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IL PROGETTO - stralcio dal libro edito
Stralcio dal libro edito di D. Dignola IL PROGETTO
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Il treno serpeggiava veloce tra le tonde colline di Toscana, geometricamente disegnate sul terreno, nei colori del giallo, e del verde delle colture, tra i bruni del maggese.
Attraverso il finestrino Violante aveva ammirato i paesi medievali arroccati a picco, con le mura e le torri che si ergevano rossastre sullo sfondo azzurro del cielo.
Stava andando a Bologna presso una cugina di suo padre: la Marchesa Giulia Chiari Caffarelli, moglie di Marcello e con un figlio di nome Gianluca.
Era sola ed alla stazione di Bologna qualcuno le sarebbe venuto incontro; il segno di riconoscimento era il giornale "Il Resto del Carlino" nella mano destra.
Vi era arrivata nella tarda mattinata ed ancor prima di scendere, aveva guardato tra la folla e lo aveva visto; aveva capito che era Marcello. Lo aveva riconosciuto perché era singolarmente somigliante a suo padre; eccetto i capelli che aveva scuri, il naso e la bocca erano di forte richiamo ai lineamenti paterni. Stessa statura, stesso fisico longilineo.
Improvvisamente aveva provato una sensazione di tenerezza, di calore, come un approdo sicuro; era un familiare e la somiglianza con suo padre glielo aveva immediatamente avvicinato al cuore.
L'idea d'avere in Italia un'intera famiglia di parenti le aveva rinvigorito l'anima, le aveva fatto sentire, nei tempi più disorientati della sua vita, la presenza di affetti protettivi, un alveo di vita dove le persone le erano simili, e ciò le aveva dato una gioia profonda.
Suo padre qualche volta le aveva parlato di Giulia e di Marcello; glieli aveva descritti così come egli li ricordava dopo che da giovane se ne era andato da Parma per andare in Sicilia. Al matrimonio tutti i cugini erano venuti a partecipare alla cerimonia, avevano voluto esser presenti nel giorno felice di quel cugino che da anni li aveva lasciati. Negli albi di fotografie, il padre li aveva mostrati dicendo il nome di ognuno.
I rapporti, sebbene sporadici, si erano tuttavia mantenuti affettuosi ed ora che la famiglia aveva ricevuto un forte scossone, Michele aveva telefonato dall'India e aveva pregato i cugini di chiamare i suoi figli che si trovavano a Roma,
Marcello non se lo era fatto ripetere; aveva chiamato Roma ed aveva invitato i tre ragazzi. Ma soltanto Violante era potuta andare perché Ubaldo era già impegnato con il lavoro di tassista e Rocco era voluto rimanere per riposarsi e per non lasciare solo l'amico.
Dopo che fu scesa dal treno Violante gli si era avvicinata ed egli l'aveva guardata, più ammirato per la sua bellezza che non per l'affetto teorico che aveva per lei. Sapeva dei disordini che erano avvenuti in Libia ma non sapeva nulla della casa perduta e del tradimento di tutto il personale.
Con una inattesa decisione, aveva preso Violante per il braccio e le aveva stampato un bacio sulla fronte dicendole che era lietissimo che fosse finalmente arrivata a Bologna.
"Il treno ha ritardato ed io sono andato a prenderti delle rose; ti piacciono gialle?"
"Grazie, mi fanno grande piacere" aveva risposto sorridendo la giovane. Non aveva mai ricevuto dei fiori in omaggio; a casa sua i fiori del giardino facevano desistere da qualunque iniziativa del genere.
Vi aveva affondato il volto per sentirne il profumo ed era tornata a sorridergli.
Si erano avviati verso casa percorrendo una via che passava nel centro della città e Violante aveva potuto ammirare il colore rosso dei palazzi, i suoi loggiati e le due torri che ella si era affrettata a giudicare sorridendo: "sghembe ma molto decorative".
Prima d'arrivare si erano fermati a comperare dei dolci in una grande pasticceria e Marcello aveva insistito nel guardarla, ricambiando il sorriso.
Violante non era abituata a sentirsi guardare; gli occhi dei ragazzi che era solita frequentare non indugiavano mai sulla sua persona e se qualche volta era capitato, il ragazzo se ne era sempre scusato.
Quel giorno aveva Indossato un abito di seta celeste con una grande rouche che faceva da corolla intorno alla scollatura. Aveva portato una piccola valigia nella quale stava tutto il necessario per un soggiorno di almeno una settimana.
Marcello le aveva nel frattempo, raccontato della sua famiglia, del suo lavoro e del figlio che era piuttosto birbante ma che faceva bene il suo dovere.
La ragazza non aveva capito il significato della parola birbante, detta da un padre, ma non fece domande ed a sua volta aveva detto al cugino che aveva molte cose da dire e che avrebbe preferito raccontare gli avvenimenti tragici degli ultimi tempi, con la famiglia tutta presente.
"Certamente" aveva risposto Marcello ed il suo persistente sorriso, d'improvviso, era sparito.
Erano intanto arrivati nei pressi della casa; Marcello aveva guidato l'auto lungo una muraglia alta e grigia, alla fine della quale si ergeva il grande cancello di ferro nero che era aperto ed egli, senza cambiare velocità, vi era subito entrato.
La casa era molto antica, di colore biancastro, con le finestre verdi ed un grande terrazzo, sostenuto da una serie di colonne e che s'apriva a metà e lungo tutta la facciata.
Una folta ed allineata vite canadese ricopriva le pareti attorno al terrazzo ornandolo di un colore verde vivo, già punteggiato di rosso. Sotto il terrazzo che faceva da portico, s'apriva il portone d'ingresso.
Erano entrati in una grande sala; nella penombra, stava seduta la marchesa Giulia Chiari Caffarelli, che attendeva la giovane cugina con ansia ed anche con curiosità.
Non l'aveva mai vista se non in fotografia quando era bambina.
Si era alzata per andarle incontro ed aveva riconosciuto nel suo volto i tratti familiari: gli occhi uguali a quelli di Michele, la bocca ed i capelli di sua madre.
L'aveva abbracciata e si era commossa fino alle lacrime. Era emozionata e contenta e glielo aveva detto, aggiungendo anche che sarebbe stata molto lieta se si fosse fermata qualche tempo.
"Volentieri" rispose Violante, "però di tempo ne ho poco perché tra qualche settimana inizieranno le lezioni in Università.
Giulia l'aveva poi mandata nella camera che era stata preparata per lei al primo piano del palazzo. Una donna dai capelli scuri e raccolti a chignon, le aveva preso la valigia e le aveva fatto strada sulla scala.
"Torna giù subito perché voglio farti mille domande" le aveva gridato Giulia, quando già erano al piano di sopra.
"Si, il tempo di farmi una doccia e sono subito da te".
Violante aveva voluto indossare l'abito rosso che aveva comperato a Roma e quando era entrata nella grande sala, i cugini non erano soli. Un giovane alto i cui occhi, nella penombra, parevano due lampade accese, le fu presentato: "Questo è Gianluca!"
Violante gli si era avvicinata, gli aveva stretto la mano e si era voltata subito verso Giulia per iniziare la conversazione con lei.
Ma Gianluca non distoglieva lo sguardo da quella lontana cugina che non aveva mai conosciuto.
"Vuoi bere Violante?" le chiese Marcello, vado a prendere delle bibite.
"Grazie si, ho proprio sete!" aveva risposto la ragazza.
Gianluca le si era seduto accanto. Indossava una camicia di lino azzurro che portava disinvoltamente aperta sul davanti e che mostrava l'ampio petto i cui muscoli erano abbronzati e lucidi.
Violante non era riuscita a distogliere gli occhi, era rimasta a guardare fissamente il suo fisico vigoroso.
Si era disposta ad iniziare il racconto delle vicende di casa sua quando Marcello entrò portando il vassoio con i bicchieri riempiti di bibite colorate. Gianluca le si era avvicinato all'orecchio e le aveva suggerito sottovoce di scegliere la cedrata. Ella lo aveva assecondato ed aveva capito che il breve contatto con Gianluca l'aveva fatta vibrare. Si era scostata ed aveva bevuto la cedrata dissetandosi e, intimamente era contenta perché l'arrivo delle bibite le avevano fatto rimandare per qualche momento il suo racconto. Non aveva più tanta voglia di dire i fattacci accaduti a casa sua; voleva distrarsi e capiva che lì, in quella casa, c'era qualcosa che le piaceva. Qualcosa che le teneva gli occhi bassi; sentiva l'odore del giovane che aveva vicinissimo e provava disagio. Non riuscì ad iniziare il discorso che altre volte le era uscito fluente, sugli avvenimenti accaduti in Libia. Si obbligò a guardare altrove e ad ignorare quella persona che, in pochi istanti, le aveva causato una serie di emozioni. Le idee le si erano intrecciate e confuse e quanto più se ne rendeva conto, tanto più avrebbe voluto rincantucciarsi in un angolo buio della sala, avrebbe voluto scomparire.
Si sentiva attratta, irresistibilmente attratta da quella presenza; era tutta protesa verso quel qualcosa di nuovo che elettrizzava l'aria. Gli occhi, le mani, tutto il suo essere era spinto verso di lui. Non che Violante non conoscesse la vita; aveva visto molte amiche innamorate ed aveva ascoltato le loro emozioni con entusiasmo e con sincero interesse. A lei però non era mai capitato prima, era la prima volta che provava quell'attrazione incontrollabile. La cosa che la disorientava era che ciò le stava accadendo, avveniva in quel posto mai visto prima, sconosciuto. Non ci voleva credere che stesse per innamorarsi; ma di chi? Di quel cugino di secondo grado, che non aveva mai prima visto e di cui non sapeva quasi nulla; non era preparata ad una esperienza così improvvisa, rifiutava tutto l'insieme di quegli accadimenti nel suo animo e nei suoi pensieri.
Era attraente, ma quanti giovani belli ed attraenti aveva conosciuto? Anche Ubaldo che era sicuramente più bello di lui, non le aveva mai causato nulla di simile. Allora perché quel magnetismo? Doveva assolutamente stare attenta ed evitare di farsi travolgere.
Si era rivolta infine alla cugina, la voleva conoscere; quasi d'impulso le si era rivolta con mille domande provocando altrettante risposte e Violante fu lieta di poter vuotare l'anima in famiglia, quella famiglia nelle cui vene scorreva il suo stesso sangue.
Aveva catturato l'attenzione di tutti quando aveva iniziato il racconto degli avvenimenti.
Le si erano avvicinati, se ne stavano immobili con gli occhi sgranati ed il fiato sospeso; non potevano credere alle loro orecchie. Al termine della lunga e dettagliata relazione, tutti l'avevano abbracciata con impeto e Gianluca, nascondendo il capo tra i suoi capelli, l'aveva tenuta stretta a sé, più del dovuto.
Violante si era sentita confortata, amata, dolcemente capita ed aveva il cuore stranamente felice.
"Grazie", aveva detto tra le lacrime.
Si era accorta, per la prima volta nella sua vita, di doversi affidare, che poteva concedersi d'esser debole e bisognosa di sostegno.
Dov'erano finite la sua sicurezza, la sua determinazione? Non capiva più ciò che fosse bene per lei; una parte di sé le manteneva salda quella prudenza che nella vita le era servita per riuscire a tenere a debita distanza ogni pericolo; ma nel profondo del suo essere ritrovava tutta la fragilità dell'infanzia, il bisogno di coccole dell'infanzia, il desiderio estremo di sentirsi protetta.
L'assenza dei genitori aveva sì fortificato il suo carattere ma le aveva tolto tutta la tenerezza, le consolazioni, la tranquillità assoluta che soltanto il genitore sa dare.
Non avrebbe mai voluto interrompere quel momento magico che la teneva incollata alla poltrona, ormai silenziosa.
Ascoltò Gianluca che la informava dei suoi studi in Scienze Economiche che stavano per essere ultimati e del tempo in cui si dedicava al lavoro del padre, con la prospettiva di prossimi grandi miglioramenti.
Marcello possedeva una industria tessile, con laboratori di tessitura e di confezione, I loro magazzini erano grandissimi e la loro merce era apprezzata in tutto il mondo.
Gianluca intendeva snellire l'azienda con strutture nuove e nuovi programmi in modo da ridurne fortemente le spese e qualificando, ad un tempo, il prodotto.
Propose a Violante una visita nei laboratori e la ragazza accettò con entusiasmo.
Passando attraverso la sala erano usciti nella luce accecante del pomeriggio estivo, lungo e caldissimo. Avevano percorso un vialetto fiancheggiato da siepi di mirto e che finiva sul retro dell'edificio aziendale,
Gianluca era entrato sicuro in un grandissimo laboratorio dove, oltre un centinaio di lavoranti, stavano curve sulla macchina da cucire,
Violante si era guardata attorno mostrando il suo stupore; non aveva mai visto e pensato a questa realtà, alla gente che lavora nelle fabbriche. Era vissuta in un mondo diverso, frequentato soltanto da studenti e da adulti con mansioni di carattere medico. Gli unici lavoranti che conosceva erano i suoi camerieri e di essi pensava distrattamente fosse costituito gran parte del mondo. Uno stuolo di servitori per pochi padroni. I genitori di Ubaldo erano per lei soltanto i genitori di Ubaldo e non si era mai soffermata sul loro lavoro, non aveva mai capito quanto fosse impegnativo dietro una parvenza fatta di gesti ossequiosi e sorrisi.
Tutta l'ossatura produttiva della società le era sconosciuta e ciò la fece riflettere. Non sapeva quasi nulla, era acerba ed inesperta, infantile e petulante come un'adolescente. Sorrise di sé senza darsi pensiero. Accanto aveva un uomo ed essa lo vedeva grande, abile, forte e ciò le dava profonda soddisfazione e sicurezza.
Gianluca l'aveva portata nel grande magazzino e l'aveva invitata a scegliersi un taglio di seta per farle confezionare subito un abito nuovo. Violante aveva tentato di opporsi poiché nella sua valigetta vi erano ben cinque abiti di quella impalpabile seta, dai colori squillanti e di foggia indiana che sua madre le aveva portato dai viaggi di ritorno. Gianluca obiettò con garbo ma anche con decisione:
"Non sono adatti cara, non sono d'ambiente, non sono fashion, non sono moda!" Ella lo aveva guardato con occhi sgranati ma un poco si era sentita punta da quelle parole; Tuttavia accettò il dono e mostrò anche la sua gratitudine.
Il giovane aveva dato disposizioni affinché le venisse confezionato entro l'indomani sera, un abito da festa, di linea scivolata e lungo fino alle caviglie, di colore rosso rubino, per il ricevimento che avrebbero dato in suo onore.
"Vorrei che i miei genitori fossero qui per essere confortati come lo sono io; sono davvero felice d'esser venuta, d'avervi conosciuti!"
Gianluca le aveva preso la mano e gliel'aveva baciata in silenzio.
Rientrando nella casa non avevano trovato nessuno nella sala; Violante chiese a Gianluca di potersi ritirare in camera sua perché era stanca, In realtà ella voleva allontanarsi da lui; non sopportava la sua presenza, il suo sguardo e soprattutto, l'odore fresco ed intenso che emanava dal suo corpo che le dava le vertigini.
Gianluca si era accostato per darle un bacio ma ella si era ritratta ed era corsa sulla scala.
Era entrata nella sua stanza col cuore che le batteva violentemente nel petto. Si era spogliata velocemente per rifugiarsi sotto le coltri e per cercare di addormentarsi.
Tra il fruscio delle coltri, aveva percepito un lieve bussare alla porta e, sebbene si fosse chiusa dentro a chiave, si vergognò d'essere nuda intuendo che fosse Gianluca. Le si era affacciata alla mente anche l'ipotesi che potesse essere Giulia ma ammise a sé stessa che sperava fortemente di sbagliarsi.
Subito non rispose. Risentì chiaramente il toc all'uscio ed allora gridò: "Vattene Gianluca, non posso aprire la porta, vattene ti prego!"
Aveva visto che la maniglia era scesa e in un baleno ricordò di non aver affatto chiuso la porta con la chiave. Tirò la coltre fin sopra il capo e rimase nascosta tra le lenzuola. Non aveva visto che Gianluca era entrato, non lo aveva visto spogliarsi e neppure che era andato alla finestra a chiudere gli scuri. Sentì soltanto la coltre che si sollevava ed il corpo di lui, possente che la avvinghiava con una forza che ella non seppe fronteggiare.
Le erano venute meno tutte le paure, le erano ceduti tutti i freni inibitori e la passione l'aveva travolta dandole una felicità che mai aveva immaginato potesse esistere.
Gianluca le stava mormorando le più belle parole d'amore, la ricopriva di baci e le diceva che, dal momento in cui l'aveva vista, aveva avuto il desiderio di averla per sé, tutta per sé e per sempre.
Le sussurrava all'orecchio di perdonarlo per aver deciso da solo ma che sperava di ricevere il suo si. Aveva aggiunto che si era fatto trascinare dal desiderio per il timore di perderla. Voleva vincolarla a sé possedendola subito in modo da non lasciarle il tempo per i ripensamenti,
"Questo non è giusto" gli disse Violante senza diminuire il suo sorriso che in quel momento era splendido.
"Avresti dovuto chiedere il mio parere visto che si tratta di una decisione addirittura per la vita".
"Ti prego dimmi di sì, Violante, ti prego... ti prego...!"
Ella non aveva né il tempo né la voglia di resistergli. Quella passione l'aveva stregata ma le stava dando una gioia infinita che essa stessa non voleva turbare neppure con un pensiero che non fosse positivo. Capiva tra sé e sé che era felice e ciò non poteva non essere buono per la sua vita.
Erano rimasti insieme nel letto a riposare per qualche ora, Violante s'era addormentata ed aveva fatto un sonno profondo e senza sogni. Al risveglio, il volto intorpidito di Gianluca aderiva al suo sorridente. Gli diede un bacio lungo ed appassionato, lo accarezzò e gli disse:
"Amore mio, è ora che ci rivestiamo e che ci facciamo trovare pronti per l'ora di cena."
"Si rispose Gianluca, sei la mia padrona; comanda ed io ti obbedirò!"
Quelle parole, come un fulmine a cielo sereno, le avevano riportato negli occhi il volto di Ubaldo. Si sentì stranamente a disagio, come una piccola ferita nel petto; tuttavia aveva continuato a sorridere alzandosi in piedi. Gianluca la stava guardando con libertà ed ammirava il corpo di lei che s'allontanava snello e roseo verso la stanza da bagno.
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1 recensioni:
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- Ho speso un po' del mio tempo scorrendo uno straordinario racconto... Lieta domenica.
- Molto bello Verbena.. letto con piacere.. scorre molto bene.. per il Web.. è un po' troppo lungo.. ed è solo la prima parte... per domani il seguito..

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