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Due Donne
Parte Prima
Erano passati quasi dieci anni da quando Marisa e Giacomo si erano sposati e ancora non erano riusciti ad avere un bambino. Con la nascita di sua nipote, la figlia di sua sorella Marta, Marisa aveva espresso il desiderio di avere un figlio. Giacomo sebbene non ne fosse convito, riteneva fosse troppo presto, si era lasciato convincere e notte dopo notte avevano iniziato a fare l'amore senza precauzioni. Ma riuscire a fare un figlio col tempo sembrava un impresa sempre più difficile. La voglia di essere madre, vedere crescere la propria pancia e perché no avere le nausee erano diventate un ossessione per Marisa al punto che quando vedeva le altre donne col pancione era tentata di infilare uno spillo da balia e sgonfiarlo come si fa con i palloncini.
Ne aveva parlato con Giacomo ed insieme erano giunti alla conclusione che forse capire le difficoltà ed affrontarle insieme era l'unica soluzione e a questo proposito iniziarono a sottoporsi a diversi esami. Entrambi si ritrovarono in una stanza ben arredata, piena di titoli accademici appesi alle pareti e una libreria ricca di volumi di medicina; dietro alla scrivania, sulla quale si riflettevano raggi di luce che filtravano dalla finestra, era seduto il Prof. Riccardo Pacetti intento a leggere i risultati degli esami. Uomo di mezza età, Pacetti era famoso per la sua dedizione alla causa pro fertilità facendo diventare genitori felici tante coppie che come Marisa e Giacomo si erano dovuti fare aiutare. Attenti ad ogni cambiamento di espressione la giovane coppia aspettava un cenno per sentirsi dire qualcosa di positivo cercando di nascondere le proprie emozioni senza però riuscirci.
-La questione si presenta molto complicata miei giovani ragazzi- e appoggiando la testa sulle mani giunte prese tempo, poi rivolgendosi a Giacomo aggiunse
-Lei Giacomo è sano come un pesce, il suo sperma è attivo tuttavia se la signora Marisa non rimane incinta non è perché sia ammalata.- E alzando la testa si rivolse a Marisa con tono paterno -il suo utero è rimasto infantile.
Quella frase rimase nella testa di Marisa per tutto il viaggio di ritorno verso casa e ancora per giorni e giorni fino a diventare un'ossessione. Utero infantile, quante donne conosceva che avevano questo problema? Nessuno, tutte le donne di casa sua erano fertili e avevano ricevuto il dono più bello da madre natura: la maternità. Ad una ad una le passavano davanti e sempre nella sua mente vedeva le sue amiche i fiocchi rosa ed azzurro simbolo di vita. E lei cosa aveva ricevuto da madre natura? Uno "scacco matto" e si ripeteva: 'Perché io?, perché proprio a me?' Quanti casi di madri snaturate avevano gettato i loro figli nella spazzatura e comunque li avevano abortiti prima di nascere. Quanti bambini erano venuti al mondo in condizioni di disperazione fra guerre ed ignoranza e sopravvivevano in mezzo a rovine e morte mentre in altre realtà c'erano donne come lei che soffrivano e soffrivano annegando nella disperazione dell'infertilità. Che donna era, una donna a metà?
Le tornò in mente quando bambina si divertiva a giocare a fare la mamma con le bambole. Tutte le bambine adorano giocare a fare la mamma. Il loro modello è la loro mamma ed i bambolotti sono proprio loro con le loro esigenze, capricci. Quanti pomeriggi passati a preparare pappe e vestitini in formato ridotto e poi le feste che si organizzavano per battezzare pupazzi inanimati che prendevano vita nel teatro immaginario allestito inconsapevolmente da bambini felici della loro vita. Tutto si animava allo scadere dell'ora del gioco e tutto si fermava all'ora di cena quando ogni creatura tornava a casa, e ci si salutava con la promessa di rivedersi il giorno dopo sempre alla stessa ora.
Tornata a casa Marisa si spogliò, guardò il suo corpo allo specchio e i suoi occhi puntarono la sua pancia piatta. Meccanicamente si infilò sotto la doccia calda e mentre l'acqua le scorreva addosso nel tentativo di lavare il suo corpo dai problemi di cui era afflitta i suoi occhi si riempirono di lacrime e velocemente furono trascinati dai getti dell'acqua che le avvolgevano il corpo nel tentativo di proteggerla da sé stessa e dal mondo intero. Era lì, solo una tenda incerata la separava dal resto del mondo, e lentamente scivolò fino a terra e accucciandosi in posizione fetale pianse a lungo fino a sentirsi svuotata. Quella sera Lei e Giacomo parlarono poco ognuno stretto nel proprio dolore. Erano seduti uno di fronte all'altro davanti ad un piatto freddo preparato con gesti meccanici e abitudinari. Ognuno evitava di guardarsi negli occhi perché lo specchio dell'anima non li proteggeva abbastanza anzi li rendeva vulnerabili e non potevano e non dovevano, anche se avessero voluto affrontare, parlare di quanto appreso. Marisa si sentiva colpevole, colpevole della sua condizione, colpevole per non poter dare a Giacomo un figlio frutto della loro passione, del loro amore. Lei era difettosa come il suo bambolotto allorché da bambina tentò di strapparlo a suo fratello Ivan che gliela aveva rubato. Si era staccaccata la gamba rimanendo fra le sue mani e sebbene sua madre l'avesse riposizionata quella gamba era rimasta difettosa e per non farlo vedere agli altri lo avevano fasciato come un bimbo cinese.
Per molti anni ci avevano riso ma oggi non più e a lei non bastava una semplice fasciatura non avrebbe mai potuto nascondere ciò che il tempo avrebbe dato per evidente. A letto Marisa e Giacomo si strinsero la mano come se dovessero avviarsi per un viale irto e fittamente alberato da non fare vedere la luce del giorno e in silenzio si addormentarono. Quella notte Marisa sognò di aspettare un figlio, era al nono mese di gravidanza e mentre erano a cena da sua madre iniziavano le doglie. Giacomo prendeva il trolley dove erano riposti i panni del nascituro e insieme velocemente si recavano in ospedale e da lì in sala parto due medici l'assistevano e l'aiutavano a rompere le acque. Ecco che avveniva l'irreparabile: un fiume in piena usciva dal suo ventre e inondava tutto intorno trascinando via la sua valigia. A quel punto si svegliò sudata e tremante, guardò Giacomo che dormiva, scese dal letto e si recò in cucina a bere e dopo aver riempito il bicchiere chiuse il rubinetto con rabbia come se fosse la stessa acqua del sogno.
Il giorno seguente Giacomo si alzò presto guardo la moglie che dormiva e con un gesto di tenera protezione la coprì col lenzuolo. Lei dal canto suo lo sentì ma continuò a tenere gli occhi chiusi e aspettò che uscisse per andare al lavoro prima di aprirli. Seduta sul letto cercò di immaginare quella stanza con una culla ma la consapevolezza che sarebbe stato impossibile la fece adirare al punto da farle venire fuori tutta la rabbia che aveva soffocato in quegli ultimi giorni per l'attesa prima e per l'esito dopo. Dunque afferrò cuscini lenzuola e oggetti riposti sui comodini e li scaraventò con violenza all'aria accompagnando con urla i suoi gesti. Poi calmatasi si preparò un caffè e si accese una sigaretta, guardando fuori dalla finestra, ne aspirò a lungo una boccata, e il suo sguardo catturò una giovane madre che accompagnava la sua bambina a scuola, quest'ultima teneva la sua manina attaccata al passeggino del fratello spinto dalla sorridente mamma. Marisa cercò di immaginare cosa stessero dicendo senza riuscirci ma sentì una voce dentro sé che la spingeva a non abbattersi che una soluzione con il suo Giacomo l'avrebbero trovata, già con Giacomo doveva proprio parlare.
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1 recensioni:
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- BUONA PASQUA, VINCENZA.
NON MANCHERO' DI LEGGERLO.
*****
- grazie anche a te e famiglia. Purtroppo la mia Pasqua sarà solo di passione, ma spero che per tutti sia diversa piena di gioia nel cuore e non di lacrime amare come nel mio.
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