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La seconda possibilità
Era stanco. Stanco della solita solfa, stanco delle solite sere, passate a fare sempre le stesse cose, gli stessi discorsi; stanco delle solite discoteche che promettevano musica, alcool, ma anche forse, l'amore di una notte, o quantomeno di esso, la solita maledetta parvenza. Meditava di cambiare le cose, la propria vita; domani avrebbe chiesto di un'associazione di volontariato, o sarebbe andato a cantare nel coro della chiesa. Non ne poteva davvero più di quella vita senza sentimenti, senza un perché, che lo aveva tenuto incatenato fino a quel momento, dietro i ricatti dell'amicizia faceta, di un'amore mai sbocciato, e di falsi idoli cui davvero mai, mai, aveva creduto, ma dai quali s'era fatto trascinare per la troppa pigrizia, e la paura di perdere tutte quante la basi su cui aveva costruito la stolida vita che adesso, nauseato, stava vivendo.
Mentre pensava tutte queste cose, si alzò dal tavolo cui era seduto con il solito gruppo, e si congedò da esso con una scusa che nemmeno si sforzò di rendere credibile: "Ragazzi, devo andare a casa. Ho un mal di testa troppo forte". Emilia si offrì di accompagnarlo, chiedendosi dopo il rifiuto secco avuto in risposta, come uno che ha mal di testa, preferisca percorrere 2 Km a piedi, di sera e soprattutto con un vento fresco, si, ma abbastanza forte, che forse preannunciava pioggia di lì a qualche ora... beh, sarebbe stato un buon argomento di conversazione, visto le altre facce che s'interrogavano sull'accaduto.
"Ho solo gettato il mio tempo, ho solo lasciato che fino ad oggi la mia vita fosse in mano agli altri. Che stupido. Gli altri per me cos'hanno mai fatto? Sono più le delusioni che le gioie, ma doman...". D'improvviso un lampo lo destò dai suoi pensieri, e lo riportò lì, dov'era anche prima che la sua mente lo portasse a vagare, ad immaginare, a recriminare. "Debbo trovare un riparo. Maledette case senza balconi.." - disse tra sè, e affrettò il passo, diviso tra il piacere che gli dava il pensiero di camminare sotto la pioggia, e il rammarico di non essere rimasto al pub coi ragazzi. Trovò nella stradina che portava alle campagne, un riparo di fortuna, proprio mentre le nubi, minacciose, si lasciavano sfuggire grossi goccioloni, che resero, con quella patina scura che lìacqua formava su tutto, quella notte senza luna, ancora più nera.
Premeva le spalle contro quel portone di legno che gli offriva riparo sotto il suo arco, però troppo stretto, e d'un tratto dopo uno scricchiolio coperto dall'ennesimo tuono, si aprì, svelando tutto quanto l'interno di quello che era un casolare abbandonato chissà da quanto tempo. Cercò con gli occhi un riparo che fosse meno angusto e lo trovò in una porticina che era aperta e dava su una piccola cucina. Illuminava il tutto col suo telefono, e immancabili, gli vennero alla mente tutte le storie e i film che aveva sentito; era stato così facile arrivare lì, così semplice.. "Le cose semplicemente capitano.." - pensò, e si mise in attesa, su una poltroncina che, stranamente non era nemmeno troppo coperta di polvere. "Chissà quando smetterà di piovere, chissà gli altri che fanno, se Giulia è tornata con Massimo, e se alla fine Marisa ha raggiunto il gruppo.."
Altro tuono. Si sforzava di non pensare ad altro che ai suoi amici. L'alternativa era far uscire i ricordi dei mille film horror, e spaventarsi da solo, visto il luogo, non era il caso. I suoi amici, già.. Preso da un sentimento di rivalsa misto a disinteresse, pensò che anche quella situazione lo faceva sentire più vivo che quella routine fatta di amori di plastica e frequentazioni di convenienza.
Mentre sviscerava i suoi pensieri, con in sottofondo il rumore della pioggia che intanto era diventata scrosciante, decise che avrebbe fatto un gioco. Avrebbe dato un nome ai tuoni, a seconda del boato che avrebbero emesso, e negli intervalli avrebbe lasciato che la sua mente vagasse libera, senza però che sconfinasse nei meandri della paura. Subito allora, il suo gioco poté avere inizio: Ruuuuuuuuaaaaaaaaaaaaaambleeeee. Paolo! quello era decisamente un Paolo! Eh già.. Paolo.. Quanti Paolo aveva conosciuto? Nemmeno uno.. "Forse quel ragazzo a Sorrento, ma forse quello era Mario..". S'accorse che il tempo passava veloce, mentre mille associazioni di pensiero lo distraevano da tutto quanto fosse il mondo esterno. Il cellulare segnava le 3. 27 ed ormai tutto quanto intorno a lui era così familiare: La tavola in legno, con una mattonella sotto una delle gambe, per esser bilanciata, i mobili di color panna (uno di essi ha un'anta aperta, ma per quanto si è ripromesso, non osò avvicinarsi. Familiare si, ma c'è un limite!), le sedie in legno, essenziali. Pensò: "Sono una sedia, servo per farti sedere, senza imbottiture o fronzoli". Anche le mattonelle con i loro giochi e disegni, gli sembravano quelle della casa di sua nonna.
Ruuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuumbleeeeeeeeeeeee. Questo era un Giovanni, o un Giova, ma non un Giò.. E via tra mille pensieri, alimentati dalla stanchezza che si faceva sentire, e dalla poltrona stranamente comoda, per esser lì da anni "Chissà quanti si sono seduti su di te", mormorò, e cominciò a fantasticare di nuovo, stavolta immaginando scene di vita quotidiana dell'ipotetica famigliola che era vissuta lì.
Eccolo immancabile il solito pensiero macabro: "Chissà se qualche omicidio.. la casa si presta: molto vecchia, un grande giardino.. In tanti anni chissà quante ne hai viste eh casett"..
EEEEEEEEEEElioooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo. "Non va, proprio non va! Cazzo era proprio un Elio, ma era troppo Elio, e qui di Elio ci sono solo io!". Sapeva che quello che in realtà non andava, era la provenienza del "tuono": le viscere di quella casa, diventata improvvisamente troppo grande, come quella cucinetta prima quasi minuscola, e ora davvero troppo troppo troppo ampia. "Come fate a sapere il mio nome? Perchè mi avete trascinato qui? Voi sapevate, voi avete voluto!"
Elio immobile sulla sua poltroncina, ora vi ci vorrebbe sprofondare per non farsi vedere. Ma da chi? Da cosa? Mentre preso dalla paura, pensa alle cose più nefaste, nota che dall'anta aperta di quel mobile in fondo alla stanza, cola del liquido nero, denso, "intenso..". La casa è scossa da nuovi tuoni, stavolta senza nome, accompagnati tra l'altro da lampi che li precedono e fotografano immagini che Elio si sforza di rendere indelebili, almeno per qualche istante, per scavare all'interno di esse e trovare la nota stonata, quello che non va, e che ha reso il suo gioco, un incubo dal quale vorrebbe svegliarsi, solo svegliarsi, immediatamente.
EEEEEEEEEEEEEEEElioooooooooooooooooooooooooo!! Stavolta un pallore bianco, che niente aveva a che fare coi fulmini, risale dalla chiazza di liquido nero che s'era formata ai piedi del mobile ("Ma con quest'oscurità tutto è nero qui!"), e sembra avvicinarsi piano piano. "Diamine, perchè non riesco a muovermi? Dove scappo? La porta, la porta! No! È una trappola! Era aperta solo per me quella porta! Già prima!".
Con un balzo che farebbe invidia ad un gatto si scostò dalla poltrona, ma piuttosto che scappare, si nascose dietro la rientranza di una delle pareti. Non sarebbe uscito. Quella porta aperta era stata un invito ad entrare, ed ora sicuramente era un invito ad uscire. "I ragazzi!". Cercò il telefonino ma non lo trovò: "Forse è rimasto sulla poltrona. Potrei..." Elioooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo! Un nuovo fulmine aveva scattato la foto di una nuova immagine, e troppo nero vi era in essa. Troppo anormale nero, da decidere di non memorizzare, di non pensare.
Scartò l'idea del cellulare. Non gli restava che restare in attesa, o di affrontare "quella cosa". Ma che voleva?
Improvvisamente immagini di omicidi efferati gli passarono davanti agli occhi, come in sogno, non richieste e senza possibilità di poterle reprimere. C'erano. Esistevano oltre la volontà.
Il rumore della pioggia, fuori e sul tetto, si era trasformato in un brusio che nel silenzio della notte, sembrava sussurrasse parole sconnesse, che egli cercava di afferrare, oltre la paura, oltre il cuore che batteva a mille. Al di là dei propri pensieri.
Una nuova immagine, stavolta orrenda. Tutto quel nero era di fronte a lui, e come l'abisso sembrava poterlo inghiottire tra torture che già sapeva, disumane. EEEEEEEEEEEEEEEliooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!
Pianse. Allora pianse. Desiderò che tutto fosse solo nella sua mente e si disse che aprendo gli occhi, che intanto aveva chiuso, stretti, tutto sarebbe svanito, ma quando si sforzò di guardare ciò che aveva di fronte, si ritrovò quel pallore che era nero alla luce, che lo fissava. Aveva un volto, un corpo, flebile, ma a quello prima non aveva fatto caso. O semplicemente prima non c'era.
Sentì un calore fortissimo dentro di sè, e non avendo nemmeno il tempo di protestare, o di gemere, si ritrovò a terra, con del sangue che nemmeno sapeva se fosse il suo, che gocciolava, nero.
Indolenzito si sentì afferrare, e si ritrovò sulla poltrona. Guardando fuori, ebbe solo il tempo di pensare che il cielo era troppo nero. Quella notte no, non si sarebbe spenta. Dolori lancinanti lo facevano urlare, ma aveva la consapevolezza che nessuno lo avrebbe sentito. Si chiedeva se davvero strillasse o era solo una sua impressione, se le sue non fossero urla mute!
D'un tratto tutto ebbe fine, e lui aveva solo la forza di guardare. Il brusio della pioggia diventava sempre più forte e quello che fino ad ora era un alito indistinguibile che annunciava la sciagura, s'insinuava dentro di lui, rivelandogli il misterioso senso del proprio essere. Come una nenia, risaliva le viscere della Terra per essere udita anche da lui, lui che era il centro, il fulcro, la via di tutto questo, lui che era stato invitato, obbligato, ad unirsi a questo banchetto di anime vaganti, e del quale si è riscoperto la portata principale. L'unica! "Oce seme orio! Once seme odivo! Nonè seme motibo! Non c'è sempre un motivo! Non c'è sempre un motivo! Non c'è sempre un motivo! Per la morte c'è sempre un motivo!". In quel preciso istante, capito che nemmeno le lacrime di un innocente avrebbero intenerito "la morte", si rilasciò completamente, rassegnato al suo destino. Allora quel pallore silente, al ritmo della geremiade maledetta, entrò dentro di lui: EEEEEEEEEliooooooooooooooo! Un fulmine gli aveva regalato l'ultima fotografia dell'orrenda fine che stava facendo. Quel pallore che era nero alla luce lo chiamava da dentro sè stesso, al ritmo della pioggia. Al ritmo della morte: "Non c'è sempre un motivo! Non c'è sempre un motivo! Non c'è sempre un motivo! Non c'è sempre un motivo! Per la morte c'è sempre un motivo!". Si sentì scuotere dall'interno, vittima di un gelido tremore. Le sue lacrime accompagnarono allora, l'estremo saluto a quel mondo che mai avrebbe immaginato così ineffabile. Mai avrebbe pensato che il suo mondo, quel mondo, era anche quello della morte.
Indolenzito Elio si svegliò. La paura era dentro di lui. Sentiva ancora quel tremore e quella cantilena che odorava di morte. Fuori però la pioggia non c'era, ed anzi il cielo azzurro sembrava cacciasse via le ultime nubi. Ma la cantilena, il suo tremore... Madido spostò le sue mani al centro di tutto quanto, un punto esatto del suo corpo. Estrasse allora dalla tasca, incredulo, il suo cellulare che squillava al suono della sua melodia preferita. Rispose: "P - Pronto?" e dall'altra parte: "Elio, sono Emilia, è da ieri sera che sto provando a chiamarti. Volevamo accompagnarti perchè eravamo preoccupati che la pioggia ti avesse sorpreso per strada. Poi lì non ci sono molti ripari.. Elio, Elio.."
"Sono qui, Emily. Tranquilla, sono a casa, è tutto a posto. Grazie per il pensiero. Ci vediamo stasera, non vedo l'ora di vedere voi tutti".
"Ah, ok. Ma stai bene si?".
"Si, il mal di testa è passato. Mi ci voleva davvero una bella dormita".
"A stasera allora!"
"Ciao Emily!!"
Posando in tasca il cellulare si voltò e guardò dietro di sè, la stanzetta che era stata teatro del suo incontro con la morte, e sulle sue labbra s'insinuò un grosso sorriso: "La vita.. Che gran bella cos.." Un tonfo sordo lo fece trasalire, e si chiedeva se non fosse stato qualcosa che appesantito dalla pioggia fosse caduto, ma intanto scappava via a gambe levate, senza nemmeno, che fuori di lì, si voltasse indietro.
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