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La giovinezza
Il passaggio dall'adolescenza alla prima giovinezza non è quasi avvertito né dal soggetto né dagli educatori. Senza soluzione di continuità il procedimento educativo segue un percorso già tracciato da coloro che poco tempo prima vi sono passati e che già occupano i banchi dell'Università, che hanno una fidanzata, che già hanno viaggiato da soli all'Estero. Le due esperienze si intersecano a causa della precocità moderna con la quale i ragazzi vivono protesi al raggiungimento della maggiore età.
Vogliono anticipare tutto, sapere tutto, provare tutto: "bruciare le tappe", sospinti da una voluttà misteriosa suscitata dal divenire grandi, cioè capaci, affermati, potenti, compiuti.
Man mano che il giovane si addentra nell'età adulta, il suo bisogno di conoscenza gli suggerisce imprese pionieristiche ed il tempo non gli basta mai poiché le cose da scoprire sono sempre di più: luoghi nuovi, gente nuova, nuove culture, nuovi ambienti; tutto in un progressivo ed avido bisogno di impatto con le novità che gli tengono l'animo sospeso e sospinto, in posizione ascendente.
Ma i primi ostacoli si fanno sentire presto. Soltanto nell'età matura si capisce quanto le difficoltà contribuiscano all'assestarsi della personalità e che imparare a superarle edifichi la persona, sia quando lo si ottenga con le proprie capacità sia quando si riesca con l'aiuto di qualcuno che ama.
Già tra i banchi di scuola iniziano le prime delusioni, le prime amarezze tra le quali campeggiano le sofferenze amorose. Se il giovane scopre che la persona di cui si è innamorato è già attratta da altro, soffre e se ne sente ferito. Quel bisogno di possesso che si accompagna all'amore viene ad essere mortificato e provoca il bruciante dolore del rifiuto.
In aiuto allo stato d'animo prostrato dall'esperienza negativa, possono essere utili altri successi personali come ad esempio il buon andamento degli esami, nuovi interessi, nuove conoscenze.
Nello scenario di vita più allargata, la famiglia passa velocemente al secondo posto, sbiadita nella sua priorità e spesso cancellata dai pensieri e dal cuore.
L'età adulta è per il ragazzo piena di fascino ed essi vorrebbero volare il più lontano possibile dal proprio nido abituale e da quegli adulti troppo noti, troppo scontati, dai quali non si aspetta più nulla di nuovo e dai quali, ad un tempo, si continua tacitamente ad aspettarsi tutto.
Per il fatto di esser nati in quel ventre, tutto appare dovuto, un diritto; e non è raro che vengano ignorati i sentimenti, le ansie e le paure dei genitori.
Nell'ansia del crescere, ogni esperienza appare al giovane, degna d'esser vissuta, conosciuta, svincolata il più possibile dalla realtà familiare che viene ad essere così accantonata con determinazione, per il solo fatto che propone e dice sé stessa, limitata, esigua, senza il gusto della novità; diversamente significherebbe lasciare il bandolo della propria vita nelle mani di essa.
Il giovane, non soltanto vuole conoscere il mondo, ma vuole anche essere l'artefice di tutte le sue scelte e decisioni, per quell'atavico ed imprescindibile bisogno dell'affermazione di sé.
Ogni conquista, sia essa di carattere affettivo od esito del proprio impegno nel lavoro, gli riempie l'animo di fierezza e nel sentirsi appagato, si convince d'essere maturo.
Solamente il trascorrere del tempo gli insegnerà che la maturità è un qualcosa che starà sempre dinnanzi, qualcosa da raggiungere fino al termine della vita.
La maturità non è mai raggiunta del tutto, ad ogni età si può sempre crescere ancora ed imparare cose nuove, sapendole giudicare in modo più approfondito e complessivo, il che aggiunge qualcosa alla nostra personalità e non di rado ne cambia radicalmente l'assetto.
Ho visto persone ultrasessantenni assumere comportamenti imprevedibili a causa di novità improvvise; ho conosciuto altresì persone del tutto stabili nella consuetudine della propria vita ed all'improvviso mutare rotta con decisioni rivoluzionarie, insospettabili. E non sono casi di colpi di testa o follie; più semplicemente si è trattato di occasioni in cui la proposta del cambiamento è stata utile e conveniente per sé e per gli altri.
Con il rischio di fare grande confusione, il processo di maturità della persona viene spesso affidato alla incondizionata affermazione d'altro, tanto più se questo qualcos'altro è trasgressivo e prende le distanze dalla tradizione familiare ed anche da quella sociale. E quanto più si differenzia dai valori portanti che, in un crescendo secolare, hanno dato struttura alla società: umani, etici, civili ecc. tanto più questo qualcos'altro diviene preferito e più soddisfacente.
Potranno essere le nuove fogge del vestire, dell'esibire se stessi nei mille modi dello spettacolo, l'adesione agli schemi di una vita tecnologicamente avanzata, ai nuovi idiomi, fino ad arrivare al capovolgimento totale del valore delle cose e cioè dire bene ciò che bene non è e viceversa, andando oltre il limite, travalicando ogni giudizio consueto e costumato.
Nella società moderna, i suddetti valori vengono compresi come qualcosa che va contro la persona, contro la sua libertà, temendo che venga scalfito e diminuito il suo valore primario. Ed è verissimo che la persona è il fatto importante dell'umana esperienza e che l'etica, la morale, ne sono il sostegno principale. Lo sconvolgimento delle categorie alle quali l'uomo si è sin qui attenuto, crea non soltanto disordine interiore ma anche disorientamento nella quotidianità, nel rispetto di ciò che è più palese come, ad esempio, il giorno e la notte, la bellezza in tutte le sue forme, la bontà e la cattiveria ecc.
Sappiamo infatti che frequentemente si vive di notte e si riposa di giorno; si ritiene bello un corpo scarnito soltanto perché, a mo' di manichino, può essere usato per la produzione degli stilisti sulle
passerelle del mondo e spesso, anche a rischio della vita dei giovani che precocissimamente vengono chiamati ad esibirsi.
E l'elenco delle confusioni sarebbe lunghissimo e non ritengo necessario scriverlo poiché credo che ormai ne siano tutti a conoscenza e più che consapevoli.
Quindi, se i valori non sono a sostegno di quello principale che è l'essere umano, lo fiaccano e lo distruggono vanificando e divenendo inconsistenti essi stessi.
L'uomo deve perciò essere sì guidato e sostenuto da valori ma ancor prima deve consistere, deve "essere"; diversamente ogni sostegno risulterà inutile orpello.
La consistenza di sé, l'essere, non proviene da un nostro progetto intelligente più o meno attuato, n on è una avventura con esito soddisfacente, non un nostro desiderio realizzato; il proprio "essere", la consistenza di sé è un divenire che impegna la persona per tutto lo scorrere della vita, è l'adesione al Modello che ci è stato dato, cioè Gesù Cristo. Quanto più lo conosceremo su questa Terra, lo seguiremo, lo imiteremo, tanto più la nostra persona avrà la sua consistenza, si realizzerà nel recupero della immagine originaria dataci nella creazione.
La grande maggioranza delle persone, vive distratta da questo fatto centrale; ognuno riesce al massimo ad identificarsi nel personaggio che si è scelto a seconda dei propri gusti, per le attività che svolge nei settori più svariati soprattutto dove il successo è visibile e promettente.
Esiste comunque sempre, per nostra fortuna, una possibilità di crescita per tutti, qualunque sia il modello scelto, poiché siamo tutti creature di Dio ed in ogni uomo è presente Gesù Cristo.
Ad ognuno è data una possibilità di cammino, un cammino con andatura proporzionata alla sua misura, nell'ambito in cui vive, con la gente che conosce, con chi gli è vicino e lo ama.
Un ragazzo crede di essere cresciuto quando, divenuto grande, diviene capace di fare ciò che i genitori non vogliono; si sente forte, libero, capace di badare a sé stesso. I genitori, a loro volta, per illudersi che i propri figli siano maturi ed in armonia con il mondo moderno, abdicano in favore di essi, proponendosi in un nuovo modo di rapportarsi più simile a quello fra amici e cercano anche di imitarli e di aggiornarsi in linea con le loro scelte, senza distinguere il loro più esperto modo di pensare e senza difendere il valore di un giudizio sicuro, affrancato a ciò che non si può discutere e che proviene da ciò che ci precede e che ci attende: "la vita eterna".
Gli uomini hanno dato forma alle religioni che sono scaturite dalla intrinseca religiosità delle creature, ne hanno schematizzato il valore non in base a Colui che li ha creati, bensì in base a chi Lo ha nei secoli testimoniato, traducendo quindi il senso religioso in filosofia la quale ovviamente si diversifica a seconda della tradizione di ciascun popolo. E ciò, anziché condurre per la via maestra l'uomo, conducendolo alla sua vera identità, alla sua unità, lo allontana sempre più sino ad arrivare alle guerre armate come nella storia sempre è avvenuto.
Non c'è contraddizione più vistosa e più scandalosa della guerra di religione. In nome di Dio si uccidono intere popolazioni, si carpiscono territori, beni naturali, si espandono poteri brutalizzando la gioventù che, tra le cose più importanti, va ad imparare ad uccidere i propri coetanei, nel miglior tempo della loro vita, convinti che sia il più grande dovere e mal intendendo così il concetto di bene, di giustizia e verità che la propria religione e qualunque religione insegna.
Dobbiamo imitare Gesù fino alla croce? Egli non ci ha già redenti? Non ci ha già guadagnato la vita eterna, morendo in croce per noi, facendosi uccidere sapendo di essere innocente? Dobbiamo divenire anche noi dei redentori? Io credo di no!
Più che fare quello che Egli ha fatto, noi dobbiamo fare quello che Egli ha detto; e ciò perché cambi la vita anche su questa Terra, il luogo dove siamo stati posti per vivere secondo la volontà di Dio e, per i meriti di Gesù, sia un transito felice.
Se ciascuno di noi si facesse plasmare da ciò che Gesù ha insegnato, non occorrerebbero i sacrifici dei Santi e dei Martiri; saremmo tutti sul retto cammino, nella pace e nell'amore. E la vita sulla Terra non sarebbe tanto diversa da quella spirituale che ci attende: godremmo già qui la felicità per la quale siamo stati creati ed alla quale siamo protesi in tutte le fasi della vita, dalla nascita alla morte pur con la brevità del corpo che sempre esprime un bisogno, una fragilità, una caducità.
Siamo costantemente tentati da Satana e non ce ne accorgiamo; egli ha una sola finalità: quella di farci credere che questa vita sia chiusa tra la nascita e la morte, senza un prima e senza un dopo e che tutto quello che possiamo ottenere è la sola felicità che ci è consentita in questo tempo.
Ecco allora che gli uomini vivono il tempo della vita pieni di affanno, cercando di appropriarsi quanto più è possibile dei beni terreni rincorrendo ed accumulando ricchezze in modo esacerbato, sempre nel timore-terrore di perderli e non pensando mai che quanto hanno conquistato è un furto ai loro fratelli e senza alcuna speranza per quanto di inimmaginabile sia già stato preparato per noi oltre la vita.
Le religioni quindi separano i popoli esattamente come nel mondo ateo gli odi e le rivalità; sappiamo però che chi crede in Gesù Cristo è già salvato.
Ma ritorniamo all'ambito familiare, al giovane diciottenne che sente il prepotente bisogno di affermare sé stesso con iniziative il più possibile autonome e non si preoccupa di possibili errori di valutazione delle proprie capacità, delle proprie energie; vive ancora affidato alla protezione degli adulti che lo amano, pur facendo di tutto per scartarli dalla propria vita.
Osa, con l'incoscienza dei suoi diciotto anni ed è frequente l'incontro con il rischio, la difficoltà, il pericolo che da solo non è in grado di superare.
Tralasciando i casi limite dove il rifiuto totale degli adulti può portare anche alla morte volontaria, non possiamo non accorgerci di quanto sia arduo e deleterio per il giovane l'affidarsi a sé stesso o, al più ad un coetaneo; ciò anche in situazioni semplici come possono essere la scelta di un corso universitario, di una vacanza, di una ragazza.
Ricordo che il mio primogenito, al conseguimento della maturità liceale, mi chiese come premio di poter partire in gruppo per un viaggio intorno all'Italia.
Lo munii di bagaglio e denaro sufficienti per una quindicina di giorni.
Fu noleggiato un pulmino e a turno, tutti i ragazzi con la patente, l'avrebbero guidato lungo tutto l'itinerario previsto.
Il percorso iniziava al nord dell'Italia, sulla via litoranea della Jugoslavia, le coste dell'Albania fino ad Atene che era la meta del viaggio. Il ritorno era previsto con la nave per il primo tratto e lungo la costa adriatica, in treno, fino a Trieste.
All'andata il pulmino si ruppe per strada quando erano arrivati quasi in Grecia; non trovarono un'officina con i pezzi di ricambio necessari alla riparazione del mezzo; dovettero spingerlo a mano per alcuni chilometri per trovarne una adeguatamente attrezzata che potesse rimettere in moto il loro veicolo. Dormirono all'aperto, tutti i distributori di benzina erano alle porte della città per cui anche l'eventuale rifornimento era impossibile. Sfiduciati, alcuni di loro decisero di prendere il treno e di rientrare a casa interrompendo il viaggio, calcolando che il denaro che avevano, non sarebbe stato sufficiente per affrontare le spese del ripristino del pulmino e per il prosieguo del viaggio.
Persero tempo prezioso ed anche quando giunsero là dove erano riposte tutte le loro speranze, ossia all'officina attrezzata, si sentirono dire che la riparazione non era possibile. Quelli del gruppo che avevano deciso il ritorno a casa se ne andarono lasciando mio figlio con il meno disinvolto dei compagni solo e sconsolato. Mio figlio molto determinato a proseguire comunque con il suo timido compagno che si era rassegnato a seguirlo, abbandonò il pulmino e continuò il suo viaggio in treno, dormendo sugli strapuntini del corridoio dove riuscì ad addormentarsi con la testa posata sul primo, il bacino sul secondo ed i piedi sul terzo, sfinito per la stanchezza.
Con l'unico amico che si era mantenuto fedele all'iniziativa, arrivò alla volta di Atene, riuscendo a trascinarsi tra le rovine dell'Acropoli, respirando a fatica l'aria torrida degli oltre quaranta gradi della città.
Ebbe la forza di fare per intero il percorso turistico previsto, persino contento d'esservi arrivato, stanco, affamato e dimagrito dopo solo tre giorni dalla partenza. Il suo compagno lo seguiva muto, privo di entusiasmo e stremato.
Il denaro era quasi terminato; lo usarono per comperare al porto, il biglietto della nave, per le bevande che finalmente poterono procurarsi per togliersi l'insopportabile sete, oltre ad avere un momentaneo senso di sazietà.
Sulla nave dormirono a lungo, sognando la loro casa, i familiari, la tranquillità ed il benessere al quale erano abituati.
Al risveglio si trovarono già in prossimità dell'Italia. Mio figlio ebbe la felice idea di andare a Roma, presso una zia, dove potersi riprendere dalla fatica e dal digiuno. L'inedia alla quale si erano sottoposti era divenuta troppo pesante; presero altri due o tre treni e finalmente raggiunsero la capitale, ormai dimagriti di cinque o forse dieci chili. Scoppiarono in pianto per lo scoramento e per lo sforzo sofferti ma anche ridendo alla zia che fu pronta ad ospitarli, a ripulirli, a sfamarli e confortarli dopo una così amara esperienza.
Ritornarono a casa sani e salvi dopo un paio di giorni e mio figlio, nascondendo il volto sulla mia spalla, mi abbracciò in silenzio, trattenendomi a lungo nell'abbraccio, in modo inconsueto.
Capii subito che qualcosa di nuovo era accaduto perché, soltanto qualche mese prima, incontrandomi per la strada, immerso nel suo gruppo di amici, aveva finto di non vedermi.
Gli anni del Liceo sono fortemente incisivi per la personalità dei ragazzi; è il tempo in cui si definiscono il carattere, le tendenze, le specificità della persona. La carta d'identità acquisisce i suoi dati.
Nella scuola la partecipazione dei genitori è fondamentale come apporto alla crescita del giovane, in modo che gli orientamenti educativi siano quanto più possibile sullo stesso piano e per una vigilanza utile a renderli prudenti con quanti, trovando sempre spazio tra loro, vanno per ottenere consensi di prima spremitura, a realtà molto più scaltre, finalizzate a scopi politici e di potere. È pur vero che la vita dell'uomo ha intrinseca la valenza politica, per cui è giusto ed opportuno che i giovani vengano informati sulle seguenti scelte che dovranno affrontare; risulta tuttavia assai difficile fornire un insegnamento del tutto scevro da interessi e faziosità.
È altrettanto utile che siano pronti, con le idee possibilmente chiare anche su ciò che riguarda la vita di coppia, la funzione di genitori, per cui è bene dar loro una seria, leale educazione sessuale, purché non si riduca a qualche squallida seduta, con l'ostetrica di zona invitata dalla scuola, la cui principale preoccupazione è quella di persuadere ed insegnare l'uso del preservativo, con l'accurata spiegazione di quanto vi è in commercio. Il tutto in uno zibaldone confuso ed arrogante atto a svilire il valore dei traguardi di maturità da raggiungere ed in cui riesce difficile trarre delle norme di vita sane e chiare.
All'età di quindici anni, mio figlio fu invitato ad andare in vacanza nella famiglia della ragazza di cui si era innamorato. Mi permisi di dire ai genitori di lei che avevo molte perplessità e sufficienti ragioni per porre il mio divieto ed obbligare mio figlio a rifiutare l'invito.
La madre mi ripose: "Ma Signora, la nostra ragazza è innamorata e qualora il ragazzo non venisse con noi, ella lo convincerà ad andare da soli altrove".
Obiettai che mio figlio aveva soltanto quindici anni e che non godeva ancora di tanta autonomia.
L'intervento del padre della ragazza a favore del progetto, mi costrinse a non insistere caparbiamente sulla mia posizione, capii che era molto diversa la mia impostazione educativa e mi trovavo ad avere io il compito più difficile. Mi dovevo affidare all'attento lavoro di testimonianza fin lì vissuto, tra le pareti di casa mia. Dovevo permettere a mio figlio di affrontare l'esperienza, fidando nella sua capacità di decidere con serietà che cosa poteva o non poteva fare.
Non gli impedii nulla e neppure feci raccomandazioni accese; il suo senso di responsabilità che avevo alimentato per anni con le indicazioni per un comportamento avveduto, avrebbe dovuto dare i suoi frutti. Sapevo che poteva essere un rischio, ma acconsentii a che partisse. Gli dissi soltanto: "Ricordati di quanto t'ho insegnato, stai attento!"
Mio figlio fece ritorno da quella vacanza, alquanto diverso, più riflessivo; era andato vicino al fuoco ed era riuscito a non scottarsi.
Nell'animo dei giovani c'è tuttavia il bisogno cattivo di sopprimere l'"essere" di coloro che più lo amano e che, con il loro amore incondizionato e gratuito, lo tengono saldo in pugno, molto di più che con l'autoritarismo.
Il genitore veramente autorevole, amoroso e generoso, è il più temibile perché esercita sui figli una influenza reale dalla quale non è facile prescindere. La coerenza dell'adulto pone il figlio di fronte al giudizio chiaro ed altrettanto chiaramente definisce il suo eventuale errore, con il quale dovrà fare i conti nel caso decidesse di testa propria.
Il genitore risulta allora pesante, non imitabile, ancor meno superabile ed il giovane se ne sente umiliato; sempre meno accetta la sua posizione di inferiorità e di immaturità. Allora tutte le volte che può se ne allontana volentieri.
Le mamme semplici, che non si fanno problemi di dieta, di cultura, che non hanno paura di sbagliare e se non sono aggiornate sull'attualità o non sono capaci di fare qualcosa, non si danno pena; queste placide madri sono le più amate, le più onorate, quelle che nessun figlio vorrebbe mai cambiare. Sono amatissime perché non sono mai temute, mai rivali, poiché sul loro gradino non è neppure necessario rimanere.
Quando invece una madre ed un padre non si lasciano accantonare e vivono con impegno la loro presenza nella vita del figlio, volendo mantenere il proprio posto anche ora che vive una socialità allargata, pur sgomitati, a volte irrisi e malgiudicati dalla nuova generazione, mantengono dignitosamente la loro posizione. Non sono disposti ad abdicare e, senza scimmiottare il mondo dei giovani, sanno con pazienza farsi sempre trovare in ogni bisogno, anche se il figlio li vorrebbe annientare e sé stesso in quel ruolo, sicuro d'un comportamento migliore.
E quanto è pacificante invece il poter essere genitori semplici, fragili, capacissimi di sbagliare, liberi di sbagliare nella convinzione tranquilla di essere accettati così come si è dai propri figli, amati per ciò che si è, imperfetti e deboli.
Vorremmo poterci specchiare nei figli, vederci in una vita rivissuta, più giusta, corretta, migliorata; ma i tempi nuovi non sempre determinano persone nuove. Progrediamo, ci evolviamo, abbiamo raggiunto il livello di conoscenza più alto di tutta l'umana esistenza che ci ha preceduto, eppure non possiamo non accorgerci di segni allarmanti che emergono nelle tendenze dei giovani, nei loro usi e costumi.
Ai ragazzi piacciono tanto quegli ornamenti, quelle espressioni che fanno di un giovane "per bene" un troglodita. Purtroppo ciò non soltanto nella esteriorità dell'aspetto; ancor più grave è l'assoluta mancanza di rispetto, il non ritegno e contegno nel non voler riconoscere che altri, prima di loro, abbiano raggiunto traguardi di civiltà con l'impegno e la fatica di secoli e secoli, con lo studio ed il lavoro.
Un piercing conficcato nella lingua, cancella con un semplice tratto di matita, la vita ed il sangue delle intere popolazioni che si sono avvicendate nella storia.
Se questa considerazione appare eccessiva, io dico che l'arretramento di ogni uomo nel cammino della civiltà, ha un peso ed una dimensione cosmica, universale e procura danni di cui non ci rendiamo subito conto ma che emergono man mano nel nostro vivere.
Non possiamo non vedere il deterrente che ostacola il nostro progresso, che si contrappone ad esso. Vengono sconfitti mali ritenuti incurabili e ne emergono sempre di nuovi in una lotta strenua tra intelletto umano e Natura che dai primordi si contendono gli equilibri del tempo e dello spazio, su questa Terra.
L'umana intelligenza non si oppone certo alla Natura, tuttavia le forze del male esistono anche in Essa e poiché sono obbedienti ad altra volontà, sta all'uomo prevenirle in tempo, non lasciare che prevalgano, ancor meglio non collaborare con esse, come ad esempio inquinando l'atmosfera o distruggendo le sue ricche bellezze, dimenticando tutto ciò che di buono l'uomo ha saputo fare nel tempo.
Non appare sempre chiaro che il male in natura gravi sulla responsabilità degli uomini, ma in realtà è così. Non soltanto noi, dobbiamo difenderci dai cataclismi naturali, che pare siano incrementati in questi tempi; anche la natura ha bisogno di essere difesa dai cataclismi che l'uomo le procura, operando in essa in modo sconsiderato. L'esempio più eclatante è quello dell'abbattimento delle foreste che rischia di minare radicalmente l'equilibrio della vita sulla terra. Ma anche quello delle inondazioni delle quali ogni volta ci stupiamo, ben sapendo che sono provocate da quel sottofondo di cemento che imprigiona le acque e le fa schizzare in ogni direzione quando la piena non ha modo di essere adeguatamente incanalata ed assorbita dal terreno.
Il territorio deve essere amato prima e di più della nostra casa; dobbiamo imparare a costruire in armonia con le sue esigenze, senza sfruttarlo, senza deturparlo, perché noi siamo parte del territorio sul quale viviamo ed è compito nostro trattarlo con civiltà, con responsabilità, con lo stesso impegno che mettiamo per far crescere i nostri figli, perché è il luogo dove si svolgerà la nostra e presumibilmente la loro esistenza.
È compito dei genitori insegnare questi valori perché la natura, l'habitat, a sua volta risponderà e ripagherà con lo stesso amore che le è stato dato, qualunque sia il suo aspetto, comunque sia configurato: sia esso pianeggiante, montuoso o marino, bello o monotono; se sarà amato procurerà ai suoi occupanti il piacere di viverci.
Le pianure non sono meno belle dei colli, dei monti e dei litorali costieri; esse ci donano la fertilità dei loro terreni procurandoci quanto di più ci è necessario; ed inoltre, chi potrebbe discutere la bellezza di un campo di grano maturo, di girasoli, o una piana coltivata a frutti e viti?
In pianura, tra le case, possono fiorire giardini, alberi capaci di vincere da soli la lotta contro gli inquinamenti, le inondazioni, di ridare aria pura ai nostri polmoni, di rendere il nostro habitat sano e confortevole.
Il terreno mantiene il miglior equilibrio tra l'agire dell'uomo e la natura; consente il riassorbimento delle piogge, lo scarico delle elettricità, ridà lo spazio vitale agli animali che da millenni hanno imparato a vivere vicini a noi e che, oggi come oggi, rischiano di risentire l'atavico richiamo della primordiale condizione selvaggia, poiché l'uomo non sa dove tenerli in continuità e, con troppa disinvoltura, li abbandona.
Molte specie di animali rischiano l'estinzione proprio perché viene loro tolto l'habitat, sia quello domestico che quello selvaggio.
Se siamo capaci di riconoscere il valore dei fiori di montagna che per legge non possono essere colti, allo stesso modo dobbiamo imparare a rispettare e preservare i luoghi di vita, nella sana e reciproca attenzione che favoriscano la serenità di ognuno per una convivenza di creature volute da una sola e medesima volontà.
Ma ciò che stupisce e talvolta dà il raccapriccio, è il non amore al luogo che noi stessi occupiamo e dove trascorriamo la vita. Non sono sempre gli altri a sciuparlo o ad alterarne gli equilibri biologici; noi stessi siamo spesso malfattori, inquinanti, vandali perché il territorio che occupiamo ci è estraneo, non lo amiamo e ciò è sintomatico della estraneità e del disimpegno che c'è tra noi, tra persona e persona, nella dimenticanza di quella originaria comune provenienza che ci affratella.
Esercitiamo sui figli un atteggiamento autoritario per tenerli lontani dai pericoli più ovvi, quando sono ancora piccolissimi. Ci capita di sentire per strada frasi perentorie e sproporzionate alla comprensione del bambino, dovuta alla sua tenera età. Tuttavia noi genitori terminiamo presto di esercitare un ascendente sui figli, poiché, come ho già detto in capitolo precedente, il figlio sceglie altrove chi seguire. Allora i genitori cedono il compito agli educatori esterni: professori, responsabili di compagnie varie, sportive, spirituali ed anche, ultimamente, ai corpi dell'ordine dello Stato.
Quando nei luoghi dell'arte, una scolaresca passa a visitare, (come ad esempio il Museo di Leonardo a Milano), e lascia dietro di sé un mare di spazzatura, tutti noi ce ne adontiamo e protestiamo non sapendo bene con chi prendercela e rimanendo semplicemente allocchiti e disgustati per quanto appare ai nostri occhi: la piazza, il sagrato della Basilica, e tutto lo spiazzo antistante l'ingresso del museo, cosparsi di lattine, buste di patatine, merendine ecc.
Se una giovane mamma rimane indifferente alla lattina di CocaKola gettata nella bella fontana della città, e nel vedere le confezioni delle merendine gareggiare nei colori con le corolle dei fiori dell'aiuola, vuol dire che è venuto il momento di fare una vasta campagna di educazione civica a tutti, non soltanto ai piccoli.
Se non disturba una carta di caramella gettata dal finestrino, come una lattina di bibita lasciata ai calci dei passanti, significa che il luogo dove viviamo, ci è estraneo, indifferente, non lo amiamo; come Se Dio, donandoci questo meraviglioso giardino che è la nostra Terra, ci disturbi o addirittura infastidisca poiché da noi si aspetta che ce ne prendiamo cura.
Anche l'ambiente dunque ci diviene ostile proprio a causa della non relazione tra noi; e diveniamo pieni di pretese aspettandoci che sia sempre compito d'altri provvedere a far meglio. La mancanza di rispetto del luogo è la diretta conseguenza della mancanza di rispetto tra noi.
Se noi faremo memoria che anche la natura è creatura di Dio, libera e viva, sapremo rispettarla ed amarla come la più cara delle cose che ci sono state donate nella Creazione.
Impariamo gradualmente che è importante amare la nostra felicità, il nostro corpo; ci preoccupiamo, come già facevano gli antichi, di mantenerlo sano, di difenderlo, di ornarlo. Allo stesso modo dobbiamo avere a cuore la natura che ci sta accanto, fuori di noi perché ha grande valore morale, non soltanto perché ci è necessaria e che, senza di essa noi non potremmo vivere, ma perché anch'essa è creatura di Dio, come noi.
Se noi sapremo amare la natura sapremo amare di più anche le persone ed anche noi stessi; ci verrà spontaneo occuparcene, darle tempo, accorgerci se qualcosa non va e rischia di farle male, esattamente come dovremmo fare per noi stessi e per tutti coloro che ci vivono attorno, divenendo esempio costruttivo per la generazione che ci segue a partire dai nostri figli.
Quando due giovani s'innamorano, il desiderio impellente li porta ad affinare la loro attenzione reciproca, provando grande interesse l'uno per l'altro e divengono capaci di gesti importanti, di sacrifici ai limiti dell'eroismo, sempre sostenuti dalla passione che li avvince. Godono di tutto ciò che nell'altro è piacevole, si accorgono di ogni dettaglio che nell'altro li attrae, li affascina, li appaga: una pettinatura, un portamento, il colore degli occhi, una tonalità di voce ecc. Mai vorrebbero sottrarsi a quella presenza, a quella fonte di godimento; tanto meno sciuparla o addirittura distruggerla.
Intendo sottolineare il paradigma tra l'impegno che mettiamo quando conquistiamo e amiamo e quanto invece diamo per scontato che ciò che abbiamo ci sia dovuto, al che sempre si accompagna un minor interesse, una distrazione, un disimpegno.
Pertanto, proiettando virtualmente nel tempo questo modo d'affronto della realtà, nella routine e nella monotonia dell'abitudine, arriviamo facilmente alla trascuratezza; e ciò accade a qualunque età, con ogni cosa, con ogni persona.
Cartina di tornasole su quanto detto è che il ricco, tra gli agi, non riesce ad essere pienamente felice. Chi abita al mare può trascorrere mesi senza andare alla riva per ammirarne il panorama e vedere lo straordinario tramonto del sole che scompare nella luce infuocata. Così pure chi abita tra i monti. Chi è sazio si permette di gettare il cibo avanzato e chi ha molto denaro ha bisogno di continui richiami perché si accorga che la maggior parte della gente nel mondo non ne ha. E gli esempi potrebbero continuare innumerevoli ma a me preme soltanto che ci si avveda del disvalore nel quale viviamo.
È importante il giudizio che diamo sulle cose, il giudizio di valore, ossia che cosa rappresenti per noi, quella data cosa o persona. Sia chiaro innanzitutto in noi la priorità oggettiva che intendiamo attribuire a ciò in cui ci imbattiamo; il nostro comportamento si adeguerà ad esso e quando non ne fossimo certi, sarà utile il confronto con chi ne sa più di noi, sia perché ne ha già fatto l'esperienza e prima di noi ci ha pensato sia perché, molto probabilmente, ne ha anche sofferto.
In età adulta ci accorgiamo d'essere legati alle abitudini, a quei gesti, a quegli avvenimenti che si ripetono nel nostro ambiente di vita e che non mettiamo più in discussione; ci adagiamo in essi e riteniamo che siano costitutivi della nostra personalità. Quante volte abbiamo sentito dire: "Io sono abituato così...!" Cioè non posso farci nulla..."
L'abitudine ha due aspetti: uno positivo e l'altro negativo: il primo facilita la vita perché quando un fatto è conosciuto a priori e ripetitivo, non ci toglie la tranquillità; nelle nostre abitudini ci sentiamo più sicuri; ma proprio per la sua ripetitività, non proviamo quelle emozioni che eccitano la fantasia e che ci spronano alla ricerca di soddisfazioni nuove.
Il gradimento, lo smalto dei fatti che viviamo, vanno via via scemando perché consueti, noti e quindi non più stimolanti per il nostro piacere che è sempre alla ricerca di novità.
Tra le novità più rimarchevoli nell'attualità, uno dei primi posti lo dobbiamo dare all'incontro con le persone di diversa razza che sempre più diventano presenza costante e ravvicinata nel nostro Paese. Non siamo abituati a ciò e non sappiamo ancora con chiarezza che cosa insegnare ai nostri figli, pur sapendo che il colore della pelle non fa differenza sostanziale nella persona.
Siamo scossi più che dalla differenza del colore della pelle, dalle diversità culturali e di abitudini con le quali ci imbattiamo e con le quali dobbiamo misurarci.
I concetti totalizzanti e generalizzati che sono entrati nell'immaginario collettivo, non ci aiutano a prevedere una convivenza serena che permetterà ai nostri giovani di rapportarsi con chiunque di essi esattamente come avviene con la gente di razza bianca.
A grandi linee abbiamo sempre pensato che gli africani siano più brutti, meno intelligenti, molti di loro ancora primitivi; gli asiatici li conosciamo guerrieri accaniti, ferrei nelle loro tradizioni e capaci di grandi sacrifici, come quello della morte volontaria per un ideale. Tra loro, la povertà e la ricchezza sono distribuite a bianco e nero, ossia esistono i ricchissimi potentissimi e crudeli che si concedono ogni cosa anche trasgredendo le ferree leggi che impongono ai deboli, ed i poverissimi sfruttati ed annientati dalla povertà e dall'asservimento.
Gli Indios d'America non sappiamo immaginarli altrimenti se non a cavallo, con le piume e le frecce; pur sapendo che la loro bellicosità era in difesa della propria cultura e sopravvivenza e che la loro etnia rischia oggi la totale estinzione perché non sono voluti tra i civili e cacciati dai territori che occupano da millenni.
Sappiamo che l'Egitto gode di una civiltà millenaria, sappiamo anche che l'India non è un popolo guerriero e nemmeno di razza gialla, come lo sono invece la maggior parte dei popoli asiatici.
Il nostro giudizio non cambia, queste sono le eccezioni che avvalorano ulteriormente i criteri generalizzati e diffusi.
Io penso che questi concetti siano destinati a cambiare sempre più e non troppo lentamente, poiché l'esodo dalle terre povere è inarrestabile e, seppure con una certa gradualità, il futuro vedrà molte zone della Terra occupate da popoli multi-etnici.
Ci renderà capaci di unità un cambiamento culturale, ancor prima che fisico; un saperci guardare senza riluttanza, considerando innanzitutto la priorità fondamentale rappresentata dal fatto che facciamo parte della stessa specie, che siamo tutti figli di Dio e che la Terra è di tutti.
Pian piano impareremo a soffermarci sui particolari che già emergono nella nostra storia e posso citarne alcuni: Chi non si è accorto nelle grandi manifestazioni sportive che i neri sono migliori dei bianchi? Hanno fisici più atletici, muscolature corpose, portamento eretto, agilità e flessuosità inimitabili. Nell'ambiente dello sport le diversità sono già accettate ma i perché non sono ancora chiari.
Le caratteristiche somatiche negroidi sono imitate dai nostri giovani e non soltanto da essi; il gonfiore delle labbra, i capelli arricciatissimi, le intense abbronzature inseguite come accentuazione della bellezza. Consapevolmente o no, "negro" è ritenuto bello, sano, attraente; noi risultiamo a confronto: bianchicci, mollicci e sparuti, anche quando tra le fila dei nostri atleti spiccano personaggi di primissimo piano.
Eppure, chi di noi sa accettare con semplicità l'idea di un fidanzato negro, o di un genero e nuora negri, e sappia senza alcun moto di rifiuto accettare lo sfioramento di una mano di pelle nera? Le occasioni sono iniziate da poco, non ne abbiamo l'abitudine! Altri Paesi, pur nella fatica e nel giro di qualche secolo, hanno imparato prima di noi a convivere con chi è tanto diverso.
Dire che siamo razzisti è facile, lo sono stati anche i popoli più accoglienti, in modo cruento e deprecabile; tuttavia non possiamo affermare orgogliosamente di essere razzisti, come mi è capitato di sentire in una intervista televisiva; bensì ce ne dobbiamo vergognare, come accadeva alcuni decenni orsono, quando il nostro Paese non aveva ancora questo problema.
Le nostre abitudini hanno preso uno scossone e questa grossa novità non riesce a lasciarci tranquilli anzi! Ci turba e ci disturba.
Prima di ipotizzare un'amicizia tra gli esotici e noi, dobbiamo capire che cosa intendiamo per amicizia poiché soltanto chi ne sarà capace, potrà conoscerne il profondo valore.
L'amicizia non è soltanto un sentimento, una affezione, una predilezione. Non è soltanto una facile intesa con chi ci è più simile; l'amicizia è soprattutto una gratuità. Nella gratuità troveranno posto anche tutti gli aspetti sentimentali che in essa si avverano.
Se amiamo liberamente un amico e in noi non vi è alcun interesse, allora sapremo accogliere la sua diversità, sapremo volergli bene e godere altresì della sua presenza nella nostra vita. Sì, perché un amico vero ci strappa dalla solitudine, dal non senso e diviene lo specchio limpido della nostra identità. L'amico vero ci dice chi e come siamo, ci aiuta a correggere la nostra vita, ci fa da spalla nel bisogno e sa farci recuperare la fiducia nella vita ogni volta in cui tanto facilmente la perdiamo. Un amico! Può bastarne uno ma vero; può non essere sempre lo stesso poiché non sempre la nostra vita si svolge negli stessi luoghi. Ma è importante che un amico ci sia sempre all'orizzonte del nostro cammino a rappresentare l'angelo custode del tempo terreno in cui viviamo.
Dovremmo preoccuparci di saper essere amici ancor prima di preoccuparci d'avere un amico; sta a noi incominciare ad esserlo per qualcuno in modo vero e concreto. La gratuità è donazione, è avere a cuore la vita dell'altro nel bene e nel male e se capita che cattivi sentimenti ci tentano e la vogliono inquinare, non dobbiamo dimenticare che siamo noi ad aver bisogno di accoglienza, di sostegno, di affetto. L'amico ama, l'amico difende, l'amico perdona.
La condivisione è un 'altra componente importante del rapporto d'amicizia e cioè l'essere partecipi della vita dell'altro; saper ridere con lui e piangere in sua compagnia, condividendone la gioia ed il dolore poiché la vita è più vivibile quando si è almeno in due. Soli, totalmente soli, la vita è insopportabile.
La reciprocità è fattore essenziale; non esiste amicizia tra gli uomini senza reciprocità. Non necessariamente le espressioni dell'amicizia devono avvenire nel medesimo tempo, possono essere simultanee, anzi, quando accade che coincidano nei tempi, il più delle volte una delle due è meno vera. L'amicizia è un sentimento e permane al di là delle sue espressioni che a volte non trovano lo spazio per potersi esplicitare; è vero anche che se mancano totalmente le espressioni verbali e concrete, l'amicizia non c'è.
Se non abbiamo un interlocutore che ci capisce e che ci sa ascoltare, ogni cosa che vediamo o che pensiamo, si vanifica e perde consistenza. Abbiamo bisogno di poter dire anche soltanto "Che bella giornata!" oppure "Che bel panorama!"; da soli non bastiamo.
Se il nostro cuore sarà impostato nel modo giusto di chi davvero vuole essere amico, sarà confortato nel riconoscere sul proprio cammino colui che gli sarà amico. Diversamente la delusione sarà cocente, la solitudine inevitabile. Ed è molto triste andare soli verso il declino della vita.
L'età giovane ci mantiene le energie fisiche ed abbastanza facilmente ci permette il recupero anche di quelle morali, quando le perdiamo a causa di qualche sconfitta - perché si fa presto a dire: morto un papa..."! - non ci rendiamo conto che il trascorrere del tempo è inesorabile e che l'anzianità se non è alle porte, se non sarà domani... sarà sicuramente dopodomani!
E quindi ci converrà stare allerta, non possiamo permettere che ci trascorra la vita invano; non possiamo trascurare l'istante, perdere le occasioni. Ogni giorno è il giusto giorno per incominciare ad aprirsi all'esperienza amicale che è tra le più importanti della vita. Quanto prima impareremo, tanto prima trarremo i frutti di una positività della vita, confortata, illuminata, rasserenata dal fatto che qualcuno ci vuol bene davvero.
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