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Indietro
Ti scrivo queste parole per dei motivi che non riesco nemmeno a riconoscere. È successo, penso. Mi sono svegliato una mattina ed ho pensato che andava fatto. Forse qualche energia mistica si è appollaiata sulle mie spalle e mi ha ordinato di scrivere, scrivere e scriverti.
Ero tornato al paese. Avevo bisogno di distaccarmi da tutta la città; dalle persone specialmente e da tutto quel rumore.
Una volta arrivato, sceso dal treno ricordo di aver inspirato per un paio di minuti per poi accedermi una sigaretta. Quell'aria fredda e che pizzicava il naso mi era mancata. Mi era mancato quel senso di pulizia. Nelle mie orecchie non udivo più macchine sfrecciare, persone urlare. Sembrava quasi che fossi riuscito a fuggire da tutto e mi fossi rintanato in una piccola dimensione personale dove convivevo con l'aria fredda che mi circondava. Non era reale quasi, fino a quando non udì il fischio del treno. Tornai in vita, mi accorsi che c'era altra gente oltre a me. Una ragazza sui 18 più o meno, abbracciava con tutte le sue forze il suo fidanzatino, un signore in giacca e cravatta aspettava sua figlia che, quando scese, fece roteare quella cravatta a suon di abbracci. Mi accesi una sigaretta, togliendomi le cuffie, mi accorsi che avevo ancora del tempo. Erano solo le 10 e potevo perdere del tempo. Sigaretta accesa, mani in tasca ed il cammino può avere inizio. Uscì dalla silenziosa stazione ed iniziai a camminare. Non riuscivo bene a comprendere il perché ma ogni pensiero si era spostato, era andato via. Mi ero trasformato in un turista oramai, non erano nemmeno i ricordi a stimolare i miei passi ma, appunto come un turista, mi guardavo intorno. Osservavo i vecchi quartieri, le piccole case, le salite ingiuste di questo paese. Uno scorcio, ad un certo punto, si aprì. Avanzando per una vorticosa salita, sulla mia sinistra, vidi un enorme cartellone con su una pubblicità di un particolare shampoo che poteva fare questo e quello. Non esisteva una volta. Mi resi conto in un istante di essere nel paese dove vissi tutta la mia giovinezza. I miei ricordi come piccole sanguisughe risalirono dai talloni fino alle spalle. Sentivo il loro peso sul mio corpo. O guarda quello; quando correvo di qua; una volta qui ci giocavo a pallone e così via. I ricordi superarono la mia persona, mi resi conto di quanto fossero incontrollabili. La nostalgia mi aveva afferrato, si comporta sempre così. Quando meno te l'aspetti, quando non ne avresti proprio bisogno la nostalgia ti sale sulle spalle, ti ricorda che esiste e che rimarrà. Il mio sguardo indifferente non riusciva a rappresentare ciò che sentivo dentro di me. Quelle montagnette viste in lontananza ed i campi arati mi fecero odiare la mia vita perché ricordai la città ed i suoi palazzi enormi, le persone che sfrecciavano a destra a sinistra e quella strana tendenza di sentirsi solo un numero all'interno di una calcolatrice controllata da chissà chi. Dopo la salita, vidi alla mia destra un piccolo parchetto che, con molta probabilità , avevano costruito da poco. Andai immediatamente a sedermi sull'altalena e mi accesi un'altra paglia. Le mie due cose preferite da anni, i piccoli parchi e le sigarette. Erano passate due ore fra sguardi, ricordi e sigarette ed era arrivato il momento di mangiare qualcosa prima di tornare a casa. Presi della pizza in un forno del paese e fui estasiato dal gusto forte ed energico come quando da bambino compravo della pizza grazie ai pochi euro rubati dal portafoglio di mio padre, in quelle domeniche mattine interminabili. Era arrivato il momento di tornare a casa ma ero ancora scosso. Scosso dal viaggio, da quello che avevo lasciato dietro e quindi non mi andava bene di tornare in quell'appartamento, l'appartamento dei miei. Continuai la passeggiata, con un pezzo di pizza in una mano ed una sigaretta pronta ad essere accesa nell'altra.
Arrivato alla Statua dell'Esilio mi fermai, ricordi quanto non mi piacesse quella statua? Ah no, non penso tu lo sappia visto che non te ne avevo mai parlato. Quella statua che, in questo paese, molte persone ritengono stupenda, da piccolo, mi spaventava. Fu costruita in onore del fondatore, un esiliato francese che dovette scappare. Non so come nessuno si sia mai sentito come me nei confronti di quella statua. Io sentivo sempre uno sconforto enorme quando, anche solo, la intravedevo. Forse perché la sua storia la sentivo "pesante". Un uomo esiliato che scappa via, senza una meta, si ritrova dopo vari viaggi a fondare una città su una piccola montagna. Sentivo il peso di quella storia, sentivo quasi la confusione ad ogni sguardo che distrattamente gettavo. È stupido oramai pensarci, sono passati veramente diversi anni ma questo ricordo è tornato subito alla mia mente. Ero un ragazzo troppo introverso ed a tratti vittimista per guardare quella statua senza timore. La sua storia mi colpiva, forse perché a 17 anni mi sentivo in quel modo. Un esiliato. Puoi immaginare quanto la diversità, il muoversi ed atteggiarsi possa provocare il disappunto dei coetanei in un posto in cui le tradizioni e le abitudini regnano sovrane. Ogni cosa che apprezzavo od amavo doveva essere esclusa all'esterno. Nessuno riusciva a comprendermi, a comprendere i percorsi strani della mia mente e della mia anima, né io mi impegnavo a mostrarli al meglio. Sentivo l'odore dell'esiliato sulla mia pelle. Penso che tu non sappia nemmeno questo, d'altronde. Non ne parlai mai, nemmeno con i miei più cari amici. Costruì questo piccolo segreto che solo io e la statua potevamo conoscere.
Continuando a camminare mi accorsi che era arrivato il momento di tornare a casa. Presi la vecchia stradina che percorrevo quando andavo a scuola. Stranamente nulla mi rese nostalgico, non più di quanto non lo fossi già. Avevi un compito da portare a termine, ricordi? Aprì il vecchio portone di legno ed iniziai a percorrere le scale ed una volta davanti alla porta arrivò una chiamata. Era Rebecca (non so se ti ricordi di lei. Si mi è rimasta accanto dopo tutto questo tempo), incazzata nera ed avendo ragione, non potevo far altro che assecondare la sua ira. Iniziò ad urlare chiedendomi dov'ero, che fine avevo fatto. Domande del tutto lecite ma io ero troppo dentro quel "ritorno" e quindi le dissi che dovevo correre via, che non potevo parlare, che le avrei spiegato tutto. Procrastinai per evitare domande a cui nemmeno io avrei potuto rispondere. Chiusi il telefono in fretta mentre le sue urla mi salutavano. Aprì la porta della nostra vecchia casa. Era disabitata da almeno 2 mesi ma oltre agli scatoloni appoggiati alla rinfusa dagli zii nulla era davvero cambiato. Passando accanto a quel vecchio quadro, al tavolo della cucina, la porta del bagno. MI soffermai solo davanti alla mia vecchia camera, oramai spoglia. Avevo oramai portato via tutto. I miei cd, l'unico vinile dei Joy Division che possiedo, tutti i libri, i poster. Era vuota e stranamente non ci trovai nulla di particolare od importante ed infatti chiusi immediatamente e andai verso la tua camera da letto. Con la chiave che mi inviasti qualche giorno prima, puntai immediatamente la cassaforte. Ecco che all'interno fra vecchie fatture e i famosi fogli "del lavoro di papà" trovai la tua lettera. Devo dirti che mi sentii immensamente fuori posto quando la lessi. Una figlia, mamma? Una sorella di cui non mi avevi mai parlato e poi lasciarla andare in quel modo. Detestai le tue parole in quella lettera, sempre di più dopo ogni lettura (La lessi almeno 10 volte per lo stupore) . Il vostro comportamento omertoso mi aveva ferito e mi ferisce ancora mamma. Per non parlare del tuo ennesimo ordine nei miei confronti, "cerca quella ragazza" come se fosse un mio problema, come se dovessi darvi questo ed anche altro. L'odio profondo per un attimo mi fece venire voglia di tagliuzzare la lettera. Tranquilla, non lo feci ma anzi la piegai con cura e la infilai nella tasca interna della giacca, come se volessi proteggerla in qualche modo.
Ritorno in città
Ritorno a casa da Rebecca.
Il viaggio di ritorno è stato turbolento. Sono rimasto due ore fermo fra Pescara e Termoli per dei problemi tecnici. È stata dura non aprire nuovamente la lettera ma mi ero ripromesso di tenerla stretta nella giacca e non toccarla fino a quando la mia mente non fosse stata più fresca, più limpida insomma. Presi Le città invisibili ed inizia a rileggerlo. Riuscì a finirlo ancora una volta sempre con lo stesso senso di ineffabilità che Calvino riesce a comunicarmi. Quando rimisi il libro in valigia e mancava solo un'ora all'arrivo mi iniziò ad assalire una piccola angoscia. Cosa avrei raccontato a Rebecca ma soprattutto che intenzioni avevo riguardo alla lettera e alla tua richiesta? Non volevo domandarmelo.
Non serve che ti spieghi come tutte le sensazioni nostalgiche e di pace fossero sparite non appena i miei passi arrivarono in città. Tutto ritornò alla sua vecchia routine, lo smog, il rumore, le macchie che sfrecciavano per chissà quale appuntamento. Una volta tornato nel mio appartamento non trovai Rebecca, era andata sicuramente a lavoro. Appoggiai di fianco alla porta la mia valigia e feci scorrere il cappotto sul divano, poi diedi un'occhiata al frigorifero presi una merendina e guardando il lavandino pieno di tazze e bicchieri sporchi compresi che avevo bisogno di dormire. Mi addormentai immediatamente e per alcune ore mi dimenticai tutto. Al mio risveglio Rebecca pronta come un leone nascosto dietro ad un albero per azzannare la gazzella, aspettava il mio arrivo. Nel salotto iniziò ad urlarmi tutte le sue preoccupazioni e le sue fragilità, penso. Cercai di spiegarle che volevo tornare a casa per prendere delle vecchie foto di te e papà. Dopo un'ora di urla nei miei confronti, riuscì a giustificarmi ed a farmi scusare. In un abbraccio ed in una mezz'oretta di sano sesso chiusi quella stancante giornata.
Il fine settimana mi dava la possibilità di avere tempo di pensare a quello che dovevo o non dovevo fare. Ripresi la lettera e quando Rebecca uscì per andare a lavoro, la rilessi per l'ennesima volta. Devo dirti la verità, quella rilettura mi fece stare meglio. L'odio se ne era già andato. Sarà perché siete morti e quando le persone vanno via la rabbia perde ogni tipo di senso perché sai che non andrà a finire da nessuna parte, rimarrà solo dentro di te. Esisteva in Italia un luogo che ospitava la mia sorellona. Una sorella di cui non avevo avuto mai notizie. Data via come se fosse roba vecchia a degli sconosciuti qualsiasi. Scrivevi che erano i soldi a mancarvi e che successivamente quando papà trovò un lavoro, la bimba era già cresciuta, era già non vostra. La fortuna voleva che degli sconosciuti furono disposti ad adottarla nella più completa discrezione. Questa ragazzina era cresciuta nel profondo Sud, la Calabria e voi, anzi tu mamma mi chiedevi di andare a cercarla. Come se fosse un atto che voleva rappresentare delle invisibili scuse.
La mia mente era sicuramente più fresca e concentrata, questo mi fece subito pensare di poterlo fare. Di andare a cercare questa ragazza, chiederle scuse ed instaurare qualche tipo di rapporto. Riesco a comprendere l'immensa vergogna che avevate sulle spalle, forse anche per questo motivo avete evitato di parlamene. Penso di averlo capito solo alla ventesima rilettura.
Mamma, penso che la vita sia un qualcosa di troppo complicato per essere spiegato con poche parole. Spesso non capisco come si muove, dove fugge, dove corre ma ci siamo dentro fino al collo e non possiamo far altro che galleggiare. Avevo una vita tranquilla, serena ed a tratti felice grazie a Rebecca ma questa novità mi ha stravolto. È come se ci fosse stato un terremoto partito dai miei neuroni. Non riesco a spiegarmi nemmeno con tutte queste parole e forse tutto questo strano racconto è solo un modo di esorcizzare me stesso. Domani partirò e con i dati che mi hai lasciato nella lettera penso che sia possibile ritrovarla. Probabilmente Rebecca mi odierà. Odierà la mia omertà o forse odierà la stupida lettera in cui spiego pressoché tutto.
Mi hai sconvolto la vita ma non riesco a continuare con questo tarlo nella testa che batte, batte. Domani partirò per esaudire il tuo desiderio Mamma. Partirò per capire cosa non va nella mia vita, cosa mi ha spinto a viaggiare in giro per l'Italia per la sorella che non ho mai avuto.
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