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La Parola

Il ronzio degli studenti distratti cessò rapidamente ad un segnale ormai codificato; il professore riordinò i suoi due pesanti volumi l'un sull'altro lungo un lato della cattedra, e allo schiocco delle rigide copertine venute a contatto la lezione era ufficialmente cominciata.
A procedere come al solito, il professore aprì la cartella con il programma per il giorno e ne vagliò silenziosamente i relativi appunti, diligentemente assorto per almeno un paio di minuti.
A parte qualche colpo di tosse sommessa e un discreto fruscio di piedi nell'incrociar le caviglie, la classe intera taceva per rito e si confermava al normale svolgimento.
Il professor Bianco era un tipo taciturno, sì, e spesso non si capiva che aria tirasse, con il suo piglio austero e distaccatamente disgustato, ma operava come un orologio svizzero e i suoi metodi erano tanto prevedibili quanto i Giovedì sul calendario. A lasciargli spazio, senza disturbare le sue procedure monastine, si guadagnava in interrogazioni preparate di concerto e niente fuori programma inconvenienti.
Era la penultima settimana di corso e l'Estate già si sprimacciava melliflua, allungando dita di luce accecante tra le lame grigie delle persiane, ma la disciplina per quest'ora della mattina si manteneva straordinariamente autunnale.
Il professore corrugò la fronte, prese un lento e profondo respiro e continuò a scorrere lo sguardo tra righe apparentemente interminabili, poi come di norma si rivolse a Doviti con un distinto ed educato borbottio, senza levar gli occhi dalla cartella, ripetendo la formula "Tutti presenti, oggi?", alla quale lo studente in fondo all'aula rispose prontamente, da bravo caporale: "Sì, professore. Manca solo Shaki, che ha cambiato corso dalla settimana scorsa."
"... Dalla settimana scorsa," mormorò all'unisono il professore, confermando l'aggiornamento sull'appello. Non si sapeva come Doviti si fosse beccato il compito di far la conta dei presenti per Bianco, ma così fu deciso da quest'ultimo dopo il primo appello in classe.
Doviti era il tipo che ruttava ad arte ed elemosinava palesemente per l'aiuto dei compagni quand'era alla lavagna, ma forse l'arcano Bianco l'aveva inquadrato sin dall'inizio, e investito della responsabilità proprio apposta.
L'insegnante estrasse un foglio dalla cartella, lo pose davanti a sé e incrociò le dita sulla cattedra, osservando un punto sconosciuto sulla finestra nell'angolo.
"In base all'insieme delle opere studiate durante questo semestre possiamo ora cogliere i frutti della nostra ricerca, la quale per sua riconosciuta costituzione s'è rivelata necessariamente approfondita," disse atono, "In accordo con le linee che ci eravamo prefissati, e in tempi produttivi, aggiungerei."
Con un vago sorriso di punteggiatura aprì lo sguardo su vari volti a caso, suscitando in ognuno degli interessati una rapida escursione mentale di nozioni d'ordine, fosse mai avesse deciso di soffermarsi per verificare gli individuali stati di preparazione.

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1 commenti:

  • Ellebi il 12/09/2015 01:23
    Quando non viene la "parola", che è sulla punta della lingua quasi sempre, è una cosa tremenda. Il computer nel cranio ronza, ronza, si riscalda perfino, e la "parola" c'è, è lì da qualche parte, sicuramente, ma non viene, è qualcosa da venir pazzi, appunto. Complimenti per il brano, piuttosto lunghetto, necessariamente però, il finale giustifica l'elaborata costruzione. Un saluto

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