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Se solo non fosse vero
Quello che sto per narrarvi, fu per me una fonte di incubi per settimane e anche ora, che tengo la penna in mano dopo un anno, rivivo perfettamente quella situazione.
Cosa assai più strana della mia esperienza è che tutt'ora mi sfugge il motivo per cui mi trovavo sul ponte Vittorio Emanuele primo a guardare le acque torbide del Po scorrere sotto di me.
Ricordo soltanto l'effetto che faceva la Gran Madre. Quella presenza che ti ricordava che sei solo una nullità. Ricordo anche le luci soffuse dei lampioni, che a stento illuminavano il ponte nella notte di Torino. E per le strade non c'era suono che potesse interrompere quel silenzio. Non c'era odore, a parte quello che si respira a Torino, che io stesso respiro ogni giorno, ma che in quella notte era più tenue.
Ebbene sì: guardavo quelle acque torbide, perché volevo buttarmici dentro, perché odiavo la mia vita. Una vita quotidiana, stupida, fatta di casa e di lavoro, di vestiti puliti che a fine giornata s'impregnano di sudore e puzzano.
Tutt'ora mentre scrivo codeste parole, mi sento assai stupido per i pensieri che avevo in mente, ma non è la causa dei miei pensieri a essere fonte eterna di incubi, ma ben altro; che forse sbaglio a scrivere, perché voi che leggete, potreste esserne attaccati. Ma si tratta di un bisogno essenziale per la mia salute, che solo strisciando la penna su carta può, forse, attenuare il mio dolore.
Misi le mani sul cornicione del ponte, pronto ad alzarmi su di esso e posare i piedi sul cemento e sentire per un ultima volta l'aria baciare il mio viso. Ma venni trattenuto dal farlo. Non per paura, o per ripensamento alla mia decisione, ma per ben altro.
La Gran Madre si fece sentire con la sua presenza e io la osservai per un attimo, come se ella mi volesse parlare. E fu li che abbassai lo sguardo, vedendo per prima la luce gialla intermittente del semaforo e infine un uomo venirmi in contro. Costui che ho ancora paura a citare, aveva un ghigno disegnato sul suo viso.
Era vestito con i mie stessi vestiti, è sembrava quasi me. Anche se era vecchio e le rughe erano state scalfitte sul suo viso -che pareva il mio- dal tempo. I suoi fini capelli bianchi svolazzavano, a causa di un vento freddo che si era appena messo a spirare da oltre piazza Vittorio Veneto.
L'uomo, o io, si avvicinò verso me con quel ghigno sulla faccia. E non so spiegare quanto tempo ci mise, so solo dire che sembrava fosse comparso dal nulla: dalle ombre di una città spenta. Ancora ho paura, per ciò che sto per narrarvi.
L'uomo era davanti a me e mi guardava con curiosità. Decisi di togliere le mani dal cornicione perché non intuisse a ciò che volevo fare, anche se tutt'ora, mentre scrivo, mi rendo conto che lui sapeva benissimo cosa volevo fare.
<<chi sei?>> gli chiedo, non come se mi rivolgessi a un semplice uomo, ma ad un essere superiore.
Esso mi guarda e allarga ancora di più il suo ghigno e le sue pupille, di ghiaccio, mi fissano.
<<se te lo dico mi prometti di non dirlo a nessuno.>> mi disse.
Io rimasi senza parole a tale risposta e dentro di me nasceva quella strana sensazione, che si ha quando non si conosce un fenomeno, quando si è davanti all'ignoto.
<<la gente canta e prega contro di me, ma loro non hanno mai pensato che io ero tra di loro mentre cantavano e pregavano.>> Ad un certo punto l'uomo con la mia stessa faccia, solo più vecchia e raggrinzita e con la mia stessa altezza e costituzione cominciò a pregare.
<<Rinunziate al peccato, per vivere nella libertà dei figli di Dio? Rinunzio. Rinunziate alle seduzioni del male, per non lasciarvi dominare dal peccato? Rinunzio.>>
La mia estraneità alla situazione fu tale da farmi indietreggiare di qualche passo, ma l'uomo mi seguì col suo ghigno diabolico in faccia.
<<te le ricordi queste parole, vero?>>
Nella mia mente si balenò un ricordo, che ancora ora mi stupisco nel raccontare. Vidi due mani che mi tenevano e sentivo l'acqua scrosciare su di me. Sentì quel torpore per il freddo dell'acqua.
Ad un certo punto, la mia confusione fu tale da farmi innescare una serie di domande: chi sei? Che cosa vuoi? Cosa succede?
Ci fu un soffio di vento, e la possente stretta dell'uomo sul mio collo. Mi fece piegare, facendomi sbattere le scapole sul cornicione. Sentii i mie capelli volare nel vuoto e udii lo scorrere del Po.
<<quando verrai giù, saremmo in tanti ad aspettarti e ci divertiremo tutti quanti con la tua anima...>>
A tali parole, il mio cuore prese un battito simile allo sbattere d'ali di una farfalla e cominciai a piangere, versando le lacrime giù nel Po.
<<prima ti mangeremo, poi ti tortureremo e faremo in mille pezzettini e ricominceremo da capo per sempre capito povero stolto per sempre, per sempre e tu pregherai tra le fiamme e il buio che tutto questo sia un terribile incubo e che verrà la fine, ma sappi che durerà per sempre, per sempre, per sempre!>>
Cominciai piangere come fossi un neonato, emettendo parole strozzate dal pianto che stento a ricordare, ma che per intuizione direi che fossero di pietà.
La presa attorno al mio collo si allentò fino a scomparire e l'uomo si allontanò con l'indice puntato verso di me, come se fosse inspirato dal luogo oscuro da cui era venuto.
<<per sempre, per sempre, per sempre!>>
Le urla scomparvero all'improvviso e io mi trovai in ginocchio sul marciapiede a versare le mie lacrime in strada.
Il ricordo, o l'incubo che ebbi finisse lì. Posso dire solo che quest'evento fu talmente realistico da non farmi più riuscire a dormire la notte e da temere il buio, perché avevo paura che una mano sbucasse dal nulla e mi trascinasse nella sua casa.
Fui tanto vicino alla morte quella notte, mai come in tutta la mia vita. Spero che questo breve racconto, possa in voi non aver suscitato paura quanta ne ebbi io quella notte e spero anche che la mia salute possa ricavare qualche beneficio da questa mia confessione.
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- lettura piacevolmente scorrevole ma non poi così spaventosa come temuto dall'autore... in fondo, c'è il lieto fine...
Complimenti e buona Pasqua
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