L'altra sera mi trovavo attorno al lago. Preferibilmente amo starmene da solo, a casa, a bere birra o a leggere qualcosa d'interessante. Com'è e come non è, l'altra sera ho fatto uno strappo alla regola e mi sono mischiato a quella sporca, dozzinale, incostante carovana di varietà esasperate che è la specie umana.
La specie umana mi disturba. C'è nella natura più profonda della folla come un germe insostenibile che ti risucchia dallo stomaco alle budella: quel germe è la pazzia. Sono pazzi gli uomini quando si mettono in gruppo, sono pazzi e possono combinare grossi guai; da soli, ancora ancora, soprattutto se non li conosci bene, possono serbare una spontaneità che è luce per gli occhi, sangue per lo spirito. Così ci si innamora, alle volte, degli uomini, li si scopre nei loro lati più teneri e affascinanti, ma questi vengono completamente oscurati dalla foga insostenibile del gruppo. Gli eserciti sono condensati di mediocrità che assieme diventa come l'atomica, così i corsi di yoga, le riunioni condominiali, un'uscita tra amici in comitiva. La comitiva è la morte della spontaneità e l'esasperazione della pazzia di vivere.
Comunque mi trovavo attorno al lago. Fumavo una delle mie John Player Special e sorseggiavo una bottiglia di Tennet's. La gente mi veniva addosso. Rideva. Cantava. Clap-clap, sentivi i passi di questa massa informe muoversi all'unisono e pensavi avessero potuto distruggere una montagna intera. La gente si divertiva con poco. C'erano le bancarelle, i canditi, lo zucchero filato. C'erano famiglie i cui genitori gridavano e sbraitavano contro i figli. Grosse signore dai piedi gonfi che si muovevano su degli zoccoli ridicoli; puzzolenti, molle, sudate, con le unghie annerite dalla stupida vecchiaia, le braccia che cascavano a pezzi.
In un angolo, su una panca, da sola, stava una ragazza graziosa. Era triste, lo si vedeva dallo sguardo, e io senza pensarci troppo mi si sono seduto a fianco.
"Ti guardavo" Le ho detto "E mi hai ricordato me, qualche anno fa, quando le cose cominciavano a girare male"
"Girano male si!" Ha risposto lei, riempendosi gli occhi di lacrime.
"Cos'è che non va?"
"È COLPA DI UNO STRONZO. Un grosso sporco maledettissimo stronzo"
"L'amore è una faccenda momentanea. Passa, come tutto passa nella vita"
Alzò gli occhi e mi guardò dritto nei miei.
"Non ti ho mai visto. Non sei di questa zona?"
"Si. Lo sono. È che non esco molto di casa"
"Cosa sei, uno di quelli che odiano gli uomini?"
"Diciamo che non ho nulla cui spartire con la specie umana"
"Mi piaci" Mi disse e lasciò andarsi ad un fugace sorriso sotto i baffi.
Ci spostammo in un lato meno affollato del lago. Parlammo e parlammo. Cristina mi capiva, io sembravo capire lei. Dopo quella volta ci vedemmo altre volte e poi altre volte ancora. Stavo uscendo dal mio torpore, mi stavo aprendo a qualcosa di nuovo.
La folla, le stelle, la notte, tutto dopo di allora mi sembrò diverso.