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Nel passato il nostro futuro
Una luce può risvegliare ricordi profondi, come accadde quella sera a Livia, mentre camminava lentamente verso casa. Era appena scesa dal bus. Non aveva fretta di tornare, non c'era nessuno ad aspettarla e sperava solo che arrivasse in fretta il giorno dopo. Il buio era sopraggiunto all'improvviso. Dopo il lavoro aveva girato per il centro, cercando di allontanare il più possibile il momento del rientro. La sua piccola casa era lontana dalla strada, vicino ad altre vecchie costruzioni che un tempo formavano una cascina. Si fermò nell'oscurità in un campo di grano ad ammirare le lucciole. Tracciavano scie luminose, disegni che duravano il tempo di un battito di ciglia. Era bello vederle libere. Una volta, tanti anni prima, ne aveva viste tante sprigionare tutte insieme una luce intensa, abbagliante per i suoi occhi di bambina. Ma erano lucciole prigioniere, sotto un bicchiere rovesciato sul tavolo: le aveva catturate suo padre per farle una sorpresa. Lei le liberò subito; il vero piacere fu vederle uscire dalla finestra, mentre la ringraziavano con i loro messaggi luminosi. O almeno così le era sembrato.
Ripensava, con grande malinconia, alla sua fanciullezza, bella e spensierata. Poi tutti i sogni si erano infranti, uno dopo l'altro. Quando entrò in casa i ricordi le giravano vorticosamente nella testa e non aveva voglia di leggere, come era solita fare tutte le sere. Quei piccoli insetti, padroni della luce, avevano risvegliato in lei il desiderio del passato. Recuperò una vecchia scatola di latta piena di foto, scritti, cartoline e altri oggetti che la legavano all'unico periodo felice della sua vita: l'adolescenza, al suo paese, con i suoi amici e con Marco. Gli aveva voluto bene, con l'amore di cui può essere capace solo una ragazzina di quindici anni. Nessun altro sentimento era stato per lei così profondo, ma le sue aspettative erano svanite in un attimo, quando si era dovuta trasferire. Prese in mano l'unica cartolina di Marco, ricevuta poco dopo la sua partenza. Raffigurava i giardini dove andavano a giocare e c'era solo un "ciao" come saluto.
Un po' poco da chi credeva avrebbe scritto poesie...
Poi non era più tornata, non sapeva bene perché, era semplicemente andata così. Un altro rimpianto.
Il francobollo era grande, non rettangolino. Rappresentava Alessandro Manzoni e per questo lei aveva fantasticato: „I promessi sposi", il grande amore... Dopo dieci anni, purtroppo, cominciava a staccarsi. Con un dito ne accarezzò il bordo; alzandolo leggermente, apparve il tratto di una biro che la fece sussultare. Forzò ancora il lembo e vide altri segni. Si fermò, perché rischiava di strapparlo. Doveva trovare un altro modo, ma non aveva più dubbi: là sotto c'era scritto qualcosa per lei, un pensiero di Marco dal passato.
La curiosità era tanta, ma anche il timore di fare un danno. Erano trascorsi anni e poteva aspettare ancora un po'. Avrebbe chiesto consiglio ai colleghi l'indomani. Spense le luci, si ritirò in camera sua e si addormentò felice.
All'improvviso però si svegliò. Qualcosa l'aveva disturbata, allontanandola da un bel sogno, o almeno così le sembrava. Ci mise qualche secondo a realizzare cos'era stato, probabilmente un rumore. Un suono simile a quello che stava ascoltando. Proveniva dalla cucina, così come la luce che era sicura di aver spento. Si alzò, senza paura; non percepiva nessun pericolo. Percorse il breve corridoio e giunse sulla soglia della stanza illuminata: seduta, di spalle, c'era una persona, che stava frugando nella sua scatola di latta. Le parole le uscirono fluide, sicure, senza alcun timore.
"Cosa ci fai in casa mia? Non c'è nulla da rubare qui e soprattutto, chi sei?"
"Sono Livia" rispose l'altra, girandosi. "Sono te, o tu sei me, dipende dai punti di vista."
Altri vestiti, taglio di capelli diverso ma, indubbiamente, la donna seduta era un'altra lei e questo la impressionò decisamente.
Girò intorno al tavolo e le si sedette di fronte: le sembrava davvero di guardarsi in uno specchio.
"Ho una gemella e non lo sapevo? O sei solo uno scherzo di qualche imbecille dell'ufficio?"
"No, io sono realmente te. E tu sei me, in un'altra dimensione: non mi piace dire „vita", anche se in effetti noi viviamo due esistenze diverse."
"Va bene, tra un po' mi sveglierò e mi accorgerò di aver sognato. Giusto?"
"No, non è un sogno, io sono concreta, reale, anche se vivo una vita diversa e, mi sembra, anche più felice."
"Ho capito, è come in quei film dove a un certo punto arriva un angelo e ti mostra come sarebbe stata la tua vita facendo scelte diverse. È così? Lo farai adesso?"
"I film sono rappresentazioni di vite irreali, astratte, immaginarie. La mia è vera, concreta... esiste insomma. Vedo che anche voi avete Silvio" disse poi indicando una rivista "va bene che è abbastanza famoso, ma addirittura metterlo in prima pagina..."
"Perché anche da voi c'è Berlusconi?" domandò sorridendo la padrona di casa.
"Da noi è conosciuto solo come Silvio, un discreto cantante da night. Ma la vera notorietà l'ha raggiunta con l'inno della Nazionale di calcio, un motivetto abbastanza orecchiabile intitolato "Forza Italia". Tutto qui."
Una risata uscì spontanea alla Livia di qui, fin quando l'altra le spinse sul tavolo due cartoline quasi identiche: in una il francobollo era un po' sollevato, nell'altra non c'era per niente e al suo posto si potevano leggere alcune parole. Livia le prese in mano, emozionata: finalmente avrebbe saputo!
La scrittura minuta era proprio quella di Marco. Aveva usato un pennino sottile, per i disegni a china, e bisognava sforzarsi per leggere.
"Sono i versi di una poesia" le mormorò dolcemente l'altra sé - "Leggili, ti piaceranno."
La tua vicinanza riempie i miei giorni,
inutili quando non ci sei
vederti al mattino e saperti vicino a me e con me
in tutti i giochi o le gite
aumenta il bene che provo e la tua dolcezza
tempera il tormento della sera, quando con dolore
inevitabilmente ti vedo andar via.
A volte con tristezza e malinconia
mi vieni in mente lontana da me e soffro,
ormai sei diventata troppo importante.
Li lesse due volte, prima sottovoce, poi più forte, per sentirli meglio. Gli occhi umidi le impedirono di leggere ancora.
"E sei felice con lui?"
"Moltissimo, è la mia vita, anche se penso che qualcuno più grande di lui l'abbia aiutato a scrivere questi versi."
"Può darsi, ma restano comunque pensieri suoi, non credi?"
"Vedo che non hai colto la particolarità di questa poesia, ciò che la rende solo mia, o nostra insomma..."
Livia la lesse ancora, una terza e una quarta volta, ma alla fine scosse la testa.
"Poi te la spiego, ma ora dimmi: ti andrebbe di fare un giretto dalle mie parti?"
"Oddio è possibile? E potrei anche vedere Marco?"
Livia era molto agitata. Lacrime copiose le rigavano il volto. Poggiò le mani sul tavolo, chiuse gli occhi, respirò a fondo e recuperò il controllo.
"Ma è così facile?"
"Per qualcuno sì e io faccio parte del gruppo dei fortunati. Tieni presente che noi siamo alcuni giorni indietro rispetto a voi, tredici per l'esattezza. Non c'è mai stato un Papa Gregorio XIII che correggesse il Calendario, nel 1582, inventandosi il vostro anno bisestile. A ben vedere pare che tutto dipenda da questo squilibrio."
"Hai figli?"
"Due, Martina e Riccardo."
"Voglio venire, dimmi cosa devo fare."
"Tutto comincerà domattina alle otto e durerà dodici ore. Abbiamo il resto della notte per raccontarci di noi, perché tu sarai me nella mia vita ed io sarò te nella tua."
"Va bene, ma prima dimmi il segreto della poesia."
"Domattina te lo svelerò, domattina. Pensaci ancora"
Si raccontarono le proprie abitudini frettolosamente e riposarono per poco tempo, in fondo mancavano solo dodici ore. Al mattino si sistemarono i capelli a crocchia, così da confonderne la lunghezza e ognuna truccò l'altra. Si scambiarono gli abiti e i documenti e, quando uscirono, si erano trasformate perfettamente scambiandosi i ruoli.
Davanti alla casa era parcheggiata una piccola auto.
"Tu andrai con quella" indicò la nuova Livia, "mentre io userò l'abbonamento dell'autobus.".
"Stiamo facendo la cosa giusta? Non hai dubbi?"
"Più di uno, in realtà, ma in fondo siamo una cosa sola e poi ormai è deciso. Dai, parti!"
"Va bene. Ma... tu per Marco stanotte sei stata via! È un fatto abituale?"
"Per nulla, abbiamo litigato e di brutto! Lui vuole fare una piscina in giardino, mentre io vorrei un gazebo. Sono uscita sbattendo la porta e ho deciso di venire a trovarti."
"Meno male che te l'ho chiesto... e la poesia?"
"Già, la poesia. Devi leggere di seguito le lettere con cui iniziano i versi e si comporrà una frase che ti farà capire. Adesso vai!"
Livia mise in moto e si avviò. Era riuscita a ricostruire a memoria la frase e adesso non vedeva l'ora di arrivare. Ci mise un'ora e quando giunse al suo paese trovò che nulla era cambiato; ogni cosa le dava un colpo al cuore. Marco abitava sempre nella stessa villa. Livia cercò le chiavi nella borsa e aprì il piccolo cancello che cigolò in maniera familiare. Evidentemente non era mai stato aggiustato. Marco apparve sulla porta: il tempo aveva mantenuto le sue promesse, era di una bellezza mozzafiato.
"Perdonami amore" le disse avvicinandosi.
"Dove sono i bambini?" ribatté lei, da brava mamma premurosa.
"Li ho portati da mia madre, hanno dormito lì. Ho creduto di fare la cosa giusta, visto che non sapevo quando saresti tornata."
"Hai fatto bene."
Marco aprì le braccia e la strinse.
"Perdonami amore" le ripeté e cercò le sue labbra.
Livia, che sognava da sempre quel momento, ricambiò il bacio, lunghissimo, intenso.
"Avrai la tua piscina" gli sussurrò con dolcezza.
Lui la strinse ancora a sé e la condusse in casa.
"Vieni Amore, i bambini possono aspettare ancora un po', io no."
Nel frattempo l'altra Livia chiese un permesso per non andare in ufficio, e noleggiò un'auto. Voleva scoprire cos'era successo al Marco di quella dimensione e perché non stavano insieme.
Lungo la strada solo alcune piccole differenze rispetto al suo mondo, come la chiusura anticipata per ferie di un negozio. Quando giunse a quella che avrebbe dovuto essere la sua abitazione, si fermò in attesa per cinque minuti: non passava nessuno. Mise in moto e fece un giro intorno alla villa, poi parcheggiò poco distante, Il punto era perfetto per tenere sotto controllo la situazione, ma doveva pagare la sosta. Così scese e, mentre stava per inserire una moneta nel parchimetro, si sentì chiamare.
"Livia? Non ci posso credere. La mia piccola Livia è tornata!"
Non aveva bisogno di girarsi, quella voce era inconfondibile in entrambe le dimensioni.
"Ciao Marco, come stai? Quanto tempo..." disse andandogli incontro.
"Dieci anni ci hanno un po' cambiato, ma tu sei sempre bellissima."
"Anche tu! E a simpatia come sei messo?"
A Livia faceva una certa impressione parlare con suo marito. Si accorse di non essere preparata a quell'incontro, ma voleva approfondire.
"Sono sempre simpatico, come allora... ma dai, non posso crederci! Sei veramente tu?"
"Proprio io, in carne e ossa" mentì lei, e quella era una bugia vera.
"E cosa fai adesso? Dove lavori? Sei sposata? Scusami, troppe domande, sembra un interrogatorio ma sono molto curioso ed emozionato. E... a essere sincero, m'interessa una sola delle risposte."
Livia lo guardò negli occhi: emanavano dolcezza e tranquillità, non riusciva a spiegarsi l'evoluzione della vita dell'altra Livia.
"No, non mi sono mai sposata e tu?"
"Sì, mi sono sposato."
Livia ebbe come un cedimento. Marco se ne accorse e intervenne subito.
"Il mio matrimonio, cinque anni fa, è durato solo sei mesi... sono già divorziato. Daniela, te la ricordi? Me lo dicevano che sarebbe stato un errore, mi ripetevano sempre "la tua donna è..." Beh, lo sai a chi avrei dovuto chiedere di sposarmi."
Finalmente tutto fu chiaro: nella sua dimensione non era mai esistita nessuna Daniela a intromettersi tra loro.
"Si me la ricordo" mentì ancora, "come potrei dimenticarla?"
Poi ebbe un'intuizione.
"Le hai mai dedicato una poesia?"
"Daniela ti amo", pensò lei.
Marco rimase turbato da quella domanda.
"Sì, te lo ha detto lei? Ma... appena tornato solo, ne ho scritta un'altra, che non ho mai avuto il coraggio di consegnarti."
Prese il portafoglio dalla tasca, ne estrasse un foglio ripiegato e lo consegnò a Livia.
"Però oggi quel coraggio l'ho trovato."
"Posso leggerla più tardi?" Pensava che la vera destinataria avrebbe dovuto leggerla per prima.
"Certo, ovviamente si! Ma ora che ci siamo finalmente ritrovati, potremo vederci ancora?"
"Mi piacerebbe veramente tanto: riesci a capire quanto lo vorrei?"
A quella risposta Marco si avvicinò e la strinse forte, lei lo lasciò fare e dopo un po' ricambiò il suo abbraccio.
"Domani, ci rivedremo domani. E vivremo fino in fondo i nostri sentimenti. Ora devo andare, puoi aspettare sino a domani?"
"Amore, ti aspetto da sempre. Cosa vuoi che sia qualche ora?"
Livia riprese la strada, doveva correre per dire all'altra lei che Marco l'amava.
Intanto, nell'altra dimensione lui era un po' perplesso: non capiva perché sua moglie dovesse allontanarsi per qualche ora.
"Vai tu a prendere i bambini" gli aveva detto. "Io devo andare a salutare un'amica che non vedo da anni. E fai il bravo mentre sono via."
Si ritrovarono di nuovo sedute in cucina, con la scatola di latta e tutti i ricordi sparsi sul tavolo, come li avevano lasciati quando erano partite.
"Hai fatto pace" cominciò la Livia sposata "una pace bellissima! Però hai ceduto sulla piscina, mi spiace, ma non sono mai stata molto forte."
"Vuoi dire che avete fatto..."
"Non dirlo, ti prego, ma appena l'ho visto... Non ne vado di certo fiera, anche se dopo tutto siamo la stessa persona... O no?"
L'altra Livia era turbata, ma in fondo non molto sorpresa: fuoco e paglia sono un abbinamento pericoloso.
"Ma non lo stesso corpo" le rispose con calma. "Io comunque non sono andata in ufficio."
"Ah! E cosa hai fatto?"
Le raccontò la giornata: il viaggio, l'incontro con Marco e quanto lui fosse ancora innamorato.
"E così Daniela aveva vinto" reagì sconsolata. "Non lo sapevo."
Afferrò la cartolina e strappò via il francobollo: sotto non c'era una poesia, ma una patetica quanto breve richiesta di comprensione, la scappatoia di un vigliacco.
"Mi ha dato questa; è per te, la Livia della sua vita. Io non l'ho letta, anche se penso di sapere di che si tratta. A proposito, lo sai che da me non c'è stata nessuna Daniela?"
"Buon per te, non era di certo una bella persona."
Afferrò il foglietto e lo aprì. Finalmente anche lei aveva la sua poesia, con tanto di giochino, quindi Marco l'amava e ogni cosa procedeva per il verso giusto. Si abbracciarono e poi ognuna andò incontro al proprio destino senza sapere se si sarebbero riviste. Complicato capire come funzionano realmente certi passaggi. In ogni caso, il ricordo intenso di quella giornata le avrebbe accompagnate per sempre.
Tornata nella sua dimensione, Livia ebbe conferma che presto avrebbero avuto una piscina e il marito le chiese di litigare più spesso per poi fare la pace. La Livia single, invece, aspettò il mattino seguente per andare incontro alla sua nuova vita con Marco. Per una settimana ebbero l'impressione di camminare sulle nuvole, poi iniziarono a progettare il loro futuro, finalmente insieme. Fecero subito tutto quello che avevano sempre sognato, volevano recuperare il tempo perduto. Poi arrivò anche Chiara, una bambina meravigliosa. Il ricordo della vita di prima, della casa nella cascina, del tempo che perdeva in giro dopo il lavoro, delle serate trascorse a leggere svogliatamente, sembrava a Livia lontanissimo e le mancava l'altra, avrebbe voluto raccontarle come, grazie al loro incontro, aveva ripreso a vivere.
"Amore vado su dalla bambina" disse al marito salendo le scale.
"Dalle un bacino da parte mia."
La cameretta era accanto alla loro, la porta era aperta. Si avvicinò al lettino, ma si bloccò. Era vuoto, Chiara non c'era! Posò una mano sul lenzuolino, tiepido dal calore della bambina: ma dov'era? Forse uno stupido scherzo? Scese di sotto: lui era al computer a scrivere qualcosa, sereno. Non poteva averla presa lui, non si era mosso. Cominciava a mancarle il respiro e mille pensieri affollavano la sua mente. Doveva dirglielo, ma prima era meglio controllare ancora, così salì di nuovo le scale, andò al lettino e... Chiara era lì, tranquilla. Con gli occhioni aperti dedicava un sorriso raggiante all'altra Livia che, seduta accanto a lei, l'accarezzava.
"Ciao, che bello vederti! Ma non farmi più questi giochetti, mi hai spaventata."
"Non sono stata io, ma lei! " indicò la piccola. "Me la sono trovata nella camera dei bambini, sul letto di Martina, allegra e sorridente."
"Chiara? Ha attraversato la barriera tra le dimensioni?"
"Sì, e sai cosa vuol dire, vero?"
"Cosa?"
"È figlia tua e del mio Marco. Ha ereditato quel potere immenso, rarissimo, che le permetterà di fare cose grandiose, ma che ancora ignora e non sa gestire. Ho l'impressione che ci vedremo spesso, tutte le volte che te la riporterò."
"Che dire, sarò contenta di rivederti. Per il resto..." e indicò Chiara, "direi di lasciare le cose come stanno, lo sappiamo solo noi."
L'altra confermò con un cenno della testa.
"Chissà quali sorprese ci riserverà questo fagottino" aggiunse felice. "È un'eletta, figlia dell'amore tra dimensioni parallele. Un fatto rarissimo, ma già successo: i frutti incomprensibili di un potere come questo sono stati chiamati Miracoli."
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2 recensioni:
- Grazie Stanislao, veramente gentile il tuo commento.
Buon fine settimana a te e a tutti i partecipanti a questo bel Sito

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