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Il Progetto - ultimo stralcio
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Erano andati con una vettura guidata dagli accompagnatori, in tutti i luoghi della città e che la dottoressa Alessandrini aveva segnato sulla mappa. Ad un certo punto Violante era voluta scendere dalla vettura per camminare a piedi.
Avevano camminato per ore guardando ed ammirando la bellezza dolce dei luoghi, i colori vivaci della gente e quelli luminosi dei grandi palazzi.
Erano passati nelle vie strette e povere dove gli odori delle sementerie erano forti ed inebrianti e le botteghe degli artigiani suscitavano un interesse del tutto particolare per la qualità e la lavorazione di prodotti assolutamente sconosciuti,
Nugoli d'insetti volteggiavano nell'aria, inebriati anch'essi dai profumi che emanavano dai vassoi dei pasticceri e dei venditori di semi.
I dolci esposti in grande quantità erano molto allettanti ma poiché essi non riuscivano a riconoscere neppure uno degli ingredienti: perché il miele non era miele, il cioccolato non era cioccolato, le mandorle erano il seme di frutti sconosciuti, ecc. avevano deciso di non mangiarne.
Si erano introdotti in una strada larga dove la gente si era assiepata attorno ad un mangiatore di fuoco e, poco distante vi era il fachiro che se ne stava adagiato su una stuoia dalla quale spuntavano, a punte in su, conficcati centinaia di chiodi.
Un profumo intensissimo di fiori bianchi che proveniva dalla siepe oltre la quale scorreva il fiume, aveva dato loro un senso di stordimento. Avevano deciso allora di allontanarsi e di dirigersi verso il centro della città.
I due accompagnatori stavano alle calcagna e non li perdevano di vista neppure un momento e quando essi si fermarono presso un povero essere che se ne stava sdraiato su una panchina, con il busto rinsecchito, le gambe legnose e semi-sollevate e con il braccio sul volto, avevano fatto capire che sarebbe stato opportuno che proseguissero il loro cammino senza occuparsene.
Ma qualcosa aveva indotto Violante a fermarsi. Si era avvicinata alla panchina ed aveva guardato quel capo ricoperto di riccioli neri che le aveva suscitato sgomento. Osando, gli aveva preso la mano e gliel'aveva scostata, Un urlo le era uscito dalle labbra, incontrollato, veemente: "Ubaldo!!!", quest'uomo è Ubaldo, Quest'uomo è morto!!! Quell'uomo era Ubaldo! Quell'uomo era morto.
Ubaldo era morto! Era un povero cadavere, fra i tanti, lasciati morire ai margini di una società evoluta, saggia, ricca di tradizioni spirituali.
Nel ventre di Violante le viscere le si erano fatte ganglio ed il respiro era sembrato cessarle. Era caduta in deliquio per alcuni istanti; poi, con l'aiuto dei due accompagnatori, si era ripresa ed aveva visto il marito chino su di lei con il volto contratto.
Non aveva mostrato alcuna disperazione, non si era incolpata, Si era preoccupata soltanto di provvedere con grande attenzione a tutto ciò che era inerente all'iter di controllo e di trasferimento della salma. Non era cosa semplice e le pratiche durarono circa una settimana.
Non aveva pensato più a sé, al proprio bisogno di distrazione, anzi! Si era accanita in una parvenza di quiete mentre il suo cuore era come pietrificato come non fosse accaduto nulla di drammatico, cosa che aveva fatto penare Gianluca, ancor più di un qualunque atteggiamento palesemente addolorato.
Ella telefonava, domandava, dava disposizioni.
Aveva avvertito in Italia i suoi genitori e Rocco e volle telefonare da Bombay anche a Tripoli, per poter dire di persona l'accaduto ai genitori di Ubaldo.
Distribuiva la notizia della tragedia con determinazione, nel cuore di tutti coloro che lo avevano amato, che lo avevano fatto soffrire, che lo avevano abbandonato e lasciato partire per andare a morire solo, in quel paese lontano dove aveva riposto, per anni, tutti i suoi sogni.
Non lo avrebbe rimandato in Patria; un rapido pensiero l'aveva indotta a decidere con determinazione che Ubaldo sarebbe rimasto con lei. Apparteneva più a lei che ai suoi genitori od altri.
Aveva avuto l'ardire di domandare che la salma fosse tumulata nel cimitero di Bologna, affinché essa potesse prendersi cura della sepoltura, delle esequie ed anche per potersi recare a pregare, ogni volta che lo avesse voluto, sulle spoglie di colui che l'aveva sempre amata.
L'opposizione materna era stata dura e prolungata; Violante s'era permessa d'insistere ed alla fine ebbe buon gioco lasciando trapelare dalle parole, con velata cattiveria, il sottile rimprovero di chi vuol ricordare quanto non fosse stato amato Ubaldo quando il suo corpo era vivo e con tanta facilità lo si era accantonato. Ora era tardi e persino inutile volergli stare vicino.
In cuor suo soffriva un dolore che non trovava parole adeguate per potersi esternare.
Riandava col pensiero all'infanzia, ai mille incontri sulla riva del mare, alle mille occasioni vissute con i compagni di scuola, alle migliaia di parole e risate godute con la semplicità del cuore giovane che guarda alla vita in una sola direzione sorretto dalla speranza positiva che è sempre certezza del bene futuro. Quel tempo era ancora tanto vicino; non era "ieri" ma poteva essere "l'altro ieri"!
Non aveva voluto misurare, neppure con il pensiero, la delusione vissuta da Ubaldo il giorno in cui era andato a Bologna a cedere metà del suo cuore per farlo frantumare dalla sorte avversa.
Violante aveva chiesto a Gianluca di aiutarla e lo aveva pregato di saperla comprendere nel momento in cui, con la morte di Ubaldo, si era cancellata buona parte della sua vita.
La felicità attuale aveva un faro luminoso: la loro bimba che a casa li aspettava.
Gianluca temeva Ubaldo ancor più ora che era morto. Non aveva preteso di sentire dalle parole di sua moglie che fosse ancora e soltanto lui a riempirle il cuore; aveva accettato di sentirsi illuminare, insieme con lei, dalla luce di quel faro che li avrebbe accomunati per tutta la vita, ed ebbe la forza d'attendere.
L'amore, il loro amore, aveva assunto una fisionomia nuova, principalmente orientato al compito più impegnativo degli sposi: quello di sapersi formare nella maternità e nella paternità. Ne furono consapevoli e rincuorati..
Il ritorno in Italia fu tristissimo ma senza problemi.
Quando entrò nella sua casa, Violante aveva sentito l'animo rischiarato guardando il sorriso della sua piccola che, in braccio alla nonna, le tendeva le mani.
Gianluca le era accanto ed aveva abbracciato entrambe, volendo far sentire il proprio amore che iniziava ad essere ampio, poiché qualcosa aveva spaccato il suo egocentrismo, la sua misura, l'esiguità e la chiusura che fino a quel momento lo avevano caratterizzato.
Violante lo aveva intuito e gli aveva volto gli occhi carichi di lacrime ma anche colmi di quell'amore sincero che era il motivo assolutamente vero della sua unione con lui.
" La vita non è un nostro progetto, un Altro la conduce e, al di là degli avvenimenti, possiamo intendere che la nostra buona volontà a volte va a coincidere con la volontà di Quell'Altro che ci ama, che ci guida e che sa come ottenere da noi ciò che Gli occorre per il bene dell'intera umanità.
FINE
Dorella Dignola
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