stanotte ho rivisto Holy Motors di Leos Carax. non voglio fare una riflessione critico-filosofica del film, sul suo senso profondo che vede l'io dell'attore/uomo scisso in una molteplicità di diverse identità o sulla inevitabile deriva postmodernista che ho rilevato in questa pellicola, perché non ne sarei capace. voglio semplicemente soffermarmi sul frammento in cui Denis Lavant è un vecchio sul letto di morte e la nipote (un'attrice di cui non conosco il nome) gli sta vicino nei suoi ultimi momenti di vita. a parte la prova attoriale di Lavant (non solo in questo frammento ma in tutto il film) e della ragazza a dir poco superlativa, ciò che ha catturato maggiormente la mia attenzione, scuotendo qualcosa di profondo, dentro e dando brio a una domenica notte ordinaria come molte delle ultime domeniche notti, è stato questo scambio di battute scarne, in punta di voce, questo voler divagare su felicità e bellezza anche davanti alla presenza di una eventualità definitiva come la morte, mentre qualcosa di irreversibile prende possesso di ogni singola parola, mentre tutto assume un peso quasi abissale. vi era infatti in quest'episodio tutto il senso tragico dell'esistenza, la sua lieve e bellissima tragicità, le carezze del vecchio che rivela senza i pudori che minano la spontaneità dei rapporti tutto l'amore che prova per la nipote, le lacrime di lei, il suo perdersi nello sconforto e il suo dire "ora mi sento felice", felice!, mentre il dolore più grande si mangiava ogni centimetro della sua pelle, mentre la morte calava su ogni metro quadrato della stanza. una cosa potentissima. e poi, dopo morto, il delicato tocco di monseur Oscar per spostare lei che gli sta di sopra presa dal più graffiante lo sconforto, "devo andare. ho un altro appuntamento", lo sguardo sincero dei due che non hanno più, adesso, il legame parentale di qualche istante prima, sono adesso due sconosciuti, due attori della vita, il grazie sussurrato da Lavant prima di lasciare la stanza, tutto il senso dell'esistenza-palcoscenico dove le vite scorrono senza mai attraversarsi, nella grande recita perfetta, nella pellicola più importante di tutte, ma quando si sfiorano, anche solo nella profondità di qualche istante, tutto assume un senso che non si era colto e quella tragicità diventa pesante come una roccia e bella come un fiore appena sbocciato.