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La scuola di Piazza della Signoria

Abito in un paese che detesto per lo squallore architettonico e non solo.
Firenze mi manca con le sue belle facciate, la cupola e il campanile di Giotto.
La mia scuola di danza non è più in Piazza della Signoria, nel bel palazzotto color ocra con la colonne appoggiate al primo piano e il mezzo busto marmoreo di non so chi.
Diventeranno tutte appartamenti di lusso le sale dove ho passato quindici anni di esercizi alla sbarra e al centro.
Non riesco più ad immaginare il pianoforte vicino alla finestra, dove sarà finito?
Gli specchi che tanto spudoratamente misuravano i centimetri del mio corpo, dove possono essere? E tutte le ragazze che si affannavano con me ore ed ore, giorni e giorni, anni ed anni e rincorrere un sogno, diventare una danzatrice!
Amavo danzare a piedi nudi, libera dalla tecnica classica, assorbita dai suoni delle percussioni che stordivano un po'la testa ma svegliavano il corpo.
Il cuore negli spogliatoi batteva, per la fatica ed anche per la fretta, ma che assoluta soddisfazione sapere che anche quel giorno ce l'avevo fatta, un altro piccolo passo avanti, una altra conquista per arrivare ad esprimere meglo qualcosa, un giorno, chissà?
Il sentirsi leggera, il riuscire a dire con le membra ed il busto sensazioni nascoste, inafferrabili!
E che amore per il rito della vestizione! C'era poco da vestirsi ma quei gesti, che sempre uguali accompagnavano ogni giorno i preparativi, così metodici, precisi, mi facevano sentire bene con me stessa. Ed ora li ritrovo solo in parte, quando sono nella vasca di un bagno caldo o quando la sera metto il pigiama dopo essermi tolta l'orologio da polso che appoggio sempre lì sul comodino.
I nastri rosa, gli elastici, il raso delle scarpette da punta, i buchi nelle calze smagliate mi consolano con i loro ricordi di cose che hanno significato e che ancora conservo nell'armadio di camera. Un paio di quelle scarpette le ragalai a Salvo, il mio fidanzatino dell'Università che tanto si spaventava quando provavo ala spaccata in camera sua; forse le ha buttate da un pezzo, nel mare di Sicilia, a Letoyanni.
Ora è professore, architetto e un ricordo di una fanatica della danza può solo risultare scomodo, come scomodo è il ricordo che avrà di me.
L'ho lasciato senza che lui me ne avesse dato il permesso. Era così sicuro di dominarmi: o me o la manifestazione, mi diceva ed io sceglievo la manifestazione;anche se non ne ero poi così convinta, la scelta di andarci diventava obbligata quando lui voleva impormi qualcosa.
Circondata da quella grande energia che solo quando si è giovani si possiede, dove i movimenti svelti, armonici flessuosi sembrano possedere una forza che splalanca porte, infrange pareti, sfonda muri, uscivo dalla mia scuola di danza vittoriosa e leggera, tanto da potermi premiare con un budino al riso da Robiglio. Restare magra ma anche riuscire a mangiare qualche dolce era un'impresa possibile. Bruciavo tutto! E mi bruciavo!

 

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