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Una gita in barca
Avevo preparato tutto, il cestino ricolmo di frutta, il capello per il sole e tanta acqua... non sapevo quanta ne sarebbe servita. Ero felice, ma l'idea di stare tutto il giorno in barca mi dava una strana sensazione...
"Facciamo una gita in barca?" aveva detto Armando, un nostro amico di Siena che per cinque mesi all'anno si trasferiva al mare in Sardegna e viveva a due passi da casa. Armando era avanti negli anni, qualcuno avrebbe anche potuto dire che era anziano, ma era forte e dinamico come un vero lupo di mare e l'età non contava, nessuno avrebbe potuto dirgli, guardandolo in viso, quanti anni avesse veramente. Ogni mattina lo si vedeva in veranda preparare ami e lenze per la pesca e riporre con cura piombi e esche finte, ognuna nella sua nicchia, nel contenitore rosso degli attrezzi della barca. La moglie non lo incoraggiava ad usare la barca; aveva paura che un giorno o l'altro questa sua passione gli avrebbe creato grossi problemi. Lei non lo accompagnava mai, anzi inveiva contro di lui tutte le volte che non era puntuale per il pranzo; a mezzogiorno, infatti, il tavolo era apparecchiato e Armando doveva essere già con le posate in mano se non voleva vedere il broncio della moglie e il suo ammutinamento in cucina. Lui non sapeva cucinare, perciò anche se si trovava in mezzo a un branco di pesci, pronti ad abboccare, tirava i remi in barca e rientrava sempre puntuale all'ora stabilita. Un giorno tra una chiacchierata e un sorso di caffè era nata l'idea di una gita in mare. A dire la verità non adoravo il mare, mi piaceva osservarlo da lontano, godere di quella immensità azzurra, del profumo di salsedine, della candida sabbia, ma appena mi sovveniva il pensiero della sua profondità, del segreto dei suoi abissi, della sua ferocia nell'avviluppare esseri umani, la cosa mi faceva rabbrividire. Mi rasserenava, comunque, il fatto che il nocchiero fosse esperto e conoscesse bene il mare. Cosi, quella mattina, ci alzammo presto e partimmo da casa in tre, io, mio marito e Armando. Ci fermammo sul molo dove era ancorata la barca, con le nostre giacche a vento che ci riparavano dalla brezza marina, a respirare il profumo del mare. La barca venne fatta scivolare con l'abilità dell'esperto e sotto la spinta del potente motore, fendeva l'acqua con la prua e lasciava alle nostre spalle una scia bianca di spuma. Avvertii subito una sensazione di piacere, di quiete avvolgente. La barca s'allontanava velocemente dalla costa di cui intravvedevo il profilo frastagliato da scogli che s'ergevano come vedette, guerrieri armati messi in loco a protezione dagli assalti dei pirati... Che pensiero da libro d'avventura! . La barca navigava sulla distesa grigioverde sotto un cielo azzurro dove passeggiavano ridendo nuvole leggiadre, alcuni gabbiani sorvolavano le imbarcazioni, stridendo e tuffandosi sui pesci che noncuranti del pericolo, s'affacciavano in superficie.. Io mi ero adagiata comodamente sulla poltrona della barca e leggevo un libro all'ombra del mio capello. Eravamo ormai diverse miglia dalla costa quando Armando decise che quel punto era adatto alla pesca e con mio marito iniziarono ad armeggiare con le canne, buttando le lenze e tirandole su velocemente quando questa dava il segnale che il pesce aveva abboccato; il secchio accoglieva nell'acqua salata le povere prede: serrani, un polpo, qualche pesce carabiniere, detto anche donzella, piccole orate... "Una buona frittura!" diceva Armando, mentre rilanciava la lenza in mare. Il sole era caldo e picchiava sulla fronte dei miei compagni di barca, i rivoli di sudore colavano sul loro collo come fili d'oro dipinti sulla pelle. Tentai di dare una mano, ma lo spazio non permetteva di muovermi liberamente e quando si decise che era ora di rientrare, aiutai mio marito a ritirare i secchi, mentre Armando dopo aver risposto le canne nel loro astuccio, si accingeva ad accendere il motore. Una, due, tre volte! ma la barca non si muoveva. . osservai il viso dei due e notai una certa preoccupazione. Come mai il motore non partiva? i due scrutavano, osservavano; controllarono anche il livello del gasolio, pareva che tutto fosse al posto giusto, non s'intravvedeva nessuna alterazione né segnale di guasto. . La chiave venne fatta girare di nuovo, ma non si udì nessun rumore di partenza. Intanto il tempo volava, Armando si mostrava preoccupato per la moglie, mentre mio marito gli chiedeva se avesse un motore di riserva, cosa che tutte le barche hanno. La risposta fu negativa. Che fare? rimase come ultima chance il lancio dei razzi e mentre mio marito scendeva sotto coperta a cercare una sacca che li conteneva, il mare cominciò ad incresparsi... Mantenni per tutto il tempo una certa freddezza, ma ora che il mare iniziava a incresparsi sentivo che la paura mi stava avvolgendo e mentalmente iniziai a pregare.. La barca, nonostante l'ancora, si era spostata e lentamente seguiva la corrente. Da sotto coperta si udì un urlo : " ma dove diavolo sono questi razzi? qui non vedo niente!" Mi venne il sospetto che Armando non li avesse sostituiti dall'ultima volta che aveva fatto le pulizie e aveva buttato via tutte le cose vecchie e inutilizzabili che vi teneva da anni. Cosa si poteva fare, ora senza punti di riferimento? Mio marito provò a chiamare la capitaneria del porto con il cellulare.. ma il cellulare non prendeva. Sperammo che la moglie di Armando avesse dato l'allarme e ci venissero a cercare. . A casa non c'era nessuno e nessuno sapeva della nostra gita in barca. Ci infilammo i salvagenti e cercammo di osservare dove il vento ci trascinava. Io non parlavo, mio marito era inviperito, Armando, poverino era annichilito. Bisognava avere la forza di sopportare, aspettare gli aiuti. Per sopportare bisognava aggrapparsi al tempo che comunque doveva passare.. timidamente offrii ai due dell'acqua che sparì in un secondo. le ore intanto passavano, ma sembravano eterne, martellanti in quell'angolo di cranio dove i pensieri sbattevano prepotentemente. Non mi rendevo conto della nausea, della pelle che bruciava. Mio marito e Armando ogni tanto si guardavano e si sfidavano con gli occhi, io quasi non respiravo sperando di sentire il rumore della motovedetta della capitaneria. . I miei occhi, chissà come, vennero attratti da un pezzo di rete su cui si erano imbrigliate delle alghe, che al sole apparivano come foglie secche imbiancate d'argento e se non fosse stato per il momento cosi tragico, avrei pensato ai coriandoli lanciati per aria a carnevale.. Ma la paura mi riportò alla realtà ed il cuore iniziò ad aumentare il suo ritmo, le mani, ormai in agitazione, lisciavano il salvagente come fossero carezze. "Ci troveranno dissi! " con la voce tesa e lo sguardo come ipnotizzato. E quando ormai le lacrime stavano per sgorgare copiose, sentii mio marito che urlava "Eccola è lei, la motovedetta!" Ci guardammo e i nostri occhi divennero luminosi, sembravano dire: " scampato pericolo!"
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