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Dove portano le Strade 2
La polizia aveva trovato la sveglia puntata sulle otto.
Possiamo immaginarlo così Tommaso: si sveglia magari di soprassalto, nel mezzo di un sogno vivido; oppure è già sveglio, che si rigira da qualche minuto nel letto aspettando lo squillo che lo spingerà ad alzarsi.
Povero Tommaso, lui non lo sapeva, ma dal momento in cui si alza parte un conto alla rovescia: le ultime ventiquattro ore della sua vita.
* * * * * * * * *
Ore 8:05
Come tutte le mattine fece una colazione veloce, guardando fuori dalla finestra della piccola cucina. Le vacanze erano per lui occasione di pensare al passato, come tiepida malinconia.
Nostalgia alimentata dai raggi del sole che obliqui entravano dalla finestra scaldandolo: fuori le montagne illuminate in tutto il loro splendore.
Il Monte Rosa brillava completamente libero da nuvole: un'eventualità che capitava una o due volte al mese a Macugnaga. Dopo i temporali del giorno prima era quasi una benedizione - pensò -, la giornata ideale per una gita verso i pendii più elevati.
Aveva deciso che si sarebbe recato al rifugio Zamboni.
Questo avamposto sperduto si trovava su un altipiano naturale ad un altezza di circa 2000 metri. Il paesaggio se lo ricordava maestoso, con la sua immensa conca verde circondata su tre lati dalle immense pareti rocciose.
Prese una guida e ripercorse brevemente l'itinerario da seguire.
Per raggiungerlo - lesse distratto - un sentiero che, dopo un primo tratto quasi pianeggiante, molto noioso, attraversava un bosco per salire aereo fino ai piedi di un ghiacciaio.
Ricordò quando l'aveva percorso l'ultima volta.
Era una camminata lunga ma semplice: giunti al ghiacciaio si passava su un ammasso di piccole rocce che permettevano di superare agevolmente il tratto gelato ed arrivare ad un enorme prato. Il percorso si snodava quindi su una cresta che divideva in due l'immenso anfiteatro naturale: si arrivava dopo circa un'altra ora a questa struttura solitaria, posizionata proprio sotto la parete Est del Monte Rosa. Un muro impressionante che si ergeva maestoso per più di duemila metri.
D'estate il rifugio era la principale meta turistica del paese, d'autunno solitaria dimora sferzata dai venti gelidi.
Mentre chiudeva la guida e la riportava al suo posto, ripensò alla sera prima e tornò indietro. Voleva chiarire una piccola curiosità.
Era stata una serata quasi autunnale. Pioveva a dirotto e stava guidando a fatica giù a fondo valle. Conosceva bene il posto, ma ad una rotonda, complice la cattiva visibilità, era andato dritto anziché girare a sinistra e per sbaglio aveva imboccato una strada sconosciuta: una via lunga e stretta che si addentrava nelle campagne.
Alberi ovunque e nessuno spazio per fare inversione. Le foglie trasportate dal vento occupavano gran parte della corsia rendendo difficile orientarsi. Ad un certo punto anche un rumore, come di un ramo che colpiva l'auto.
Era arrivato fino ad un piccolo borgo, quattro case completamente buie.
Nonostante conoscesse abbastanza bene la zona, non era mai capitato in quel luogo. Improvvisamente ebbe come la sensazione di essere seguito. Aveva intravisto un'ombra alle sue spalle, come un'auto dopo di lui. Entrando poi in una serie di curve il vuoto alle sue spalle, ma al rettilineo che seguiva aveva notato chiaramente due luci in lontananza. Aveva accelerato fino a quando ritornò a vedere solo alberi spazzati dal vento e dalla pioggia. Come un flusso di pensieri impossibile da arginare, si ricordò di quella volta, vent'anni prima, in cui aveva provato la medesima sensazione. Era anche lì in mezzo ad un bosco, solo che non era protetto dalla gabbia metallica di un'auto. A piedi e completamente solo.
Aveva circa dodici anni all'epoca, ed era anche in quell'occasione in vacanza in montagna: non da solo come adesso ma con i suoi genitori.
Il paesino dove passavano le ferie in quegli anni era molto piccolo: non c'erano bar, né supermercati. Era solo un gruppetto di vecchie case di pietra, e per qualsiasi bisogno occorreva scendere a valle.
Gli svaghi non erano molti, in un posto così. Tipicamente usciva di casa e si inoltrava per un'oretta lungo uno dei tanti sentieri che si trovavano appena usciti dal paese: cercava un po' di funghi se era mattina, il pomeriggio invece lo dedicava alla raccolta dei mirtilli.
Quell'anno era arrivato da poco con i suoi. Si era svegliato molto presto con il paese ancora avvolto dalla nebbia. Si era preparato e aveva deciso di uscire. Chiusa la porta dietro di sé, si era avviato verso la parte alta del paese. I vicoli completamente deserti. Proprio in corrispondenza dell'ultima casa c'era una delle poche palazzine con più di un piano: un edificio tra i più recenti, e uno dei pochi ad avere ricavato, in una rientranza dalla strada, un posto auto davanti all'ingresso. Proprio lì, nel parcheggio, sedeva appoggiato ad un muretto un signore molto anziano. Accanto, un falò. Ed era, a parte lui, l'unica persona in giro per il paese.
L'aveva guardato velocemente, senza osservarlo bene in volto, e aveva tirato dritto continuando per il sentiero che deviava dalla vecchia strada asfaltata.
Nella nebbia, gli alberi grondanti umidità, lo scricchiolio dei suoi passi sui rami bagnati, si era convinto che quella persona lo stesse seguendo. Si era venuto a creare, come all'improvviso, un silenzio irreale in quel luogo sempre pieno di piccoli segnali di vita. Come se avesse, per un istante, perso la cognizione del tempo e dello spazio, e si fosse ritrovato in un luogo sconosciuto e oscuro.
Il fruscio dell'impermeabile mentre si muoveva e il rumore dei suoi passi erano diventati all'improvviso suoni estranei. Forse qualcuno che si muoveva alle sue spalle,. Il suo stesso respiro amplificato dal silenzio gli parve alieno. Convinzione irrazionale, ma lo spinse a correre giù, a perdifiato, lungo il pendio della montagna, giungendo alla strada asfaltata in pochi minuti.
Rientrando verso casa non c'era più traccia dell'anziano signore. E nessun falò era acceso. La rientranza dalla strada era completamente deserta.
La storia che era solito e che gli piaceva raccontare non finiva così, con un semplice ritorno a casa.
I giorni seguenti, passando di casa in casa a salutare tutte le persone del paese visto che erano arrivati da poco, si erano fermati davanti alla palazzina. E lì aveva scoperto che l'unica persona anziana che viveva in quell'abitazione era morta durante l'inverno.
Come in un classico racconto gotico, quando raccontava questa storia gli piaceva far credere di aver visto un fantasma. Non era ovviamente sicuro che quel signore anziano fosse l'abitante della palazzina morto durante l'inverno precedente. L'aveva osservato per una frazione di secondo. La verità è che quando era passato di lì la prima volta c'era un falò acceso con una persona. Al suo ritorno, pochi minuti dopo la strada era deserta. Chi poteva essere altrimenti però? - era la sua conclusione -.
E nel mezzo, quella strana sensazione, che l'aveva spaventato a morte, di essere seguito: proprio lui, che girava fin da piccolo nei boschi senza nessun timore.
Ricordi, solo ricordi, ma probabilmente rimasti sopiti nel suo inconscio per apparire all'improvviso.
Il piccolo borgo in cui era capitato guidando nella pioggia sembrava davvero deserto, visto il tempo e la sera che si avvicinava ci fosse stato qualcuno in casa - pensò - avrebbe di sicuro acceso delle luci. Invece l'unico segno di vita in quel luogo desolato era un lampione dalla luce incerta che illuminava la piccola piazzetta su cui si affacciavano quelle case in pietra.
Un lampo lo abbagliò all'improvviso, facendolo tornare concentrato alla guida.
Non appena ebbe l'opportunità di farlo, riuscì a girare in fretta l'auto e tornare sui suoi passi. Fuggì via verso casa, esattamente come vent'anni prima. Nello specchietto retrovisore notò un cartello stradale: -Borgo Sal...- Non riuscì a leggere il resto, ormai coperto da ruggine. Ovvio sottolineare che al suo ritorno non incrociò nessun'altra automobile.
Ore 8:10
Tornò al tavolo con la guida turistica della zona tra le mani. Scorse con il dito l'itinerario fatto il giorno prima: alla ricerca di quello strano paese. Era stato a Vogogna, paesino ai piedi della valle che portava al Monte Rosa, aveva guidato verso nord e poi, alla rotonda principale era andato diritto. Peccato che la mappa riportasse solo la possibilità di andare a sinistra, verso casa, o a destra, da dove la strada percorreva un rettilineo che terminava nella frazione Genestredo. Niente che contenesse la parola "Sal".
Borgo Sal. Sal come Salto, Salita. O come Salpare, Salutare. Salame. Qual era il nome da dare a un paese? Se avesse dovuto decidere lui, l'avrebbe chiamato Borgo Salice. O Salvezza.
* * * * * * * * *
Come trascorse la mattina?
Tante ne sono state dette su Tommaso, ma ci sono solo pochi fatti accertati. Ad esempio di sicuro partì per una gita.
A parte gli eventi del pomeriggio che si vedranno in seguito, una vicina di casa lo vide uscire poco dopo le otto con lo zaino in spalla.
"Usciva di fretta, ma si voltò e mi salutò con il suo solito sorriso"
La destinazione della gita - si scoprì - era il rifugio Zamboni: anche questa notizia è confermata perché la telecamera installata all'ingresso del rifugio lo aveva inquadrato alle ore 11 e 58. Camminava assorto lungo il sentiero che girava intorno all'edificio.
Le altre testimonianze raccolte, come si vedrà, sono invece molto vaghe.
Quello che la vicina ricordò solo due mesi dopo fu che appena Tommaso era uscito di casa, aveva sentito il rumore come di un'auto messa in moto: poco dopo era passata davanti a casa una macchina rossa a tutta velocità. Ma questo fatto venne comunque ritenuto ininfluente ai fini dell'indagine.
* * * * * * * * *
Ore 8:30
Borgo Salvezza... continuò a pensare mentre preparava lo zaino e si apprestava ad uscire.
Si vestì con calma. Scelse abiti particolarmente comodi - se voleva farsi quella benedetta gita erano necessari -. Prese qualche una bottiglia d'acqua e alcuni biscotti, nel caso non fosse stato di ritorno per pranzo. Non era una persona che mangiava molto.
Chiuse la porta dietro di sé e venne investito dall'aria fresca di quel mattino estivo. Alla sua sinistra una voce squillante: "buongiorno!". Rispose sorridendo e si avviò veloce al cancelletto.
Guardando a destra, osservò sovrappensiero la casa in pietra a due metri da lui. Notò una crepa nel muro che non aveva mai visto prima. La intravedeva tra le edere e i muschi che ormai coprivano gran parte della facciata dell'edificio.
Da quanto tempo era abbandonata quella casa? Si riconosceva una vecchia porta di legno chiusa da un lucchetto ormai arrugginito. E una finestra affacciata al primo piano con i vetri ormai appannati dal tempo.
Ore 9:15
Si avviò lungo la via che costeggiava la valle. A breve avrebbe preso un sentiero parallelo alla strada ma che gli avrebbe fatto evitare il traffico. Gli piaceva molto passare di lì: da una parte il suono tranquillo di un ruscello, dall'altra il bosco con i suoi rumori furtivi.
Ore 10:00
Arrivò in breve ai piedi della parete. C'era parecchia gente che si apprestava a salire. Famiglie, gruppi di ragazzi; scalatori solitari che presto avrebbero deviato dal sentiero principale, alla ricerca di mete ben più impegnative.
Il sentiero partiva in modo quasi banale, con una pendenza quasi nulla, su un terreno sterrato arso da quel sole mattutino. Come si aspettava, arrivati ad un primo rifugio, ci si inerpicava su per un bosco, per circa un'ora, fino ad arrivare ad un altopiano: la bellezza di quell'anfiteatro naturale, che si estendeva maestoso per circa un chilometro, lo colpiva come fosse la prima volta che lo ammirava.
Oltre quel punto lui non era in grado di salire. Arrivato a destinazione si limitò a guardare in alto, le rocce, i ghiacciai.
Il silenzio era occasionalmente interrotto da misteriosi boati, lassù, verso la vetta. Poi uno sguardo abituato al fenomeno gli dava la giusta collocazione e riusciva ad individuare la frana che cadeva lungo la parete. Massi, visti da lì piccoli, molto probabilmente enormi, che rotolavano rimbalzando e alzando una nuvola di fumo.
Guardando verso valle, notava il paese sotto di lui e la moltitudine di turisti che con un serpentone infinito salivano fin quasi a raggiungerlo.
Si sdraiò per riposare. Trovò una pietra piramidale cui appoggiarsi.
A circa duecento metri notò un gruppo di persone ferme in corrispondenza di un complesso roccioso che sporgeva dal verde del prato: uno di loro, pareva un bambino, agitava la mano come a salutarlo.
Si voltò indietro ma non c'era nessuno: pareva che quel saluto fosse indirizzato proprio a lui.
Ricambiò sorridendo con un gesto a metà tra un saluto e un coprirsi gli occhi con la mano.
Ore 11:00
Sdraiato sul prato con lo sguardo fisso verso il cielo: le prime nuvole iniziavano ad alternarsi al sole.
È un fastidio - pensò - quando si sta con gli occhi chiusi, accarezzati solo dalla luce calda del mezzogiorno, e all'improvviso un buio ancor più nero, una nuvola che copre il sole, insieme ad una folata gelida, ti fa aprire gli occhi come un brusco risveglio. Quasi ti domandi dove sei, per poi accorgerti della parete maestosa davanti, sopra di te, che all'ombra si scopre in tutto il suo essere. Piena di creste, pareti verticali, insenature. Irraggiungibile.
Due notti prima aveva fatto un sogno, uno di quelli così vividi che te li ricordi anche il giorno dopo. Prese il blocco note che teneva sempre a portata di mano e si mise a scrivere. "17 Agosto 2011, ..."
Smise subito per togliere dallo zaino un altro blocco note, più vecchio. Girò indietro le pagine ormai ingiallite e cominciò a leggere: il diario di mille anni prima.
10 Dicembre 1990
Sono stato in biblioteca. Ho preso "Teresa Raquin" di Emile Zola.
Passando per il bar del paese, ho salutato mio padre, che stava bevendo un caffè all'interno del locale. La sera mio padre mi ha raccontato una strana storia: dopo avermi salutato, gli si è avvicinato un signore.
"Quello è suo figlio?"
"Certo" aveva risposto mio padre
"Lo sa che quel ragazzo ha commesso un reato?"
E raccontò a mio padre un fatto, che io negai, ovvio, ma che era terribilmente vero.
Una bravata, ricordava, di quelle che almeno una volta nella vita si fanno.
"Ma lo conoscevi papà?"
"Mai visto".
La vicenda si era conclusa senza ulteriori domande. Suo padre era sempre stato una persona semplice e dopo dieci minuti probabilmente si era già dimenticato lo strano colloquio. Gli era però sempre rimasto il dubbio di come quella notizia fosse arrivata ad un estraneo.
13 dicembre 1990
Letto Teresa Raquin: bellissimo, mi ha fatto piangere.
Improvvisamente si ricordò un altro strano episodio. Sfogliò il diario in modo quasi compulsivo. Il fatto che cercava era avvenuto un anno dopo circa.
15 Novembre 1991
Oggi ha telefonato una persona a casa mia.
Ha parlato con mia madre. Ha raccontato per filo e per segno una cosa che mi riguarda. Mia madre non ha saputo dirmi il suo nome.
Un'insinuazione curiosa nella sua mente: si era spesso sentito molto solo nella vita eppure tutti questi piccoli episodi lo avevano fatto riflettere. Era come se ci fosse sempre stato qualcuno a seguirlo, sempre, come un angelo custode.
Oppure come un moderno colombre, il celebre mostro nato dalla fantasia di uno dei suoi scrittori preferiti, che, anziché essere portatore di sventure, aveva inseguito la sua preda tutta la vita solo per consegnare un gioiello di inestimabile valore?
Ritornò a leggere quel vecchio diario. Aveva vent'anni all'epoca.
Era il periodo in cui sentiva di avere tutta la vita davanti, mille possibilità.
E invece eccolo anni dopo, solo di fronte ad un immensa parete rocciosa, a contemplare il passato e a fantasticare sulla sua vita, come fosse al centro di chissà quale intrigo o mistero: forse però era tutto solo una sua suggestione, chi d'altronde potrebbe aver avuto interesse in lui?
Le sue labbra sorrisero. D'impeto si alzò e gettò in un ruscello quelle antiche pagine. Poi prese il blocco nuovo e tornò a scrivere.
* * * * * * * * *
Chi vide Tommaso durante la passeggiata in montagna?
Che itinerario seguì?
Incontrò qualcuno?
Forse qualcuno che conosceva, forse solo una massa anonima di persone.
Nessuno lo sa, di sicuro nessuno si è mai presentato al comando della polizia durante le settimane successive alla vicenda.
Solo una famiglia di escursionisti francesi, giudicata poi inattendibile ai fini dell'indagine, che si trovava ai piedi del Monte Rosa attorno all'ora di pranzo, raccontò di avere notato qualcosa di strano.
Il figlio dodicenne disse di aver visto una persona con uno zaino verde sdraiata accanto ad una roccia.
Era riverso con lo zaino ancora sulle spalle, e guardava fisso in alto - dichiarò -.
Il ragazzo inizialmente si era anche spaventato, tanto che aveva avvertito i genitori temendo fosse morto.
Poi la persona aveva mosso una mano come a coprirsi gli occhi.
Forse però non era Tommaso.
La testimonianza parlava infatti di una persona con il suo abbigliamento, maglia rossa, zaino verde militare e pantaloni grigi, ma si confondeva sul colore dei capelli. Grigio anziché castano.
L'unica ipotesi che si può fare è che, durante il suo soggiorno al rifugio, si fermò da qualche parte prendendo troppo sole: quando lo trovarono infatti, il mattino dopo, aveva il segno rosso di una scottatura recente. Potremmo immaginare che si sia addormentato sotto la calura estiva.
Può un'insolazione uccidere nelle ore successive?
Leggendo i manuali di medicina si scopre che si, è possibile: i sintomi generali sono malessere ed esaurimento generale, cefalea, vertigine, nausea, obnubilamento, abbagliamento della vista, talora febbre. Questo nelle forme medie o leggere.
Nelle forme gravi si ha febbre, vomito, delirio, polso piccolo e frequente, pelle calda e madida di sudore e anche perdita improvvisa della coscienza con coma rapidamente mortale.
E allora cosa c'è di strano, nella vicenda di Tommaso?
Tutto torna, anche il fatto che al ritorno, altro fatto accertato, abbia fatto acquisto di medicinali nella farmacia del paese. Aveva preso una grave insolazione, non si sentiva bene e si era fermato a comprare degli antidolorifici.
* * * * * * * *
Ore 14:30
Il ritorno, come tutti i ritorni, fu faticoso. Oltretutto aveva preso molto sole e gli girava la testa.
Ci mise più di un'ora a percorrere il sentiero in discesa. Verso le quattro del pomeriggio arrivò al termine del sentiero sterrato e posò i piedi ormai stanchi sull'asfalto della strada. Con nessuna voglia di tornare a casa.
Fu allora che si accorse, nonostante conoscesse bene quei posti, che la strada che lo doveva riportare a casa proseguiva su per la montagna: non si interrompeva con la fine della valle e l'inizio del sentiero sterrato ma, dopo una piccola curva, proseguiva nel nulla. Una strada asfaltata che si addentrava nel bosco.
Sulla destra, a poche decine di metri, il torrente proveniente dal rifugio che aveva appena visitato. Sulla sinistra la parete dove un tempo viaggiava quotidianamente la funivia, da anni in disuso.
La strada era completamente deserta. Nonostante la stanchezza decise di percorrerne un tratto.
Stava all'erta quando camminava lungo itinerari mai percorsi prima, per percepire eventuali rumori dall'ambiente circostante che lo avvisassero di un pericolo imminente. Lì era un cinguettio unico, alternato da canto di grilli e ronzare di insetti. Null'altro. Sulla destra intravide tra i rovi una struttura in cemento armato, come fondamenta di una casa mai costruita. Chi poteva aver voluto andare ad abitare in quel luogo? E perché aveva desistito dall'impresa? Domande destinate a rimanere irrisolte.
Camminò alcuni minuti, poi all'improvviso si fermò e rimase in ascolto. Si era fatto silenzio. Silenzio assoluto. Solo il riverbero del sole sull'asfalto.
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E invece no: qualcosa non torna, anzi, non torna nulla.
Intanto gli strani disegni trovati addosso a Tommaso.
La polizia ritrovò nella tasca destra dei pantaloni di Tommaso un foglio spiegazzato: lo scontrino di un negozio sul cui retro era rappresentata una mappa, un itinerario.
Un disegno molto semplice: a sinistra un cerchio, con la scritta "casa".
Di lì la penna aveva descritto un percorso che terminava con un altro cerchio, al cui interno era segnalato il termine "funivia": di sicuro il punto più alto del paese, dove finiva la valle - pensarono alla polizia - lì tra i rovi stazionava l'antica fermata in disuso da anni. Proprio nei pressi dell'inizio del sentiero verso il rifugio Zamboni.
Da lì l'itinerario proseguiva: partiva dalla fine della valle, dopo che terminavano gli ultimi edifici, e si inerpicava lungo la parete in mezzo ai boschi. Alcune parole apparentemente illeggibili commentavano l'itinerario. Si distingueva solo la parola "luogo" seguita da alcuni caratteri che terminavano con "ione"...
A dire la verità alcuni periti sostennero che la calligrafia poteva non essere la sua, tanto le parole erano confuse, e che comunque non c'entrava nulla: l'inchiostro sembrava consumato, come fosse stato scritto tempo prima. Sullo scontrino ormai la data era illeggibile.
La polizia trovò anche un blocco note in cui era raccontata una storia, che qui viene riportata tal quale.
17 agosto 2011
Era un pomeriggio d'estate, io osservavo l'orizzonte.
Guardavo fisso quella nube nera in lontananza, che appariva proprio dove finiva il mare. E che minuto dopo minuto si ingrandiva, come un esercito che avanza.
Il cielo era già scuro, sebbene fosse giorno.
Come in attesa, mi sedetti sulla riva, dove le onde ancora non riuscivano ad arrivare. Il vento sferzava l'aria trascinando con se granelli di sabbia impazziti, impedendo quasi di tenere gli occhi aperti.
Al mio fianco, centinaia di altre persone, che si allungavano a perdita d'occhio lungo la costa.
La cosa - dicevano - era caduta nell'oceano. E aspettavamo di sentirne il rumore: sapendo che dopo il suono sarebbe arrivata l'onda. Alta come una montagna, immensa, inimmaginabile.
Una montagna d'acqua. La cosa più terribilmente sublime che l'umanità avrebbe mai visto da qui all'eternità.
Ogni tanto qualcuno si voltava, cercando lo sguardo di altri. Nessuno aveva però il coraggio di parlare. Ognuno infinitamente solo. Un silenzio irreale, interrotto solo dal vento.
Poi arrivò un brontolio sordo, che penetrò fin dentro lo stomaco, accompagnato da un'immane folata di calore. Un alito caldo. Tutto si sparse intorno in modo casuale. In quel momento mi sdraiai, faccia in giù, e chiusi gli occhi più forte che potevo. E aspettai. Il brontolio sordo aumentava sempre di più, finché sentii un urlo. Mi tappai le orecchie e non ebbi il coraggio di guardare. Un urlo collettivo, spaventoso, più forte di qualsiasi altra cosa, l'urlo di una moltitudine infinita.
La polizia analizzò anche in questo caso la calligrafia: stavolta era proprio di Tommaso.
C'era di più ad infittire il mistero.
C'era il luogo e la posizione dove il corpo era stato trovato. Con quello strano segno sulla testa, che non si capiva da cosa fosse stato provocato: una caduta contro la superficie aguzza di un sasso dissero, se non che assomigliava in modo impressionante ad una lettera S.
Non si sa se Tommaso fosse tornato a casa per cena. La vicina di casa era uscita e non era in grado di confermare se fosse tornato dalla gita al rifugio Zamboni.
Non si ricorda al suo ritorno di aver visto la luce della finestra accesa.
La ricostruzione delle ultime ore di Tommaso è quindi molto frammentaria. Di sicuro si sa che nel tardo pomeriggio si fermò in centro città in farmacia, dove, alle 17:58 acquistò tre confezioni di antidolorifico.
La casa fu trovata un po' in disordine, ma nulla che facesse pensare ad un'aggressione.
La porta era socchiusa.
Era stata proprio quella porta aperta ad insospettire la vicina il giorno dopo.
Alle 8 in punto del 18 agosto, infatti, la signora Adele, così si chiamava la vicina, notando quel particolare e vedendo la porta semiaperta, entrò nell'appartamento.
Non essendoci nessuno in casa si allarmò. Aspettò fino al pomeriggio, poi chiamò la polizia.
Tommaso venne trovato poche ore dopo nel mezzo di un bosco vicino ad una piccola cascata: era a circa mezzo chilometro dalla strada principale e a pochi metri dalla strada che portava al vecchio pozzo..
Vestito leggero, piedi scalzi. Telefono e portafogli in tasca.
Il medico legale stimò l'ora della morte di Tommaso attorno alle undici della sera prima.
Difficile che una persona in preda ad un'insolazione percorra volontariamente quel percorso. Per di più la sera, col buio.
È qui che entrò in gioco la seconda ipotesi: il suicidio. Altro che passare in farmacia perché si era preso un'insolazione e stava male: Tommaso aveva acquistato dei farmaci per prenderli tutti insieme. Il più classico dei suicidi.
Furono gli scontrini trovati nel portafoglio a portare a queste convinzioni. Più che altro la quantità di medicinali, ben tre confezioni, acquistata il pomeriggio precedente e mai trovata. Tommaso - si disse - aveva ingerito una quantità di medicinali tale da causarne il decesso.
Forse la depressione, come testimoniava lo scritto trovato sul blocco note, gli aveva fatto desiderare una soluzione finale. Era un uomo solo, e di lui si sapeva ben poco: i pochi amici e i colleghi di lavoro non avevano mai avuto avvisaglie di un possibile malessere.
Si analizzò la sua vita. Non si trovò quasi nulla. Tommaso viveva solo da sempre. Non aveva precedenti penali, nessuna brutta storia alle spalle.
SI cercarono dettagli che avvalorassero l'ipotesi del suicidio.
Ad esempio fu trovata un'ammaccatura sulla sua auto: Il fanalino destro era rotto e la lamiera danneggiata in quel punto. Non si notavano tracce di ruggine, segno che l'incidente era avvenuto di recente. Si interrogarono i carrozzieri della zona e le assicurazioni: nessuno seppe dare spiegazioni. Che fosse stato quel piccolo tassello che, come una goccia che fa traboccare il vaso, si era aggiunto ad una grande depressione?
* * * * * * * * *
Ore 17:00
Quella strada, se ne rese conto presto, non portava da nessuna parte. Ad un certo punto all'asfalto si sostituivano delle pietre, che terminavano in un minuscolo ruscello alimentato da una cascatella. Si sedette qualche minuto su una delle pietre più grosse e rimase lì, in contemplazione.
E si rese conto di essere solo. Infinitamente solo, presenza morta e inutile in mezzo a quella natura rigogliosa di vita.
Se solo avesse avuto qualcuno al suo fianco - pensò - con cui condividere quel paesaggio. Non c'era nulla di speciale in quel posto, non c'erano cascate maestose, alberi millenari o pareti a strapiombo.
La luce che regnava, il silenzio, lo rendevano però unico. Chiuse gli occhi e immaginò di percorrere quella strada con l'amore della sua vita. Amore mai trovato e mai perso.
Ah, la luce accecante del sole, che gli sembrò avvicinarsi fino a sfiorarlo.
Rimase in quel luogo incantato per minuti interi, forse ore. Quando l'ultimo raggio di sole scomparve dietro la grande montagna si incamminò verso casa. Si fermò in paese a comprare degli antidolorifici: l'emozione gli aveva procurato un forte mal di testa.
Vista la frequenza con cui ultimamente soffriva questi attacchi decise di prenderne una scorta consistente. Mentre pagava gli sembrò che un'auto si fermasse davanti alla vetrina della farmacia, per poi ripartire di fretta.
Ore 19:30
Aprì la porta di casa ed entrò in cucina.
- Quella strada - continuava a pensare - dove l'aveva portato, quella strada...- Non ci sarebbe mai più tornato, giurò a se stesso. Non da solo.
Si aprì una bottiglia di vino, che gli distese i nervi e fece quasi scomparire il mal di testa.
Lasciò la luce spenta, in modo da poter osservare, oltre il vetro, la luce esterna.
Il crepuscolo avanzava. Tutto fuori si fece prima molto distinto. Il bianco dei ghiacciai si stagliava nettamente dalle nere pareti rocciose. Era quel breve istante in cui la sera lascia spazio alla notte. Le luci delle auto in corsa sulla strada là sotto.
Poi i colori si fecero indistinti. Nel buio, immaginava gli alberi mossi dal vento.
Finché sentì qualcosa di simile ad una porta che si apre.
* * * * * * * * *
La tesi del suicidio andò avanti per giorni, tra le chiacchiere della gente, sui giornali del posto.
Fino al colpo di scena: arrivarono i risultati dell'autopsia. Nessuna traccia di medicine nello stomaco. Solo una modica quantità di vino e tracce di cibo.
Il decesso era inspiegabile, e tale rimase.
* * * * * * * * *
Ore 21:45
Posò la bottiglia di vino e lentamente si avvicinò all'ingresso.
Trovò la porta socchiusa, da cui entrava una brezza calda. La aprì completamente osservando l'ambiente circostante. Il vialetto e i lampioni poco più in là. Sorrise avviandosi verso la strada, come se le luci lontane della sera lassù nel cielo lo stessero chiamando. E stavolta non era solo.
* * * * * * * * *
La strana fine di Tommaso fece parlare di sé a lungo.
La sua tomba di pietra fu presto dimenticata in un angolo remoto del piccolo cimitero: dopo pochi mesi edere e rovi iniziarono a crescere fino a coprire la sua foto: quel volto apparentemente sorridente di un tempo.
Strane storie nacquero sul bosco ai piedi della grande montagna dove era stato trovato il suo corpo senza vita. Molte persone giurarono che strane luci si aggiravano tra gli alberi, la notte. Le solite chiacchiere della gente di paese. Chiacchiere alimentate dal fatto che, due anni dopo, quando per lavori di ristrutturazione nel cimitero la sua tomba fu aperta e trovata vuota.
Se per caso in paese si accennava a questa vecchia vicenda, la storia dell'inspiegabile morte di Tommaso, molti raccomandavano di non andare da soli in quel particolare tratto di bosco.
Oggi, son passati vent'anni, nessuno quasi si ricorda più di Tommaso.
Ci sono però alcuni che, dopo qualche bicchiere di troppo, si lasciano andare a fantasiose rivelazioni su luci nel cielo che, a loro modo, da anni si vedono di tanto in tanto spuntare da dietro la montagna. Le ricollegano a questa strana storia che ormai ha assunto contorni sfumati e aggiungono altri particolari come la misteriosa sparizione di un gregge durante una notte di temporale e il drammatico ferimento di una ragazzina di 7 anni che, dopo essersi recata nel bosco, si era persa ed era stata ritrovata cinque giorni dopo in stato confusionale dicendo di essere stata rapita da una luce appesa sopra gli alberi.
Rimangono poi le voci su quello che chiamano "il vecchio della montagna", scomparso anni prima e che vive nel bosco. Nelle notti d'estate, specialmente quando si alza il vento, pochi tra gli anziani ancora vivi sono soliti indicare un punto imprecisato tra gli alberi su, lungo i pendii della grande montagna.
- Lo vedi? - esclamano emozionati.
Ma appena dicono di averlo intravisto tra gli alberi, capelli bianchi e bastone tra le mani, camminare avanti e indietro alla luce di una lanterna, come se stesse cercando qualcosa, ecco, lui scompare.
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