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Nello Stesso Pozzo

Il nodoso bastone gli cadde ancora una vota dalle mani. Come sempre! E Giuggiù rovinò per terra.
Giuggiù stavolta non bestemmiò, non imprecò contro nessuno dei familiari, ne tanto meno questi vennero a raccoglierlo poiché quel giorno nessuno lo sentì.
Restò immobile, seduto ai bordi del letto, sempre devastato dal suo copro e lo sguardo fisso su quell'arnese di legno - l'amico inseparabile - dice lui.
Ricordo che gli venne regalato da Giulio, amico d'infanzia: << Giuggiù questo è meglio di un cane da guardia credimi >>, disse Giulio quando venne a trovarlo, tienilo sempre con te...>>.
Giuggiù quel giorno se ne stava tutto ripiegato su una sedia a rotelle regalatagli da Biagio Conte, missionario della città. Stava assicurato su quell'arnese da cuscini che gli cerchiavano i fianchi, appena ciondolante in avanti e gli occhi cerulei sempre lucidi. Alzò appena la testa e lo sguardo si posò sugli occhi dell'amico farfugliando parole sconnesse; quasi un groviglio in gola, ma si intuiva che era un grazie a quel gesto e poi disse: << io la conosco? >>, quasi un groviglio in gola, ma si intuiva che era un grazie a quel gesto e poi disse: << io la conosco? >> .
Quel bastone nodoso... a volte Giuggiù lo vedeva volteggiare, da solo, in mezzo alla stanza. Si allontanava prendendo forma propria, conquistando quasi una vita sua. Lui se ne infischiava che Giuggiù stava in bilico tra la poltrona e il baratro della mente, lui stava lì, felice di quella condizione ritrovata, di essere libero di poter fare quello che voleva; finalmente aveva acquisito il " libero arbitrio " e tanto si sentiva vivo più s'impossessava della sua energia smarrita. Un gioco crudele, quello suo. Ogni tentativo da parte di Giuggiù di afferrarlo andava a vuoto. Del resto come poteva; se provava a fare un passo in avanti sicuramente sarebbe caduto brutalmente per terra e quel giorno a casa non c'era anima viva che potesse accorrere alle sue urla, al suo farfugliare parole malferme, ai suoi lamenti che sicuramente alla fine sarebbero sfociate in un pianto a dirotto.
Giuggiù iniziò ad inveire contro "quell'amico traditore", ma non conosceva il suo nome, non sapeva come chiamarlo, del resto non lo aveva mai fatto; era solo un amico come ne aveva avuti tanti. Lui, il bastone, ad un tratto smise di oscillare nel vuoto dicendo: << adesso arrivo bestia! non ti sopporto più! Lasciami in pace! >> .
Giuggiù con furia afferrò il bastone, lo strinse forte al suo petto e pianse... ma di un pianto convulso. L'unica cosa a cui teneva veramente era solo quel maledetto bastone. La sua mente non partoriva solo che pagine bianche, ma in un lato oscuro, nascosto, dove nessuno poteva arrivare, c'era quel bastone: il padre, il figlio, la moglie, gli amici, tutta una vita, tutto ciò che gli rimaneva ancora di umano.
Il bastone a terra e Giuggiù sempre con lo sguardo perso nel vuoto.
Il figlio entrò nella stanza e l'odore penetrante delle medicine lo investì come la morte che giunge all'improvviso. Giuggiù non si accorse della presenza di Marcello né dei suoi occhi che lo fissavano; stava lì con la testa traballante e il braccio sinistro teso verso quel bastone, immobile, quasi senza respiro e con una piccola smorfia sul labbro violaceo.

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