Non c'è nessuno che conosca, più di quanto sappia un impasticcato, la profondità delle rughe di beatitudine che la vita imprime sulla sofferenza dell'essere stata conosciuta nelle fessure che lasciano filtrare l'ombra oscura, e lui, in questo, non rappresentava certo un'eccezione. Come tutti gli infelici di questo mondo era afflitto dalla necessità di tirarsi su il morale. Non che un impasticcato avesse proprio una morale che gli assistesse il morale, ma l'insieme di cazzate che gli servivano per sopravvivere, senza con questo dover rischiare farsi linciare dai frequentatori di chiese, a lui pareva potesse rappresentare un succedaneo che avrebbe assolto, onorevolmente, il gravoso compito al quale tutti i filosofi tentano, invano, di descriverne l'importanza. Quando nemmeno strippare in caleidoscopici arabeschi ti soddisfa più, ecco che capisci essere arrivato il momento per trovare conforto nell'infelicità delle persone lontane da te, e il computer a questo gli serviva. Avrebbe potuto scambiare quell'ingombro elettronico assurdo, pieno di rumorini sintetici, con un sacchetto di roba psicoattiva decente, ma la felicità spremuta col baratto non sarebbe stata della stessa qualità di quella che il computer gli consentiva di gustare, attraverso il conoscere disgrazie altrui, che avrebbero fatto impallidire dallo stupore un secondino del braccio della morte, e nel bestiario che la rete esponeva, sui suoi scaffali, si potevano incontrare casi altamente incoraggianti, in grado di ridicolizzare le proprie tragedie personali. Il primo racconto che scrisse lo pubblicò in rete con un titolo che lasciava insorgere pesanti dubbi sul passato di chi l'aveva scritto: "Nel giro di dieci anni l'affezione alla droga evaderà dal mercato clandestino per conquistare quello Informatico"...