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Il ponte di barche
Non si era pentito della scelta di trasferirsi in campagna, aveva bisogno di riprendersi dopo il brutto incidente. Quella pace, quella solitudine erano quello che serviva, i suoi pensieri però non erano stati avvisati e sembravano intenzionati a rimanere agganciati a quel momento. Una ragazzina sbucata fuori da un vicolo contromano. Una frenata disperata, la corsa inutile all'ospedale, l'incontro con la madre che dopo un attimo di esitazione lo aveva abbracciato piangendo quasi in silenzio. Tutti a ripetergli che non poteva evitare l'impatto, che non aveva nessuna colpa.
Non aveva colpa ma quel sorriso non si sarebbe più acceso.
Le prime settimane aveva cercato la soluzione nella normalità, ufficio, amici, qualche puntata al cimitero dove spesso incontrava Marzia che non gli negava mai un abbraccio, una parola di incoraggiamento. Un comportamento che lo lasciava sconcertato, non riusciva a spiegarsi come una madre a cui ammazzi una figlia di quattordici anni possa preoccuparsi per te, eppure bastava guardarla per capire la sua disperazione.
Una donna coraggiosa, rimasta incinta ai tempi dell'università, aveva cresciuto quella figlia da sola, non aveva mai svelato il nome del padre. Anni difficili in quella comunità bigotta, aveva lottato, non si era arresa.
Si erano conosciuti a un meeting aziendale, per qualche tempo avevano lavorato nella stessa società, un breve periodo, poi lui aveva fatto altre scelte. Non erano mancate le occasioni di frequentarsi, aveva anche pensato di approfondire quel rapporto che anche lei sembrava apprezzare ma, aveva prevalso la paura di farle altro male. Era sempre stato il suo problema quello di pensare, di farsi troppe domande, di restare a guardare la vita scorrere.
Ce l'aveva messa tutta per riprendere a vivere normalmente, aveva intuito subito però che niente sarebbe tornato come prima. Una sera mentre cercava di distrarsi facendo scorrere sul monitor le migliaia di fotografie mai catalogate, ritrovò alcune immagini della vecchia casa dei genitori, rimasta vuota dopo la morte della madre.
Due anni. Erano già trascorsi due anni. Avrebbe dovuto farci un salto, avrebbe dovuto decidere cosa farne, se lo era ripeto spesso ma aveva sempre rinviato. Non era più tornato in quei luoghi. Nell'istante stesso in cui faceva questo pensiero, prese la decisione, si addormentò progettando i particolari. Si svegliò più che mai convinto della scelta, si mise subito al lavoro. Il suo socio tentò di dissuaderlo ma accettò di rilevare le quote della società, anzi sorrise ascoltando la richiesta e la raddoppiò aggiungendo che se avesse cambiato idea il suo posto sarebbe stato disponibile. Mise in vendita l'appartamento, l'agenzia lo avvertì che non era un buon momento per il mercato immobiliare, un locale di duecento mq con entrata indipendente in pieno centro non era facile da piazzare, non al suo valore. Alessandro non aveva bisogno di quel denaro, almeno non subito, si lasciarono con l'impegno di contattarlo solo a vendita avvenuta, non aveva intenzione di farsi coinvolgere nella trattativa. Tre giorni dopo stava già caricando le valigie sulla station wagon calcolando che sarebbero servite circa tre ore per percorrere la distanza che lo separava dal paese.
Il cimitero era deserto, Marzia in piedi davanti a lui che lo ascoltava, non commentò la decisione, rimase immobile a guardarlo mentre si allontanava, lui riuscì a vincere la tentazione di voltarsi. Gli sembrava di rivivere la stessa scena di tanti anni prima, sua madre sulla porta che lo guardava allontanarsi. Nemmeno in quell'occasione si voltò.
Nel tragitto pensò al giorno in cui aveva scelto di andarsene, di abbandonare quei luoghi. La disperazione di sua madre non era bastata a trattenerlo, era uscito senza nemmeno salutarla per timore di cambiare idea. Mancava da quindici anni, con l'eccezione del funerale, e dopo la morte dello zio avvenuta a distanza di pochi mesi da quella della madre, nessuno si era più occupato della casa e della terra che la circondava. Pochi ettari adibiti a pioppeto, a qualche centinaio di metri dal Po.
Cosa troverò? In che condizioni sarà la casa? Riuscirò a scordare quello sguardo?
L'orto era il vanto di Giovanna, la ricordava con il cappello di paglia sotto il sole con la piccola zappa che si muoveva tra i filari di pomodori, melanzane, peperoni, quelli piccoli verdi, lucidissimi, che conservava in piccoli vasetti per essere consumati durante l'inverno. "Vieni Alessandro che ti insegno". Le sarebbe piaciuto che lui si occupasse della piccola proprietà ma non era stata fortunata, diceva sempre sorridendo che aveva preso tutto dal padre che evitava gli attrezzi agricoli quasi fossero portatori di malattie.
Ho un ricordo nitido di mio padre, il suo passo incerto, la politica, il suo lavoro. I suoi lavori... chissà come sarebbe stato il nostro rapporto? Chissà come sarebbe stata la mia vita? Non ho fatto in tempo a scoprirlo. A quattordici anni non puoi dire di vivere il rapporto con i tuoi genitori, a quell'età sono soltanto il tuo riparo sicuro, anche se ne sei consapevole solo molto più tardi.
Si sforzò di tornare alla realtà, strappò un po' di erbacce davanti alla porta e sperò che le chiavi fossero sempre sotto il vaso grande vicino al pozzo.
La proprietà era defilata rispetto al paese, le strade erano quasi deserte, il sole era ancora alto, un magnifico tramonto di fine agosto. La casa aveva bisogno di manutenzione, non sapeva da dove cominciare ma si sarebbe arrangiato, un modo per tenere impegnata la mente. Raggiunse il paese, fece provviste chiedendosi se il vecchio frigorifero funzionasse ancora, un pensiero che scacciò immediatamente.
Tra pochi giorni avrebbe compiuto quarant'anni. Quarant'anni, quasi interamente dedicati al lavoro. A cercare di risposte. Poche frequentazioni, una naturale predisposizione alla solitudine. Le poche volte che pensava al futuro evitava di farsi domande, così da non dover pensare alle risposte, mai però avrebbe immaginato di dover fare i conti con una situazione simile.
I pensieri cattivi non si prendono mai una pausa.
I giorni trascorrevano lenti, perdeva spesso la cognizione del tempo. I lavori di ristrutturazione lo impegnavano e aveva cominciato ad apprezzare i piccoli risultati del suo impegno. Usciva raramente se non per procurarsi l'indispensabile.
Una sera decise di fermarsi a cena alla Trattoria del Castello, scelse un tavolo d'angolo, ordinò tagliolini con gli asparagi selvatici. L'aveva quasi dimenticato, era uno dei suoi piatti preferiti, sua madre andava a raccogliere la sparsina n. 1 vicino alla recinzione del bosco, qualche volta l'accompagnava, saltava la rete e si avventurava in quel labirinto verde, accompagnato dalle sgridate, "Il fantasma di giorno si nasconde nel bosco e aspetta i bambini capricciosi". Quella leggenda più che paura l'aveva sempre rattristato: si narra che Romualdo, il primogenito di Abelardo, Duca D'Este, fosse nato con le sopracciglia unite, all'epoca considerate una maledizione al punto che la levatrice morì di crepacuore durante il parto. Segregato nel castello, fu obbligato a portare una fasciatura che copriva il grave difetto, morì suicida, dopo che, in preda alla disperazione, aveva strangolato una prostituta, colpevole di aver scoperto il suo segreto. Da allora le grida della giovane e il fantasma del nobile si aggirano nelle stanze del maniero.
Romualdo era stato quasi un compagno di giochi.
Una sera stava peggio del solito, di mangiare nemmeno a parlarne, di leggere neppure. Decise di uscire a passeggiare, lo faceva spesso, camminava fin quasi allo svenimento sperando nel sollievo di una notte di sonno. Rientrò qualche ora dopo e rimase sbigottito: Marzia era seduta sulla poltrona di vimini in giardino. Si avvicinò in silenzio, aveva gli occhi chiusi, un'espressione stanca, era sempre bella, ma i segni della sofferenza erano marcati anche se continuava a dimostrare meno dei sui trentacinque anni. Si era appisolata.
Rimase appoggiato al ceppo di fronte a lei e attese in balia di pensieri contrastanti. Era contrariato e al tempo stesso felice di vederla, continuò a fissarla in silenzio.
"Avevo sempre sofferto da sola. Quando è nata Giada mia madre mi ha aiutata, ha cercato di proteggermi, i suoi occhi però erano vuoti, non capiva. Quasi senza accorgermene mi sono costruita un mondo lontano dagli altri. La tua disperazione mi ha spiazzata, come se questa tragedia mi avesse donato qualcuno con cui condividere il mio dolore, la mia solitudine." Aveva iniziato a parlare ad occhi chiusi, non si mosse nemmeno quando ebbe finito. Attese un commento che non arrivò.
"Se vuoi me ne vado subito".
Era arrivata in treno e quando aveva chiesto informazioni, un ragazzo si era offerto di accompagnarla.
"Sei stanca?
"Stanchissima. Non per il viaggio. Non è stato facile decidere di venire qui ma non potevo evitarlo."
La prese per mano, recuperò il trolley, entrarono in casa. Fecero il giro del piano terra, poi salirono le scale e le indicò quella che sarebbe stata la sua stanza.
"Devi accontentarti, non aspettavo visite."
Marzia lo guardò grata, aveva temuto di dover ripartire subito. Durante il viaggio aveva pensato a quel momento, a come l'avrebbe accolta. Più volte fu assalita dalla sensazione di fare qualcosa di sbagliato, non aveva colpe, ma era pur sempre l'uomo che aveva provocato la morte della figlia.
Non aveva mai smesso di pensarci, si era condannata, assolta, maledetto le coincidenze. Sembrava uno scherzo del destino, aveva lottato contro tutti, aveva difeso quella scelta con la solitudine che la morte aveva reso eterna.
Quando scese, lei aveva già fatto il caffè, si scambiarono un sorriso per vincere l'imbarazzo. Mezzogiorno arrivò in fretta, Marzia gli chiese se poteva occuparsi del pranzo. Alessandro rispose con un inchino. Il ghiaccio era rotto.
Ogni tanto una puntata nella cittadina più vicina, supermercato, farmacia, calzolaio.
Il rito del dopo cena, il vecchio dondolo in giardino, un bicchiere di vino, il silenzio fatto di rumori in lontananza, del frinire dei grilli. Il fumo dei zampironi combatteva, con fortune alterne, la loro battaglia con le zanzare che da quelle parti non mancavano nemmeno in autunno avanzato. Al primo sbadiglio salivano le scale, si scambiavano un bacio sulla guancia prima di raggiungere le loro stanze. Una notte le labbra indugiarono, il bacio fu appassionato, lunghissimo, umido. La porta della stanza era aperta, a pochi metri il letto. Alessandro si staccò con dolcezza, le accarezzò i capelli e si allontanò. L'episodio non si era ripetuto e avevano evitato di commentarlo.
Marzia si era rivelata una vera contadina, l'orto abbandonato da anni era resuscitato. Erano bastati pochi cambiamenti per trasformare il patio, la casa insomma sembrava pervasa da una vitalità nuova.
Non seguivano programmi precisi, si buttava lì un'idea e in pochi minuti diventava un programma. Scoprire il territorio era la loro attività preferita. Lunghe scorribande in bicicletta, l'argine del Po regalava scorci di una bellezza indescrivibile. Nonostante settembre stesse finendo, la temperatura era quasi estiva.
La prima volta che Marzia incrociò il ponte di barche che collega il basso ferrarese al veneto, non riusciva a contenere l'entusiasmo. Alessandro l'osservava in silenzio, a volte mal sopportava quella vitalità, sembrava che quella sensazione di benessere lo infastidisse. Una volta era riuscito ad affrontare l'argomento, lei con lo sguardo severo e a voce bassa ma decisa gli rispose che i morti bisognava lasciarli andare. "Non si può andare con loro", aggiunse riprendendo a pedalare.
Appena poteva rivoltava la biblioteca alla ricerca di notizie di quelle terre. Il castello, il bosco, la torre. C'erano edizioni vecchissime della Gerusalemme liberata e altre opere del Tasso. Lei lo chiamava il vecchio Torquato. Qualche volta leggeva a voce alta, intimandomi di prestare attenzione perché poi mi avrebbe interrogato.
Mesola, il Po da lati e l'mar a fronte / e d'intorno le mura e dentro i boschi / e seggi ombrosi e foschi / fanno le tue bellezze altere e conte; / e son opre d'Alfonso, e più non fece / mai la natura e l'arte a far non lece; / ma che la valle sembri un paradiso / la donna il fa che n'ha sentimenti e viso".
Era rimasta colpita da alcune foto in bianco e nero che ritraevano le dune. Un paesaggio inconsueto, piccole colline coperte da una folta vegetazione.
"Le foto non riescono a riprodurre la bellezza selvaggia di quel paesaggio. Magari uno di questi giorni ci facciamo un salto."
"Domani parto, devo tornate al lavoro. Sono state tre settimane difficili perfino da descrivere, purtroppo il tempo è scaduto." La voce di Marzia tradiva un po' di emozione.
Alessandro non tentò nemmeno di nascondere la delusione.
"Tornerai?"
"Questo lo devi decidere tu, sono stata molto bene, non ricordo di essere mai stata così serena". Mentre lei sembrava voler continuare a parlare a lui sfuggì: "Anch'io, sono stato bene".
Marzia lo fissò, "non puoi continuare a vivere sospeso. Niente e nessuno riporterà in vita Giada e..." e dopo una lunga pausa, "nessuno può cambiare il suo passato."
Guardò il treno partire, avrebbe voluto rincorrerla, gridarle di fermarsi ma non ci riuscì. Sapeva che gli sarebbe mancata, quei giorni erano stati un sollievo, aveva imparato a convivere con il dolore. Aveva cominciato ad apprezzare quei luoghi che lo avevano sempre oppresso, la casa da cui era fuggito. Al rientro accese subito il computer, lo faceva raramente solo per controllare la posta, infatti la bustina lampeggiava, tra le tante, individuò subito la mail di Marzia, una foto che lo ritraeva, sul ponte di barche, seduto sulla bicicletta, accompagnata da poche righe: "ti ho rubato i libri del vecchio Torquato, alla prima occasione te li restituirò. Guarda la foto, dovresti essere sempre così". Istintivamente guardò l'immagine, stava ridendo, la fotografia era mossa ma trasmetteva un'energia a cui non era più abituato.
Non avrebbe risposto quella sera, e nemmeno il giorno dopo, ma...
* * * *
N. 1. sparsina: asparagi selvatici
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