, luccicavano.
Mi citò Huxley e Morrison. Mi parlava di droga come mezzo per raggiungere realtà forse più reali della nostra.
Quando toccò a me, io non sapevo cosa dire. La mia vita allora era a dir poco noiosissima, e io questo lo sapevo meglio di chiunque altro. Forse per mettermi a mio agio lui mi suggerì di iniziare a parlargli della mia famiglia.
Io mi misi a fare un po' il "brillante", come faccio di solito quando la mia timidezza acuta mi fa sentire in imbarazzo, e allora mi metto a dissimulare, in qualche modo. Lui però non mi sembrò per niente impressionato. Però mi ascoltava con attenzione. E sentirmi ascoltato era proprio una bella sensazione.
Aveva proprio una bella faccia seria quando mi ascoltava. Poi mi disse, forse ancora nel tentativo di farmi sentire più a mio agio, di non essere uno "stronzo", come spesso amava far credere agli altri, e che con lui potevo parlare tranquillamente senza problemi. Io però mi sentivo tutt'altro che tranquillo. Non facevo altro che pensare che lui mi potesse trovare brutto, o peggio che lui avesse capito che io avevo davvero qualcosa che non andava in me, che mi rendesse diverso da tutti gli altri. Che avesse intuito tutta la prorompente immensità del mio disamore verso me stesso.
E allora lui mi sorprese. Mi disse bene e con calma: " Tu sei uno che si sente superiore, anche se è brutto da dire. Pensi che tutti loro ( e a quel punto indicò il resto della classe) siano delle merde che parlano solo di soldi, vestiti e motorini, mentre tu vorresti fare discorsi su cose più astratte come la felicità..."
Ma la felicità in realtà non mi era mai interessata granché. L'ho sempre trattata con molta diffidenza.
E quindi per sfidarlo gli chiesi: " tu cosa ne pensi della felicità?"
Pronunciare quella domanda mi procurò un brivido. Mi ricordava una scena di "Amrita" un libro di Banana Yoshimoto, e che lessi in quel periodo. La scena in cui Sakumi fu fermata per strada da quello che più avanti nel libro diventerà il suo uomo e che fermandola le fece proprio quella domanda che io "rigirai" al bel Danny. Lui mi rispose che per lui la felicità era fare discorsi "impegnati" con la sua donna e i suoi amici, un po' fattoni e fumati come lui.
Lì iniziai a pensare di essere una persona che piace molto ai fattoni ( come mia sorella, e Aldo Busi che lo confessava nel suo "E io, che ho le rose fiorite anche d'inverno?"). Forse perché io ho questa capacità innata, capacità che loro hanno solo quando fanno uso di sostanze estranee al loro corpo, di creare nuovi mondi.
Con lo sguardo intenso aggiunse: "Non è perché me l'hanno chiesto gli altri ma, insomma, è evidente che tu sia effemminato..."
E non so perché, ma mentre lui mi diceva questa cosa io mi sentii finalmente, dopo tanto tempo, fiero di essere quello che ero.
Poi me lo chiese esplicitamente: "Sei gay?"
"E se io ti dicessi che non ho mai avuto esperienze di sesso omosex ma che, però, mi piacerebbe averne?"
Ero fiero di quella risposta. Lui non mi diede soddisfazione.
Mi disse solo che lui non aveva niente contro i gay che anzi ne aveva molti di amici omosessuali. Quello che non gli piaceva è che essi ci provassero con lui!
Volevo i nomi di quei suoi amici... ma il tempo era ormai scaduto. Volevo parlare, parlargli ancora...
La seconda parte del "gioco" consisteva nel raccontare agli altri, eventualmente, dettagli delle nostre conversazioni. Per saggiare il grado della nostra discrezionalità, immagino. Lui non disse niente e nemmeno io."
Era maledettamente vero: io mi sentivo un essere superiore...
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- divertente come al solito... e "vero"!

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