Dopo la laurea Kim, come molti connazionali, aveva deciso di fare un viaggio in Inghilterra alla ricerca delle sue radici. Era una neozelandese di ventitrè anni, molto bella: alta e proporzionata, aveva i colori chiari del padre nei capelli e negli occhi e una pelle dorata tutto l'anno, ereditata dalla madre che aveva ascendenti maori.
A Londra si fermò quanto bastava per assaporarne l'atmosfera e per riallacciare i rapporti con alcuni parenti semisconosciuti poi, come una rondine, decise di migrare perché attratta dalle meraviglie della vecchia Europa. Parigi, Amsterdam, Berlino, Praga: viaggiava in autostop e si manteneva facendo la sguattera o la cameriera grazie alla conoscenza delle lingue. Era una turista "mordi e fuggi", spendeva i pochi soldi per gli ostelli e i musei, era perennemente affamata ma aveva la forza e l'entusiasmo della gioventù.
Fu a Vienna che conobbe mio fratello Raf. Lui era lì per un importante raduno della Harley-Davidson. I due simpatizzarono: Kim fu affascinata dalla prestanza fisica, dalla simpatia e dall'affabilità di questo bruno centauro italiano ("un metro e novanta... pensa che io gli italiani li immaginavo tutti piccoletti!") e per lui si prese quel che si definisce una bella cotta, ma Raf, reduce da una storia importante finita male, era disponibile solo ed esclusivamente come amico. Le pagò qualche colazione e qualche cena e, quando venne il momento di ripartire, le stampò due bacioni sulle guance e le raccomandò: "Se passi da Roma vieni a salutarmi: mia madre cucina da dio!"
(segue)