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I dubbi di un poeta che non dorme la notte

nei primi periodi scrivevo solo per diletto, in quei siti imbozzimati dalla smania per la Letteratura, il foglio su cui Cristo dettò le sue parole o scrivere bene e pulito (nomi fittizi), ma poi diventò più un'ossessione e la notte, dopo le mie scorribande violente nel mistero di ottenebranti bevute, mi mettevo fitto fitto al computer e ci buttavo l'anima su quella tastiera, come un dannato.
scrivere è da subnormali, pensavo, perché non è richiesto. ma non mi interessava succhiare le palle alle buone norme della Società, m'interessava conquistare spazio, silentemente, al dolore della mia anima fottuta.
Federico Sforza me lo disse "celinio, questa smania per la scrittura ti fa andare fuori di testa. non c'hai il talento per sfondare, è una pratica inutile"
"credi?"
"cosa credi tu, che ti celebreranno? o che riconosceranno i tuoi sforzi buttati in quelle notti a spremerti le meningi?"
"io scrivo per me stesso"
non era vero. ogni scrittore ha bisogno di un pubblico. io lo sapevo e per questo mi confondevo con la puzza di Amore e Sole e Mare dei siti per scrittori che c'erano nel web. non scrivevo per stupire, scrivevo per non impazzire di nuovo. io sono fondamentalmente un poeta, ma a nessuno importava, e solo in pochi riuscivano a capirlo, gli altri poeti, o quelli picchiati violentemente nel cervello.
anche Roberta scriveva, una ragazza più piccola di me di quattro anni, una mia amica, e aveva pubblicato un libro 'Messaggi d'amore nei muri incrostati dei cessi degli autogrill'. avevamo scopato io e Roberta, 2 o 3 volte, nel suo appartamento. aveva un corpo piccolo e flessuoso e un cervello interessante. "non voglio implicazioni emotive" mi disse, "ma io amo mettermi nei guai" risposi e poi ne violai il mistero del suo orifizio più sacro senza chiedere permesso. parlavamo di letteratura, ma mai di poesia, e non le dissi che scrivevo, non poesie almeno, perché non volevo rivelarle il segreto della mia sensibilità dozzinale. mi mostravo duro e ruttavo e sputavo, e lei era colpita da questi 115 chili di rabbia animalesca. lessi anche le sue cose e le trovai belline. Roberta era una cosa diversa, ma non sovrastrutturata come gli eruditi o i simil-intelletuali che riempivano i salotti, non robotizzata dalla popolanità modaiola di cui soffriva la massa, era soprattutto una fica calda con la smania per la scrittura, e io ne compresi la purezza, la spontaneità.
ma Sforza come un rimbrotto ritornava sporadicamente e mi annebbiava di dubbi. era la voce di mio padre, uomo pratico, grande lavoratore, ma non interessato a queste robe culturali. Messina viveva di commercio e di svago, non di lettura, men che meno di scrittura e io ero un caso particolare: 'ragazzo con leggeri disturbi mentali che scrive poesie dissolute su siti dal dubbio valore'. ero critico, sono stato sempre critico con me stesso, celinio, sprechi il tuo tempo, usa la notte per dormire e vivi come una persona normale, celinio, dannazione, sei solo l'aborto di un poeta, un ameba, una scoreggia, una cosa insignificante.
parlando di Letteratura, voglio raccontarvi un fatto. eravamo in un un locale e questo tipo mi fa " Gli indifferenti è un libro sacro. c'è ne Gli indifferenti il peso del miglior esistenzialismo" "mica sono d'accordo" gli dissi "Moravia a me m'annoia. gli preferisco Camus". poi parlava di Natalia Ginzburg e di Keats e di Shelly, e la mia ragazza, 'na tipa strana, mezza punka-bastia, gli dice " sai che ferdinando scrive poesie". com'è e come non è lui, Ottavio, si chiamava Ottavio, e la sua ragazza, insistono perché ne reciti una. io sono timido, quando si parla delle mie poesie, e non è che mi vada proprio di recitargliela, ma questi insistono e la mia ragazza insiste, e allora cedo e gli faccio " è l'ultima che ho scritto, s'intitola 'l'amore ai tempi della varicella'" e comincio a decantare " stringo la gonfia cappella violacea./le letterine girano in tondo dentro la tv/mostrando un mistero in mezzo alle gambe./la vita si manifesta nel pus dei foruncoli/ nel liquido bianco che mi cola/fin sopra le ginocchia".

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1 recensioni:

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  • Anonimo il 18/12/2016 10:21
    Se scrivere fosse semplicemente un percorso di autoterapia o uno sfogo egotistico, non avremmo bisogno di un pubblico che ci applauda, ci derida o rimanga indifferente a seconda del vento. Secondo me, è un modo come un altro per dire al mondo che siamo ancora vivi. Piaciuto. Ciao.

1 commenti:

  • Ferdinando il 18/12/2016 10:45
    Anche se è vero che tutto il senso della scrittura si compie nel momento in cui ci si mette a scrivere. Il resto, i commenti, gli applausi o i fischi del pubblico, sono solo un di più per gonfiare o minare il nostro ego. Ciao Antonino, a presto.

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