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Sushi to die
La pioggia batteva sul parabrezza dell'auto.
Il vetro bagnato aveva l'aspetto degli occhi lucidi di chi trattiene il pianto. Ricordai gli acquazzoni a Yantai.
È una regione estremamente monsonica, e si conta che all'anno cadano circa seicentocinquantadue millimetri di pioggia.
Qiang amava la pioggia. Io no. Avevo paura del rumore dei tuoni.
Poi una sera mi aveva fatto affacciare alla finestra, insieme a lui. Mi aveva fatto notare meglio che i i lampi erano niente altro che luce, e che la luce non annunciava mai qualcosa di brutto e di pauroso, perchè la luce era il bene. E allora mi aveva affascinato il modo alternativo di come riusciva a vedere il collegamento fra lampi e tuoni.
L'arrivo di Qiang mi distolse da quei ricordi tanto belli quanto fasulli. Del bambino che era non aveva conservato niente, non c'era rimasto più nulla. La morte di papà lo aveva come resettato, e lui non aveva mai più voluto saperne di essere ripristinato.
Lo vidi avanzare nella notte indossare abiti scuri.
Uscii dall'auto e attraversai la strada sotto la pioggia battente, rumorosa a contatto col chiodo di pelle.
Qiang svoltò nel vicolo ed io lo imitai.
"Federale o poliziotto è la stessa cosa", udii la sua voce nell'ombra.
Venne avanti, si mostrò alla fioca luce dei lampioni. "Dove andremo a finire se le Accademie non sono neanche più in grado di insegnare un pedinamento come si deve, dico io."
Faccia tosta. E senza cuore. "Puoi ancora pentirti e consegnarti alla giustizia."
"Alla giustizia?", sorrise di scherno. "Ma dici sul serio?"
"Scapperai per il resto della tua vita?"
"Io non scappo, Chan, Io cammino, e anche molto tranquillamente."
"Già, perchè adesso ti temono. Ti fa sentire molto forte, non è vero?"
Mi sorrise.
"Perchè non ti costituisci? Avresti il mio aiuto e la protezione della polizia", tentai a quel punto.
Qiang allora controllò l'orologio al polso. "Molto interessante, sorellina, ma non posso restare ad ascoltarti. Ho molto da fare", disse muovendosi nella direzione opposta alla mia.
"SE TE NE VAI ADESSO NON TI COPRIRÓ PIÚ!"
Quello si bloccò e si voltò.
"Dolce Chan, apri gli occhi. Vivi ancora nell'illusione che l'onestà restituisca onestà."
"Io vivo e combatto nella speranza che un giorno il mondo possa essere un posto migliore, dove chi decide di vivere onestamente possa vivere onestamente, proprio come voleva papà."
"Papà è morto, e tu non sei più una bambina."
"E tu allora? SEI DIVENTATO QUELLO CHE ODIAVI! NON TE NE ACCORGI?"
"Io vivo nell'unico modo in cui riesco a vivere. E a volte la cosa da fare non è sempre quella che pare giusta, ma quella che ti fa stare bene."
"Io ti avrei aiutato, non ti avrei mai negato il mio aiuto!"
"Ma io non lo volevo, e se adesso vuoi scusarmi... ho molto da fare."
Lacrime e saliva mi si mescolarono alla pioggia.
Qiang indossò gli occhiali scuri. "Addio una volta ancora, Chan."
"QIANG!", lo richiamai.
Ma Qiang non si voltò.
Eravamo stati entrambi allievi di Liang Peng, ed entrambi eravamo campioni di taekwondo.
Avrei voluto prenderlo a pugni, farlo svegliare sotto quell'acqua che piangente cadeva dal cielo, che come un battesimo lo avrebbe fatto rinascere, e tornare da me e dalla mamma.
Invece non mi mossi da quella posizione. Qiang svanì così nella notte buia e tempestosa, fra lampi e tuoni, sotto quella pioggia che una volta aveva tanto amato.
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