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Sogno d'Amore
"Massì... che poi alla fine certe cose succedono sempre a quelli che si fanno più paranoie... quelli tutti perfettini che hanno paura di essere derubati dei pochi beni che hanno. Quelli che abitano negli appartamenti grandi e spaziosi, con pochi mobili, quelli con le pareti appena imbiancate, che se le sporchi ti incazzi. Quelli con le 4 finestre in fila su un lato, con i vetri sporchi, i contorni neri e i balconi rosso carminio. Quelle dove l'unico tavolo è un'enorme scrivania disordinata, dove si trovano migliaia di fogli scritti e cancellati... un computer nuovo, acceso ad illuminare la stanza, ma senza un filo di polvere, penne bic nere e blu divise per tipo in A B D speriamo abbiano anche la C. Quelle persone che tengono il maialino in frigorifero perché non si sa mai che possano trovarlo e rubargli i pochi risparmi che ha messo da parte per prendersi la casa..."
... e mentre raccontavo tutto questo alla donna più bella del mondo tutto intorno a noi iniziò a materializzarsi; la stanza vuota dove ci trovavamo divenne buia, spuntarono le quattro finestre così come gliele avevo descritte, spuntò la scrivania, le carte, le penne, il frigorifero.
Tutto era in toni Rossi e Neri... illuminato dalle luci fievoli del computer e del frigorifero aperto per metà, dal quale si intravedeva un maialino di ceramica anch'esso tutto Nero e con le zampette dai riflessi rossi. Intravidi inoltre un corridoio con le pareti giallo spento che penso portasse al bagno... non mi interessai, lo lasciai così. In mano mia avevo un pennello da imbianchino, uno di quelli col rullo... sporco di vernice rossa e dall'odore intenso. Sotto ai nostri piedi, adagiato su un paio di giornali aperti, un secchio era appena stato aperto e si riempiva di questa vernice. Diedi due spennellate al bordo della finestra alla mia destra.
Lei, la donna, Erika si chiamava, era davanti a me... la baciai sulla guancia, lo stesso fece lei... continuai ad aggiungere dettagli che non ricordo. La baciai di nuovo... questa volta sul collo. Si scansò... comparve un mobile di quelli dell'IKEA, in legno e con la vernice cerata, sotto due grandi cassoni, in mezzo uno spazio enorme, dove avremmo potuto mettere il televisore e ai lati delle mensole. Tre per lato. Stava alle mie spalle, alla mia sinistra, vicino alla porta d'entrata. Tentai di nuovo di baciarla. Mi fermò, mi allontanò di pochi centimetri poggiando le sue mani sui miei addominali. Mi baciò. Sulla guancia. Si spostò più in basso. Sul collo. Non ci vidi più. Si strinse a me mentre mi baciava e nello stringermi il pennello mi scivolò dalle mani, dipingendo una lunga striscia sulla parete dov'eravamo incastrati. Per chi non lo avesse capito ce ne stavamo nell'angolo a destra dell'appartamento. Facemmo l'amore tutta la notte. Ero innamorato di questa sconosciuta, una bellissima ragazza, non c'è che dire, una incontrata per caso alla stazione e della quale non sapevo praticamente niente... aveva un anno in meno di me. Era al primo anno di università. Pure io.
Il mattino seguente mi svegliai con un mal di testa tremendo, nel bagno che non so come mai ero riuscito a creare, o forse era già creato, era già tutto là, dalle finestre al maiale, dal mobile IKEA alla scrivania e io mi ero immaginato tutto, forse mi ero immaginato pure lei. Mi alzai dal cesso dove ero seduto. Un occhio era aperto, il destro. Il sinistro invece era chiuso da una cataratta o forse da qualcos'altro e non si voleva aprire. Con l'unico occhio sano e allungando le mani, riuscii a trovare il lavandino. Mi lavai il viso, ero in condizioni pietose, avevo il volto stanchissimo e due borse come quelle della crai mi pendevano sotto gli occhi che ora erano completamente aperti. Andai in cucina, le imposte erano semi aperte e filtravano luce. Guardai in frigo ovviamente c'era solo il salvadanaio. Tentai di pensare a qualcosa da mangiare ma non si materializzò niente. Ero vestito come la notte prima, una maglia verde a maniche corte ed un paio di jeans. Ero scalzo, solo un paio di calzini grigi. Mi avvicinai all'angolo dove tutto era iniziato, guardai sul muro, c'era ancora lo striscio di rosso, a terra il rullo insieme al bidone ed ai giornali. Andai verso la porta, decisi di scriverle un biglietto ed andarmene, scomparire, non volevo che soffrisse per la mia morte. Sì, perché sono malato, potrei andarmene da un momento all'altro. Se mi vedi sembro un tipo apposto, sempre col sorriso, ma dentro sono marcio. Il mio cuore è stanco di pompare sangue. Ma lei non lo sa (penso).
Prendo una penna, una delle tante. C'è scritto B. chissà se ha anche le C, continuo a chiedermelo non so per quale motivo. Ho preso in mano un foglio e ho pensato:
"Ciao, sono il tipo dell'altra notte... me ne sto andando, ti lascio tutto questo, sono malato e non voglio tu soffra per la mia mancanza, mi sono innamorato di te e di questa notte di passione, non so cosa ci sia preso ad entrambi, saranno stati i gas della vernice a sballarci e non farci capire più niente... non lo so, qualcosa di te mi ha colpito. Mi piaci. Ti amo."
Tenni in mano il post-it e la penna. Il mobile IKEA si era riempito di libri di scuola e scartoffie varie, dietro ad essi scorsi un mazzo di chiavi: dovevano essere quelle di casa. Provai a infilarle, erano loro. Stavo per uscire quando vicino al nostro amato mobile notai un comodino rettangolare, con una porticina più grande sotto e sopra un cassetto. Anche questo era pieno di tutto. Un posacenere sporco, altri mazzi di chiavi con scritte cose che non capivo. I contenitori delle penne B. Fogli, un elenco delle pagine gialle e sopra di tutto un vecchio telefono a cornetta; anch'esso tutto nero. Lo alzai. Lo posai. Estrassi il cellulare. Agivo senza pensare. Ero fottuto. Scorsi i numeri sulla rubrica e la chiamai...
<Hey ciao... sono io.> dissi con tono spento. <me ne sto andando...> conclusi.
<Ciao tesoro! Aspettami, ero uscita a fare compere, non volevo svegliarti!> mi disse lei. <Ho grandi novità! Il dottore dice che puoi ancora salvarti, che non morirai! Aspettami, arrivo tra 5 minuti. Bacioni!> terminò lei.
Come faceva a saperlo? Sapere della mia malattia? Chissene frega! Un sorriso mi si dipinse sul volto, ero gasatissimo... non sapevo cosa fare, dovevo correre da qualche parte! Urlare di gioia!
L'adrenalina mi scorreva da tutte le parti, se l'avessi avuta sotto mano penso che l'avrei scopata con una violenza assurda, non so nemmeno come ho fatto questa notte... forse è vero, forse non morirò.
Il campanello suonò. Era lei. Uscii, guardai un'ultima volta la stanza.
Tutto prese a scomparire. Anche le penne nere e blu.
Corsi giù per la rampa di scale, saltavo i gradini a due a due. Arrivai al portone in men che non si dica, lei era la. Mi aspettava. I suoi occhi azzurri mi fissavano. I suoi capelli lunghi e lisci, color castano avevano dei riflessi biondi baciati dalla luce del sole. La carnagione chiara. Le corsi incontro, la baciai. Mi baciò. Con passione le nostre lingue s'intrecciarono e la saliva ricca di ormoni ci inondò le bocche. Iniziai a sudare. Mi calmai. La strinsi a me come fosse l'ultima volta. Ma non lo era. La guardai. Le presi le mani e le dissi. <Grazie. Ti amo>.
Mi guardò, sorrise. Mi disse: <Adesso stai meglio vero?>
<Si.> le risposi sorridendo. <... e tu? Tu stai bene?>
<Non lo so... non sono sicura> mi rispose. <Però se vuoi possiamo stare ben insieme.>
La guardai. I suoi occhi mi avevano stregato. Ci avviammo mano nella mano per il vialetto. Di sopra, insieme alla nostra prima notte d'amore, rimase solo una stanza vuota, con i balconi rovinati dalle intemperie, le pareti grigie e morte, per terra dei giornali sporchi e luridi. Tutto era svanito... era l'emozione della notte che ci aveva portato a vederla come una reggia e a dipingerci sogni sulla nostra vita insieme. Vivevamo lì. In quel palazzo diroccato, al terzo piano, in quella stanza all'interno 1 C.
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