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(Non) è tutto come sembra
Non è sempre stato tutto come lo conosciamo oggi, non è sempre stato tutto come lo vediamo oggi, non è sempre stato tutto, soprattutto, come lo percepiamo oggi. Secoli e secoli di filosofia, quella naturalista perlopiù, hanno investito i loro anni migliori per sviluppare il pensiero secondo il quale dalla percezione dei sensi deriva la conoscenza, come se quattro scapestrati ventenni tentassero di convincere gli anziani che il loro Interrail è foriero di molte più verità del viaggio del mondo in 80 giorni.
Omaggiato a dovere Jules Verne, e ringraziatolo per aver fornito la similitudine incipit per quello che è un altro petalo della mia antologia, poiché chi conosce il Greco lo sa, l ' antologia non è altro che una raccolta di fiori, proseguo la mia passeggiata per le contrade del sapere, e scomodo Platone, in modo che il suo Mito della Caverna funga da antitesi a coloro che si fidano troppo delle percezioni, e busso alla porta di Blake, ricevendo come accoglienza la sua massima sulle porte della percezione, perfetta sintesi della triade Hegeliana che vede come tesi e antitesi i due rami della filosofia citata.
Che i nostri sensi ci permettano di conoscere la realtà, o che siano del tutto inaffidabili, o che siano la cosa più vera che possediamo ma dobbiamo ancora appropriarcene, non è nostra intenzione sincerarcene. Ciò che a noi importa, è che vi fu un tempo in cui Ravenna e Venezia erano ostili l 'un l'altra, come il Cobra e la Mangusta, e che lungo la striscia che divideva queste capitali dell'intrattenimento acquatico vi erano svariate quanto desolate terre, necessariamente oggetto di contesa, come la siepe tra due villette a schiera comunicanti, labile confine dal quale ciascun residente può dedicarsi al suo business preferito: la vita altrui.
Potrei ora darvi dei riferimenti temporali e cronologici, come potrei smettere di scrivere e lasciare gli uni a bocca asciutta, gli altri rasserenati e liberi di tornare alle loro vite frenetiche, ma non farò nulla di tutto ciò, il libero arbitrio avrà anche portato guerre e distruzioni, ma io guardo al presente con atteggiamento utilitarista e me ne avvalgo per gettare le basi del castello errante della mia narrazione.
Venezia e Ravenna, Ravenna e Venezia, i dislessici, per i quali provo una certa simpatia, avranno già commesso qualche errore nella pronuncia dell'uno e dell'altro nome, dando vita a neologismi, ma nulla di questo spontaneo caos è paragonabile a quanto avveniva in quegli innominabili anni tra le due città.
Vi era una guerra, una battaglia, uno scontro, qualcosa comunque che portava i denominatori comuni del sangue e delle morti, qualcosa che cercava nel modo più antico del mondo di portare ad un verdetto: chi avrebbe detenuto il potere sulla striscia di terra che separava i due regni, florida di cibo, baciata dal mare.
Seppure la contesa che dipingiamo sia lontana nel tempo, esisteva già qualcuno che sapeva che non vi è guerra che possa portare ad un verdetto giusto, poiché sacrifica uomini per una causa discutibile, e vede prevalere il più violento e stratega, non il più illuminato. Questo qualcuno, a cui il pronome va già stretto, si faceva chiamare Poirrot, e tanto amava il mistero intorno alla sua identità, tanto lo tradiva con il desiderio di certezza e chiarezza, per quanto concerneva la disputa.
Cosi', potendo contare sull'ampio consenso che riscuoteva in entrambi i regni, convocò i sovrani delle due Città Stato in territorio franco, e propose la sua soluzione.
Parlò, e le sue parole gettarono cemento e calce sul terreno arido dell'ignoranza, costruendo la dissestata via che indirizza, non certo porta, ai piedi dell'altopiano del buon senso. Disegnò e scolpi' con scalpello degno di essere tenuto tra le mani di Skopas una soluzione nitida ed equa: sarebbero stati scelti due uomini per ciascun regno, posti in una cava, e colui tra questi che sarebbe riuscito per primo ad evadere la cava avrebbe consegnato la terra contesa al proprio reame.
Pur portando con se i demoni dell'aleatorietà e della poca significatività, la soluzione proposta da Poirrot inebriò i sovrani e trovò un humus dove crescere ed autoalimentarsi nelle anime terrorizzate dei cittadini, stufi di limitare la propria voglia di lettura alla consultazione di necrologi.
Non fu un problema trovare due uomini per Ravenna, che scelse l'atleta e l'ingegnere, un po' come se nel cavallo di Troia si fossero incontrati Ercole ed Ulisse.
Tutt'altro discorso per Venezia, cittadina troppo devota alle divinità per non affidarsi al Fato, e che quindi si lasciò sedurre dalle braccia dell'estrazione. Ma si sa, chi troppa ama è più vulnerabile, chi ha il cuore più grande accusa più facilmente l'infarto, chi sorride alzando le guance o ridendo riduce lievemente il campo visivo, e cosi', chi monta le staffe del cavallo della sorte, può essere condotto da esso fuori dalla valle di lacrime dell'incertezza, o essere disarcionato e passare il resto dell'esistenza a maledire la sua scelta, attendendo che il roveto in cui è finito ne completi il dissanguamento.
Un cieco e un signore anziano e malato: questo il verdetto per Venezia. Chiunque a quel punto avrebbe ripudiato senza grosse remore il verdetto dell'estrazione, chiunque ma non chi sa che per mantenere il livello del mare costante occorrono sia le alte sia le basse maree, e che è laddove termina il suo viaggio la notte che una nuova alba trova la voglia di sconvolgere le tenebre. Ma nessuno, si sa, può governare il destino, quindi a stravolgere il verdetto dell'estrazione vi pensò Marina, la figlia del vecchio malato, che camuffatasi ed assunte le sembianze del padre come la migliore Mulan si imbarcò con il cieco nella spedizione per la cava, rivelando la sua identità solo una volta ivi recatasi.
Vi sarà tempo per mettere in scena i primi anni dei 4 nella cava, sarà materia per sceneggiatori, serie televisive, romanzi, elucubrazioni più o meno mentali ed evasori seriali di realtà, ma per noi è difficile raccontarvi con continuità di quell'abbondante lustro in cui nessuno riusci' ad evadere il dedalo, poiché veniamo costantemente interrotti dal singhiozzare di un piccolo, il figlio nato dall'amore disperato di Marina e di Aramis, l'atleta, il singhiozzare di quella esile e inconsapevole creatura che con le sue lacrime sciacquava via dalla tela il nero e il bianco delle due casate, tramutandoli in un grigio che è l ' unica vera sfumatura di questa terra.
Se le flessioni dell'atleta per raggiungere stadi di forma adeguati all'impresa potessero parlare, certamente scambierebbero dialoghi e risate con i progetti ammassati freneticamente dall'ingegnere su come evadere la cava, ma quanto breve e futile sarebbe il loro dialogo, immediatamente distratto dalle moine di Marina rivolte al custode per indicarle la via d'uscita. Dipinta come una delle 7 fatiche Eraclee, la cava pareva effettivamente insormontabile e impossibile da evadere, ed ormai si era fatta strada nell ' immaginario collettivo la credenza che fosse stata costruita solo per paralizzare il conflitto e porre un tappo al fiume di sangue che annegava la popolazione.
Non era nuovo Poirrot a questi stratagemmi, ma una mattina di 15 anni dopo avvenne una di quelle cose dalle quali Hemingway può costantemente attingere inchiostro e decibel per ripassare la sua massima "il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso".
La cava era stata evasa, ma né Venezia né Ravenna avevano visto il loro spettro allungarsi sulla terra di mezzo.
La cava era stata evasa, ma i 4 contendenti erano ancora tutti al suo interno.
Una farfalla si posò sulla sommità della cava, Andrea Salici passò da li', ripensò al caso delle 4 ali di farfalla, lo ricollegò ai 4 uomini nella cava, spostò lo sguardo sulla farfalla, notò che il suo corpo non era formato solo da 4 ali, ma anche dal punto di incontro di esse, la testa.
Una farfalla si posò sulla sommità della cava, Andrea Salici pensò che 4 ali non possono volare senza la testa, la testa non può volare senza le 4 ali, e che se qualcuno non le avesse unite, non esisterebbero farfalle. Ad Andrea avevano insegnato a guardare avanti e a tenere la testa alta, ma mai avrebbe detto che un giorno sarebbe stato sittanto grato a quell'insegnamento, che oggi gli permetteva di fissare dritto negli occhi l 'uomo che era riuscito ad evadere la cava.
Scultoreo, statuario, vincente, ma soprattutto vivo, spadroneggiava davanti ad Andrea il figlio di Marina e dell'atleta, un bambino ossuto e impertinente aveva coronato l ' impresa che i migliori e fortunati uomini delle due contee non erano riusciti a compiere.
Lo stupore consumava le gole dei contendenti, che non riuscivano a commentare l ' avvenuto, e fu allora che parlò colui che nel nero delle sue palpebre vede l'infinito e nel silenzio della sua solitudine ascolta la voce del mondo.
Il cieco illuminò della luce che non aveva mai visto le tenebre che per una volta avvolgevano anche i suoi compagni.
"Il destino non è infame, non è casuale e nemmeno razionale, è spiritoso. E ama scherzare a tal punto da far si' che sia un cieco a rivelarvi ciò che non vedete con i vostri occhi sani. Il giovane è riuscito nell'impresa poiché nessuno gli ha mai detto che sarebbe stato impossibile, poiché nessuno l ha mai convinto che non ce l avrebbe fatta, cosi' come la struttura alare del calabrone non è adatta a volare, in relazione al suo peso, ma lui non lo sa e vola lo stesso. Voi non riuscite ad arrampicarvi perché anche se non le vedete, ai vostri piedi sono legate zavorre, zavorre di pregiudizi di disillusioni e di paure, zavorre di preoccupazioni per il futuro, e zavorre di timori ed insicurezze, queste, che io vedo e voi stolti non ancora, sono le zavorre che vi impediscono di evadere"
E a chi attribuire una terra conquistata da un mezzosangue? Il ragazzo non aveva nome, ma era di una carnagione chiarissima e per salvaguardarlo era stato protetto per ogni estate dal ventre della madre Marina, cosi', si decise di nominare la terra di mezzo Sottomarina, e in quella terra si dice che picchino i raggi più forti ed intensi di tutto il pianeta, perché è l 'unica zona della terra, dove i ciechi vedono meglio dei vedenti.
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