L'indolenza che mi caratterizzava quando decidevo di stappare una bottiglia d'acqua era proverbiale. Adocchiando la stretta chiusa del tappo, immaginavo già le impronte filiformi che avrei ritrovato sulla pelle arrossata della mano qualora avessi indurito la presa a mio vantaggio, tenendo la bottiglietta ferma con altrettanta forza nell'altra mano.
Eppure, quel riflesso che attraversava la plastica verde ed emergeva dalla poca quantità d'acqua ancora rimasta nelle sei semisfere del fondo, mi rimandava al grigiore del cielo di luglio, quando era ancora primo pomeriggio e l'ufficio era tetro, perché Rita si era premurata di creare quell'ambiente tanto caro alle piante, abbassando con cura le tapparelle prima di andare via. Quella bottiglia educata poggiava da diverse ore semivuota sulla mia scrivania, e le poche gocce che la attraversavano non erano che ricordi di brevi rivoli in miniatura di un lago che avevo da poco svuotato nel mio stomaco.
Osservavo il verde intenso della plastica e mi chiedevo se fosse il caso di carezzarla dolcemente, di provare quel calore finto che viene spesso trattenuto dal PET, di lasciarmi andare al sapore acido e salino dell'acqua stagna. Le fitte bombature della fustella mi facevano pensare al giorno che l'avevo comprata, quando l'avevo vista assieme ad altre della stessa marca sullo scaffale fresco del supermercato. L'avevo afferrata e, tenendola stretta al petto, mi concedevo la grazia di sentire quelle linee e quella frescura artificiale fin sotto la maglietta. Chissà con quale arzigogolata maestria l'edotto progenitore di tale bottiglietta si sarà impegnato per creare un materiale così bottigliesco, pensavo. Chissà quante ne avrà dovute studiare per partorire una forma così prensile e accattivante, memore della cupola del battistero di San Nicandro a Venafro, con quella soave e vigorosa bombatura che tende verso il cielo.
E, continuando ad osservare, presto la sete divenne un lento rimestare di saliva nella mia bocca, e la voglia di abboccarsi a quelle rigide striature di plastica tagliate a metà si affievolì. Perciò decisi di non bere, e impastando i rimasugli di mela che avevo tra le gengive, scoprii che avevano un buon sapore e che la dura consistenza della bottiglietta d'acqua minerale vuota non mi avrebbe trattenuto oltremodo dall'alzarmi dalla sedia e gettarla via con indifferenza nel bidone della plastica.