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Buio
Commissariato. Convocazione urgente. Presentarsi il prima possibile. Importanti comunicazioni. Cosa potevano mai volere da me i poliziotti? Da me, tranquilla casalinga vicina agli anta, la cui massima trasgressione è stata fumare un po' di erba ai tempi dell'università. Doveva esserci un errore, si, uno scambio di persona, un caso di omonimia. Dopotutto era comprensibile che gli impavidi paladini dell'ordine e della giustizia fossero alquanto confusi in quel periodo, con quella faccenda del serial killer, con tutta l'attenzione nazionale concentrata in una cittadina nella quale, fino a quel momento, i poliziotti non avevano dovuto fare molto di più che le multe alle auto parcheggiate in doppia fila. Eppure il diavolo sembrava aver scelto quell'ultimo angolo di paradiso come tenuta di caccia, e si stava dando anche parecchio da fare: in poco più di un anno aveva completamente distrutto tre famiglie, madre, padre, figli e nonni, quando ce n'erano. Quello che aveva colpito in quei delitti, oltre naturalmente alla loro particolare efferatezza (le vittime erano state fatte a pezzi con una grossa lama, forse un'ascia o un macete), era quello che il maniaco aveva fatto poi nelle case: abbassava tutte le tapparelle, dalla soffitta alla cantina e rompeva tutte le lampadine presenti nelle abitazioni. Eliminava tutte le possibili fonti di luce all'interno delle case. I rilievi della Polizia avevano assodato senza ombra di dubbio che svolgeva quelle operazioni dopo aver mietuto le sue vittime, e non prima, introducendosi nelle case durante la loro assenza per poi colpirli. Una volta trovò un lucernaio che dava su un sottotetto, naturalmente era privo di tapparelle, ed allora che cosa aveva fatto il mostro? Era sceso in cantina, aveva fatto a pezzi uno scatolone e con il cartone aveva coperto totalmente il vetro zigrinato, perdendo Dio solo sa quanto tempo nell'operazione, quando la cosa più sensata da fare sarebbe stata lasciare la casa al più presto. Il killer sembrava essere ossessionato dalla luce, per questo lo avevano soprannominato l'assassino del buio. Un noto psichiatra criminale aveva azzardato l'ipotesi sconcertante che quello che faceva dopo le uccisioni non facesse parte di un rituale, ma che fosse piuttosto il fine ultimo delle sue azioni; il suo movente, come si dice nei gialli. Era un serial killer di quelli che si definiscono missionari: pensava che il buio fosse il giusto, ed era convinto di fare del bene portando il buio nelle case di quella gente.
Ma non poteva essere questo il motivo della mia convocazione, naturalmente non avevo niente a che fare con quei delitti, né avevo la minima idea di chi potesse essere l'assassino del buio, quell'estemporaneo uomo nero di cui si parla nelle favole che si raccontano ai bambini quando fanno i capricci. Fai il bravo o arriva l'uomo nero... sono sicura che l'equivoco si chiarirà presto e che tornerò subito dal mio amato marito e dai miei figli.
Vedo alcuni poliziotti che parlano fuori della stanza bevendo caffè da dei bicchieri di plastica. Dalle furtive occhiate che mi lanciano attraverso la vetrata capisco che sono io l'oggetto della loro conversazione. Sembrano seri e preoccupati, una strana ansia comincia a pervadermi; non ho niente da nascondere, ma la cronaca è piena di persone innocenti finite in carcere per sbaglio. Sto per alzarmi dalla scrivania per andare a chiedere spiegazioni, ma vedo uno di quei signori che si avvia verso la porta, quindi resto seduta.
"Signora Villi, spiacente di averla fatta aspettare." Dice il poliziotto, ha il peggior riporto che abbia mai visto, quando si china per stringermi la mano le ciocche di capelli che partono da poco sopra l'orecchio gli cadono sul viso e svelano il suo terribile segreto: una pelata che sembra la luna in una notte d'estate. Non aveva avuto l'accortezza di immobilizzarle con una congrua dose di gel. Si affretta a risistemarle al suo posto e si siede imbarazzato, ho l'impulso di ridere, ma il fatto che lui sembra sicuro di chi io sia mi aiuta a resistere a quell'impulso. Apre la cartellina che ha portato e comincia ad esaminare alcuni documenti.
"Senta," Dico timidamente. "io non credo di aver capito il motivo di questa convocazione, non sono nemmeno sicura che io sia chi voi crediate. Dovrei tornare a casa, tra poco mio marito rientrerà da lavoro ed io..."
Il pelato mi guarda sorpreso qualche attimo, poi chiude la cartellina e chiede. "Lei è la signora Patrizia Villi, residente in Via del Tempio 30, sposata con il noto avvocato Antonio Scorza?" Io avevo sperato che tutta quella strana situazione fosse dipesa da uno scambio di nomi, da un errore dei computer, la classica cosa da raccontare agli amici e su cui farsi una risata una volta smaltita la rabbia. Invece avevo appena avuto la certezza del fatto che ero lì perché i poliziotti volevano che fossi lì. Aspetta che io annuisca, sento il cuore che batte all'impazzata nel mio petto, poi da il colpo di grazia alle mie residue speranze di uscire indenne da quella stanza. "Lei è senz'altro al corrente di quello che sta succedendo nella nostra città." Dice. "Del cosiddetto assassino del buio, intendo." Il cuore mi si ferma per un attimo. "I miei bambini..." bofonchio, sento la mia voce, ma essa appare distante alle mie stesse orecchie.
"No... no," Si affretta a dire alzando una mano. "i suoi bambini stanno bene, sono a scuola in questo momento e sappiamo che sua madre andrà a prenderli all'uscita tra poco. Ecco... si tratta di suo marito."
"Gli è successo qualcosa?" Chiedo allarmata. "Si trova in ospedale?"
"No, sta bene e si trova nel suo studio." Risponde il poliziotto in evidente disagio, io serro le labbra e gli faccio capire con lo sguardo che sono stanca di tergiversare e che voglio sapere che cosa sta succedendo, e voglio saperlo subito.
"Alcuni poliziotti stanno andando a prenderlo, tra poco lo porteranno qui." Dice Riporto Ribelle.
"Che cosa è successo? Ha ricevuto delle minacce? Con il mestiere che fa non sarebbe certo strano." Chiedo cercando di tenere a freno la mia fantasia.
"No, niente minacce." Risponde il poliziotto, il riporto gli ricade sul volto quando lui guarda in basso, è evidente che sta cercando il modo di indorare la pillola. Si risistema il ciuffo rivoltoso poi dice d'un fiato. "Abbiamo motivo di credere che suo marito sia l'assassino."
Una scossa gelata mi saetta dal collo alle caviglie, le labbra si schiudono in un simulacro di ghigno nervoso, un riflesso condizionato all'assurdità della frase che ho sentito.
"Ma è pazzesco." Riesco a dire. "Mio marito non farebbe del..."
"Mi dispiace, signora." Dice il poliziotto. "Ma sembra che ci siano già parecchi riscontri. C'è un testimone che ha preso il numero di targa di un'auto che si allontanava dal luogo dell'ultimo delitto. Il numero di targa corrisponde a quello dell'auto di suo marito, così lo abbiamo messo sotto osservazione costante ed abbiamo controllato i suoi spostamenti nelle ore e nei giorni dei delitti precedenti. È risultato che non ha un alibi per nessuno di quei periodi. Poco fa abbiamo ispezionato l'auto ed abbiamo trovato, nascosto sotto uno dei sedili, un grosso macete, sul quale erano presenti residui di sangue umano. Mi dispiace veram..." Comincia a ripetere Riporto Ribelle, in quel momento suona il cellulare che ha alla cintura. "Mi scusi." Dice prima di uscire di nuovo dalla stanza.
Ho la testa che gira vorticosamente, non riesco a credere che io abbia vissuto quasi quindici anni accanto ad un maniaco senza avere il minimo sospetto, una parte di me si ostina a credere che sia tutto un malinteso, o che magari qualche poliziotto ansioso di chiudere il caso abbia messo quell'arma nell'auto di mio marito, non era forse un classico nei film che si vedevano al cinema? Solo che quello non era un film, era la mia vita, e stava per essere sconvolta. Guardo il poliziotto fuori della stanza che parla al cellulare, lui si sente osservato e mi guarda a sua volta, mi rivolge un sorriso che avrebbe dovuto avere la funzione di rassicurarmi, invece mi fa capire che le cose si stanno mettendo veramente male.
Poco dopo torna dentro, si risiede di fronte a me e dice per l'ennesima volta. "Mi dispiace..."
"Non sa dire altro?" Lo interrompo bruscamente, poi soffoco a mala pena un singhiozzo.
"Sembra che suo marito non abbia nemmeno tentato di negare." Dice cupo Riporto Ribelle. "Ha appena ammesso di avere ucciso quelle persone. Anzi è sembrato addirittura orgoglioso di quello che ha fatto, continuava a ripetere che aveva una missione da compiere. Inoltre ha riferito particolari degli omicidi che non avevamo rivelato alla stampa e che quindi solo l'assassino può conoscere."
Questa volta non riesco a rimandare indietro le lacrime, scoppio a piangere come una bambina alla quale la mamma ha negato l'acquisto di un giocattolo tanto desiderato. Il poliziotto attende che mi riprenda un poco poi dice. "Mi disp... è sicura che suo marito non abbia mai fatto o detto niente di sospetto? Voglio dire, non ha notato niente di strano in quello che faceva nell'ultimo anno?"
Io scuoto la testa asciugandomi le lacrime, in realtà mi è appena tornata in mente una strana conversazione avuta con mio marito qualche tempo prima, se non ricordo male proprio poco prima che iniziassero gli omicidi. Non so né come né perché ci ritrovammo a parlare della paura del buio, ricordo che lui disse. "Dicono tutti paura del buio, sarebbe più sensato dire paura della luce. La luce rivela le brutture, il buio le nasconde."
"Credo che il significato di quell'espressione... il motivo per cui il buio fa più paura della luce si spiega con il fatto che con il buio non possiamo vedere quello che si cela nell'ombra. Il non sapere è la cosa più terrificante che possa esserci." Risposi io.
"Non sono d'accordo: il buio da libero sfogo alla nostra immaginazione." Ribatté lui. "Il frutto anche della più pessimistica delle fantasie non potrà mai essere terrorizzante come la realtà nella quale viviamo ogni giorno. Credo che bisognerebbe fare qualcosa affinché la gente rivaluti le virtù del buio." Concluse sorridendo, ma ora, con il senno di poi, ricordo di aver notato una strana luce nei suoi occhi, o meglio... uno strano... buio.
Mi alzo barcollando. "Posso farla accompagnare a casa, se desidera." Dice Riporto Ribelle guardandomi dal basso verso l'alto.
"Non è necessario, grazie." Rispondo asciugandomi ancora le lacrime. "Prenderò un taxi."
Torno a casa, sentendo la porta che si apre i miei bambini, che si trovano nell'altra stanza in compagnia di mia madre, chiedono. "Mamma, dov'è papà? Non è ancora tornato."
Senza rispondere mi guardo attorno nell'appartamento che già mi sembra un posto estraneo. Trovo che ci sia troppa luce. Osservo l'interruttore di fianco allo stipite della porta. Tendo la mano. Lo premo. Ed è buio.
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- Gran maestria in questo racconto dove il non detto fa buio sui fatti.
Fa buio, dico, perchè sono prudente!